Roberto Calvi: 32 anni fa l’omicidio sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Un delitto a tutt’oggi ancora senza responsabili

Standard

Il caso CalviQuesto testo è uscito nel giugno 2012 come postfazione al libro a fumetti Il caso Calvi (BeccoGiallo), sceneggiato da Luca Amerio e Luca Baino e illustrato da Matteo Valdameri. È la ricostruzione degli ultimi giorni e delle possibili ragioni della morte del banchiere Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano ritrovato nelle ore del mattino del 18 gugno 1982 senza vita sotto un ponte londinese. Non un suicidio, come si cercò di accreditare quella morte, ma un delitto rimasto impunito. Gli anni, nel frattempo, sono diventati 32 mentre i nodi irrisolti sono rimasti sostanzialmente gli stessi.

Trent’anni. Tanti ne sono trascorsi da quel 18 giugno 1982 quando venne ritrovato un corpo issato sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Il cappio, una corda in fibra sintetica di colore arancione, diventò sbrigativo sinonimo di suicidio, suffragato nel giro di pochi giorni dal verdetto del coroner britannico. Ma oggi l’unica certezza è che si sbagliavano i giurati che, in cinque su sette, votarono per una morte provocata da un’impiccagione antoinferta.

Del resto non fu solo la famiglia Calvi a non credere fin da subito a quella provvidenziale (e spacciata come volontaria) uscita di scena. Il presidente del Banco Ambrosiano non era infatti un banchiere qualunque. Era così poco qualunque che a Londra, così come in qualsiasi altro Paese che non fosse l’Italia, non avrebbe dovuto trovarsi. Poco tempo prima, infatti, era stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione e a una multa da quindici milioni di lire per reati valutari e di lì a poco sarebbe iniziato l’appello. Un processo nel corso del quale, si temeva da più parti, Roberto Calvi avrebbe potuto raccontare inconfessabili retroscena della finanzia cattolica e laica, intrecciata al finanziamento di operazioni criminali per una classe politica fin troppo impastoiata con corruzione, coltivazione di posizioni personali e piduismo, utile camera di compensazione per interessi tanto eterogenei quanto convergenti.
Continue reading

“Il caso Calvi”: un romanzo a fumetti ricostruisce trent’anni dopo quel delitto impunito. Online la postfazione al libro

Standard

Il caso CalviNei prossimi giorni – il 20 giugno, per la precisione – uscirà per i tipi di BeccoGiallo il libro a fumetti Il caso Calvi, sceneggiato da Luca Amerio e Luca Baino e illustrato da Matteo Valdameri. È la ricostruzione degli ultimi giorni e delle possibili ragioni della morte del banchiere Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano ritrovato il 18 gugno 1982 senza vita sotto un ponte londinese. Non un suicidio, come si cercò di accreditare quella morte, ma un delitto rimasto impunito. Quella che segue è la postfazione al volume, “Trent’anni dopo”.

Trent’anni. Tanti ne sono trascorsi da quel 18 giugno 1982 quando venne ritrovato un corpo issato sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Il cappio, una corda in fibra sintetica di colore arancione, diventò sbrigativo sinonimo di suicidio, suffragato nel giro di pochi giorni dal verdetto del coroner britannico. Ma oggi l’unica certezza è che si sbagliavano i giurati che, in cinque su sette, votarono per una morte provocata da un’impiccagione antoinferta.

Del resto non fu solo la famiglia Calvi a non credere fin da subito a quella provvidenziale (e spacciata come volontaria) uscita di scena. Il presidente del Banco Ambrosiano non era infatti un banchiere qualunque. Era così poco qualunque che a Londra, così come in qualsiasi altro Paese che non fosse l’Italia, non avrebbe dovuto trovarsi. Poco tempo prima, infatti, era stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione e a una multa da quindici milioni di lire per reati valutari e di lì a poco sarebbe iniziato l’appello. Un processo nel corso del quale, si temeva da più parti, Roberto Calvi avrebbe potuto raccontare inconfessabili retroscena della finanzia cattolica e laica, intrecciata al finanziamento di operazioni criminali per una classe politica fin troppo impastoiata con corruzione, coltivazione di posizioni personali e piduismo, utile camera di compensazione per interessi tanto eterogenei quanto convergenti.
Continue reading

E rimasero impuniti: “Se domani il santissimo non mi paga le fatture della Polonia, lo faccio saltare”

Standard

E rimasero impunitiL’istituto vaticano, dunque, sembra proiettato verso un futuro che annulli – o quanto meno riduca – le malversazioni per le quali i suoi conti hanno fatto molto parlare. Malversazioni che, lungi dall’essere state punite, non sono state neanche mai del tutto chiarite. La banca vaticana nacque nel 1942 per farsi carico dei possedimenti terreni di pochi clienti d’élite e per questo chiedeva loro opere di carità. Che la carità non fosse però proprio uno stile di vita condiviso da tutti era emerso già nella seconda metà degli anni Settanta, quando intercorrevano i primi abboccamenti tra Santa Sede e governo italiano per il rinnovo del concordato nel 1929, siglato il 18 febbraio 1984.

In quel periodo, un gruppo di cronisti dell’Europeo, capitanato da Paolo Ojetti e sotto la direzione di Gianluigi Melega, «inciampò» negli estratti catastali di molti palazzi romani, concentrati soprattutto nel centro della capitale e nelle zone più prosperose delle periferie collinari. Scavando, si arrivò a stabilire che uno su quattro di quegli edifici era o era stato di proprietà del Vaticano e che le attività di compravendita avevano generato guadagni e plusvalenze mai toccate dal fisco.

Lo scandalo che ne seguì fu notevole, considerando poi che si era lavorato su una sola città, Roma, per quanto conosciuta come la città delle 1265 chiese. Da oltre Tevere si accusarono direttore e giornalisti di condurre una battaglia contro la religione cattolica e il clero. E sebbene tutto ciò che era stato scritto fosse dimostrabile, Melega lasciò il suo posto alla direzione del mensile di casa Rizzoli, nel frattempo sotto l’arrembaggio di Licio Gelli, Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din, che volevano il Corriere della Sera. Ma ciò che emerse dalle pagine del periodico milanese sarebbe stata la punta dell’icerberg.
Continue reading

Marco Damilano: non era l’amicizia che univa vecchi e nuovi premier

Standard

A proposito delle revisioni storico-politiche di questi giorni, è interessante il post che Marco Damilano pubblica sul blog Lost in politics a proposito di quello che unisce Craxi a Berlusconi:

Non è l’amicizia, come ha detto oggi Berlusconi all’uscita di casa del cardinale Ruini. Meglio del Cavaliere lo spiega una pagina del diario di Walter Tobagi, pubblicata nello stupendo libro della figlia Benedetta “Come mi batte forte il tuo cuore” (Einaudi).

«30 ottobre 1979. Il “Corriere” pubblica oggi un’intervista anonima a Craxi. Se l’è scritta Craxi da solo. Pilogallo mi racconta che il testo l’hanno portato Tassan Din e Angelo Rizzoli alle otto e mezzo di sera, i quali l’hanno consegnato a Di Bella. E Di Bella ha ritagliato le risposte, le hanno incollate su altri fogli, scrivendo di suo pugno (meglio: ricopiando) le domande che Craxi s’era fatte da solo. È vergognoso: sia per Craxi che per Di Bella».

Gli editori Bruno Tassan Din, Angelo Rizzoli e il direttore del “Corriere” Franco Di Bella erano iscritti alla loggia P2. Come Berlusconi, data di affiliazione 26 gennaio 1978, tessera numero 1816. E la singolare concezione della libertà di stampa, le autointerviste, non è l’unica cosa che collega Craxi a Berlusconi. Il volantino di rivendicazione dell’omicidio del giornalista fu ritrovato nella valigia di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Craxi andò a casa Tobagi a spiegare alla vedova che conosceva importanti documenti sull’assassinio del marito, ma che non poteva produrli per senso di responsabilità. La signora Maristella mise il segretario del Psi alla porta, «poi un pianto dirotto. È stato Craxi a provocarlo. A casa nostra non mise più piede». Per queste pagine Stefania Craxi ha accusato Benedetta Tobagi di «farneticazioni, allucinazioni, incapacità di uscire dal suo ruolo di figlia». Lei ne sa qualcosa.

Walter Tobagi, ricorda Benedetta, era socialista, aveva apprezzato l’elezione di Craxi alla segreteria del Psi nel ‘76, ma le sue speranze si affievolirono ben presto. Fu ucciso sotto casa, da una banda di aspiranti brigatisti il 28 maggio 1980. Il suo assassino Marco Barbone si è pentito, è stato subito scarcerato, è responsabile comunicazione della potente Compagnia delle Opere. A maggio sono trent’anni che siamo stati privati di Tobagi: chissà se anche Walter avrà un messaggio di commemorazione.