E K. disse a De Lutiis di quelli della commissione stragi: “Qui solo io e lei conosciamo le cose. Questi non sanno un cazzo”

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Giuseppe De Lutiis, rispondendo a qualche domanda di Simone Ceriotti per il Fatto Quotidiano, ricorda di quella volta che Francesco Cossiga gli disse in sede di commissione stragi che “qui solo io e lei conosciamo le cose. Questi non sanno un cazzo”. Si riferiva alla fine di Aldo Moro e al ruolo giocato dai servizi in diverse vicende. Aggiungendo che:

Lui che conosceva scena e retroscena del caso Moro non poteva ignorare certi incontri avvenuti a Parigi che tirano in ballo Cia e Kgb. Invece si è sempre ostinato a dichiarare che tutto era stato ideato e orchestrato dalle Brigate Rosse. Ma questo era solo un aspetto. Più in generale, il fatto che io avessi scritto una storia dei servizi segreti che metteva l’accento sulle cosiddette “deviazioni”, lo aveva convinto che il mio lavoro fosse dannoso perché lasciavo intendere che questa organizzazione tramasse contro lo Stato. Sicuramente considerava il libro “aggressivo” nei suoi confronti, ma ciò che più gli dava fastidio era che ne uscisse un’immagine negativa per i servizi segreti.

Inoltre, altra lettura interessante è quella pubblicata da Ugo Maria Tassinari, che riprende un testo di Michele Franco, La morte di Kossiga ci ricorda non solo i crimini di stato impuniti ma anche la vergogna di quanti – anche a sinistra – vollero farsi stato!, disponibile anche su Contropiano.

John Lennon: a trent’anni della scomparsa, un punto su fumetti, film, libri e documentari

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John Lennon’s Assassination Simulations di Scott Thill per Underwire di Wired.com. Mancano pochi mesi al trentesimo anniversario dell’omicidio del musicista (ucciso a Londra l’8 dicembre 1980) e nel lungo articolo si fa il punto di quanto sta uscendo o è uscito, tra fumetti, film e documentari. Compreso The U.S. vs. John Lennon. Che, per quanto in circolazione da quattro anni, fa riferimento a un po’ di file, diventati oggetto anche di un libro.

Ventura, dal Veneto ordinovista all’Argentina passando per gli anni di piombo

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Milo Manara racconta piazza Fontana

Giovanni Ventura, nome che ha segnato in modo pesante gli anni della strategia della tensione (piazza Fontana, ma non solo), è morto lunedì scorso, per quanto la notizia sia circolata con un po’ di ritardo e con qualche imprecisione. Di seguito vengono pubblicati alcuni passaggi su di lui contenuti nel libro Attentato imminente, scritto con Simona Mammano sul commissario Pasquale Juliano. Passaggi che tracciano un profilo dell’ex ordinovista.

Franco Freda, insieme a un libraio-editore di Treviso, Giovanni Ventura, verrà ritenuto responsabile in via definitiva dell’attentato del 15 aprile 1969 al rettorato di Padova. E Giovanni Ventura è quel personaggio che si fa passare per militante della sinistra, ma che diventa – e resterà per lungo tempo – una sorta di alter ego del «doktor» Freda: laddove c’è l’uno si nomina l’altro, quando l’uno si fa venire in testa un’idea l’altro si dà da fare per realizzarla. È una specie di spalla, Ventura, che all’inizio gioca con gli specchi parandosi in parte dietro a simpatie insospettabili e in parte dietro al sostegno che la sua famiglia – e la madre in particolare – non lesina alla Democrazia cristiana e a Tina Alselmi nello specifico.

Nato il 2 novembre 1944 da una famiglia di modeste origini, figlio del podestà di Piombino Dese (Padova) che dopo la Liberazione deve prendere la famiglia e riparare in una villa di campagna per sfuggire alle ritorsioni degli antifascisti, Giovanni Ventura vive la seconda parte dell’infanzia e la giovinezza a Castelfranco Veneto. Primo di quattro fratelli […], fa fatica a integrarsi e in città viene ricordato come un musone, uno il cui carattere ben si adatta alla sua data di nascita, il giorno dei morti. Ne fugge appena può e si mette a fare l’editore mirando in alto, ispirato da Giangiacomo Feltrinelli.
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Senza finzione: “Armi in pugno – La storia del Nord Est tra politica, terrorismo e criminalità” di Pino Casamassima

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Armi in pugno di Pino CasamassimaIl volume sarà disponibile a partire dall’inizio di settembre, ma è appena stato inserito tra le anteprime di Stampa Alternativa il nuovo libro della collana Senza finzione, coordinata insieme a Simona Mammano. Si tratta del libro Armi in pugno – La storia del Nord Est tra politica, terrorismo e criminalità scritto dal giornalista Pino Casamassima:

Le Brigate Rosse, la prima volta che uccisero, lo fecero a Padova, la città che assisteva alla nascita dell’Autonomia organizzata e ai teoremi giudiziari che portarono al processo 7 aprile. Ma il Veneto fu anche la culla dell’eversione neofascista, quella di Ordine Nuovo, che metteva le bombe sui treni e che inaugurò gli anni di piombo con la strage di piazza Fontana. E sempre nel Nord Est nacquero e si svilupparono fenomeni criminali autoctoni, come la mafia del Brenta di Felice Maniero. Un’area, quella raccontata in questo libro, che passò dalla miseria e dall’emigrazione alla prosperità economica coltivando alcuni dei fenomeni che hanno fatto la storia dell’intera nazione.

E così, con il lavoro di Pino, fanno sette volumi all’interno della collana inaugurata nel febbraio 2009.

E rimasero impuniti: “In questo disgraziato Paese la politica si mescola alla criminalità”

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E rimasero impunitiTornando alle lettere, riportate nella sentenza di assoluzione del giugno 2007 per il delitto dei Frati Neri, occorre fare una premessa. Lo scrivente – avvertono i giudici – descrive se stesso come una vittima della cupidigia altrui, un esecutore di volontà che gli erano superiori. Si sa che ciò non è vero, ma lo scenario ricostruito è stato ritenuto autentico, in sede giudiziaria. Scrive dunque Calvi il 30 maggio 1982 al cardinale Pietro Palazzini:

Eminenza Reverendissima, sento il dovere di rivolgermi ancora una volta alla Sua illuminata e degnissima persona per informarLa degli ultimi spaventosi sviluppi delle mie vicissitudini con lo IOR che stanno pericolosamente conducendo i miei interessi e quelli ben più importanti della Chiesa verso un sicuro disastro. Vani si sono dimostrati sino a oggi tutti i tentativi di trovare un’equa soluzione alla vertenza della quale Le ho parlato tempo fa durante l’incontro da Lei benevolmente concessomi. Monsignor Marcinkus e il dottor Mennini [Luigi Mennini, ai tempi amministratore delegato dello IOR, N.D.A.] continuano a rifiutarmi ogni possibile contatto […] manifestando così una inconcepibile insensibilità ai reali interessi della Chiesa stessa.

[…] La credibilità morale ed economica del Vaticano è già gravemente compromessa; come mai nessuno vuole intervenire? Ma a cosa mirano costoro? Del resto molti finanziamenti e tangenti concessi dal Banco Ambrosiano a partiti e uomini politici hanno avuto origine su indicazione [di personalità interne alla Santa Sede stessa]. Eppure costoro sanno che io so! Non è quindi possibile spiegare l’atteggiamento che hanno verso di me e il mio gruppo bancario, unicamente in termini di sleale comportamento e di ottusità mentale […]. In siffatte condizioni cosa posso sperare io, responsabile come sono di aver svolto un’opera di banchiere nell’interesse della politica vaticana in tutta l’America Latina, in Polonia e in altri Paesi dell’Est?

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Schegge contro la democrazia: mercoledì la presentazione e un primo articolo sull’Unità

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Schegge contro la democraziaL’articolo che segue, a firma di Giulia Gentile, è stato pubblicato sul quotidiano L’Unità ieri, 25 luglio, a pagina 2 dell’edizione dell’Emilia Romagna. Riprende alcuni punti contenuti all’interno di Schegge contro la democrazia, scritto con Riccardo Lenzi e in uscita mercoledì prossimo per i tipi di Socialmente Editore. A proposito di dopodomani e del volume, due segnalazioni: il 28 luglio, a mezzogiorno, presso la sede dello Spi-Cgil Emilia Romagna (coeditore insieme allo Spi-Cgil territoriale di Bologna, via Marconi 69) ci sarà la conferenza stampa di presentazione mentre se ne tornerà a riparlare il 31, alle 21, presso la libreria Ambasciatori con Carlo Lucarelli. Qui il pdf (128KB) con il dettaglio dei due appuntamenti.

Istantanea da un giorno qualunque, ad una manciata di ore dalla strage di Bologna. Da un paio di settimane, i terroristi neri Valerio Fioravanti e Francesca Mambro – poi condannati in via definitiva insieme a Luigi Ciavardini come esecutori materiali dell’attentato alla stazione di Bologna – sono ospiti in Sicilia del dirigente del gruppo di estrema destra Terza posizione, Francesco ‘Ciccio’ Mangiameli, che poi uccideranno a settembre dello stesso anno tentando di far sparire il cadavere nel lago romano di Tor de’ Cenci. Per i giudici è a casa di Mangiameli, eliminato per essere diventato un testimone pericoloso della strage, che la coppia dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) incontra un tale Gaspare Cannizzo.
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Hotel Balkan: una vicenda per la quale non furono sentiti i testimoni diretti

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Narodni dom TriesteA proposito dell’incendio dell’Hotel Balkan di cui si parlava poco tempo fa nel post La storia del Narodni Dom o il battesimo dello squadrismo, scrive Dario Bazec:

Secondo quanto scrive Boris Pahor, che alla data dell’incendio del Balkan aveva 7 anni, il fatto avvenne all’inizio della notte e cioè circa alle ore 21. Tenuto conto che secondo l’ora solare il sole tramonta a quella data circa alle 19.30 e poi c’è il crepuscolo di circa un’ora o un’ora e mezza il fatto avvenne circa a quell’ora indicata. C’è ancora un particolare da osservare: Boris Pahor afferma che l’incendio divampò proprio quando la mamma stava mettendo a letto lui e sua sorella. La testimonianza è attendibile perché Pahor dimorava in via Commerciale 28, a 400 metri dal Balkan. Inoltre secondo le consuetudini di allora, i bambini andavano a dormire verso le 21. Non c’era né televisione, né radio, né altre distrazioni.

Rimane da chiedersi cosa facesse la folla sobillata dai fascisti dalle 17.30 alle 21. Mi pare che tre ore e mezzo sono tante; tanto più che bisogna tener conto che Piazza Unità non è molto distante da Piazza Dalmazia, dove si trovava il Balkan. Quindi si può dedurre che non si trattava di tutta la folla che manifestava in Piazza Unità, ma da un ristretto gruppo di fascisti.

A parte il “Primorski Dnevnik”, nessun quotidiano ha intervistato Boris Pahor. Il fatto mi sembra poco men che scandaloso. Anche perché, senza tema di essere smentito, è la prima volta nella storia dell’umanità, almeno quella scritta, che un testimone oculare possa riferire di fatti, peraltro tragici, accaduti 90 anni prima. Altre fonti dirette non esistono, anche perché la magistratura non ha indagato sull’incendio. La “vulgata” che circola è abbastanza sospetta, anche perché manipolata dai fascisti.

Per parlare di questa vicenda, si era partiti dalla ricostruzione pubblicata da Giuseppe Casarrubea sul suo blog.

E rimasero impuniti: “Se domani il santissimo non mi paga le fatture della Polonia, lo faccio saltare”

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E rimasero impunitiL’istituto vaticano, dunque, sembra proiettato verso un futuro che annulli – o quanto meno riduca – le malversazioni per le quali i suoi conti hanno fatto molto parlare. Malversazioni che, lungi dall’essere state punite, non sono state neanche mai del tutto chiarite. La banca vaticana nacque nel 1942 per farsi carico dei possedimenti terreni di pochi clienti d’élite e per questo chiedeva loro opere di carità. Che la carità non fosse però proprio uno stile di vita condiviso da tutti era emerso già nella seconda metà degli anni Settanta, quando intercorrevano i primi abboccamenti tra Santa Sede e governo italiano per il rinnovo del concordato nel 1929, siglato il 18 febbraio 1984.

In quel periodo, un gruppo di cronisti dell’Europeo, capitanato da Paolo Ojetti e sotto la direzione di Gianluigi Melega, «inciampò» negli estratti catastali di molti palazzi romani, concentrati soprattutto nel centro della capitale e nelle zone più prosperose delle periferie collinari. Scavando, si arrivò a stabilire che uno su quattro di quegli edifici era o era stato di proprietà del Vaticano e che le attività di compravendita avevano generato guadagni e plusvalenze mai toccate dal fisco.

Lo scandalo che ne seguì fu notevole, considerando poi che si era lavorato su una sola città, Roma, per quanto conosciuta come la città delle 1265 chiese. Da oltre Tevere si accusarono direttore e giornalisti di condurre una battaglia contro la religione cattolica e il clero. E sebbene tutto ciò che era stato scritto fosse dimostrabile, Melega lasciò il suo posto alla direzione del mensile di casa Rizzoli, nel frattempo sotto l’arrembaggio di Licio Gelli, Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din, che volevano il Corriere della Sera. Ma ciò che emerse dalle pagine del periodico milanese sarebbe stata la punta dell’icerberg.
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Teatro civile, nei luoghi dell’inchiesta e della narrazione: a settembre il nuovo libro di Daniele Biacchessi

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Teatro civile, nei luoghi dell'inchiesta e della narrazione di Daniele BiacchessiRicevo da Daniele Biacchessi e ripropongo volentieri:

A settembre esce il nuovo libro di Daniele Biacchessi “Teatro civile, nei luoghi dell’inchiesta e della narrazione” (Edizioni Ambiente, collana Verdenero inchieste), con l’introduzione del critico teatrale Oliviero Ponte di Pino. Contiene le testimonianze di Marco Paolini, Paolo Rossi, Ascanio Celestini, Marco Baliani, Giulio Cavalli, Renato Sarti, Roberta Biagiarelli, Sergio Ferrentino, Ulderico Pesce, Stefano Paiusco, Raja Marazzini, Patricia Zanco, Alessandro Langiu, Elena Guerrini, Saverio Tommasi, Gang, Modena City Ramblers, Cisco, Yo Yo Mundi, Gaetano Liguori, Pippo Pollina, Andrea Sigona, Michele Fusiello, Tiziana Di Masi, Alberto Nicolino, Giorgio Diritti, Massimo Martelli, Giangilberto Monti, Marco Rovelli, Alessio Lega, Massimo Priviero, Manuel Ferreira e Elena Lolli Alma Rosè, Roberto Rossi, Danilo Schininà, Marta Pettinari, Francesco Gherardi, Paolo Trotti, Marta Galli, e centinaia di cantastorie italiani.

Daniele Biacchessi torna nei luoghi della memoria italiana, incontra i principali artisti del teatro, del cinema e della musica di impegno civile, narra storie del passato e del presente: Vajont, Seveso, Petrolchimico di Marghera, Ilva di Taranto, l’amianto, le discariche abusive, le scorie nucleari, le fabbriche italiane e argentine, zolfare e zolfatari, il teatro ecologico. E ancora le guerre in Iraq, Somalia, Cecenia, Bosnia, Afghanistan, medio Oriente. Infine la memoria ritrovata della Resistenza, gli alpini morti sul Don, l’assedio di Leningrado, fino alle pagine più oscure della storia contemporanea come le stragi di Piazza Fontana a Milano e alla stazione di Bologna, la morte di Pino Pinelli, il caso Moro, Ustica, Moby Prince, Linate, gli omicidi di mafia e le cosche al Nord.

La collana all’interno della quale il libro esce è questa e nel caso il volume è prenotabile.

Via D’Amelio e altre storie: le indagini cambiano, i nomi sono spesso gli stessi

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Questo post era stato pubblicato tre anni fa, ma in un giorno come questo (per quanto il video sotto si riferisca a un precedente evento correlato a quello commemorato oggi) può essere utile ricordare che le indagini si succedono le une alle altre, ma troppo spesso i nomi rimangono gli stessi. Come recenti vicende stanno dimostrando.

Strano rivedere oggi immagini simili, quando a prendere la parola non era ancora il presidente della Sicilia, ma uno dei tanti aspiranti notabili che stava iniziano la scalata alla Regione. Totò Cuffaro lamenta di essere stato fin da allora oggetto di un linciaggio mediatico da parte dei Michele Santoro e Maurizio Costanzo di turno. Ma dice poi a proposito degli attentati di Capaci e di via D’Amelio:

La vecchia Dc scompare nella fase cupa e dolorosa delle stragi che colpiscono la Sicilia per mano della mafia, nel 1992, l’anno delle autobombe che stroncano la vita a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri innocenti. In meno di due mesi, vengono abbattuti brutalmente due baluardi della lotta alla mafia, la vera lotta combattuta in prima linea, non quella della finzione mediatica e demagogica.

Tuttavia ciò che davvero pensava dei magistrati antimafia (compresi quelli che sarebbero finiti ammazzati di lì a poco) lo scandì chiaramente in tivvù:

(Video via Sobborghi)