“Golpe di Stato”: gli attacchi a una Repubblica incompiuta

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Il 19 gennaio è uscito, per i tipi di Paper First, la casa editrice del Fatto Quotidiano, il libro Golpe di Stato. Il testo che segue, che presenta il volume e che è intitolato Tensione continua, l’odore di golpe per soffocare il Pci, è stato pubblicato sull’edizione cartacea del giornale il 19 gennaio 2024.

«Dobbiamo partire della constatazione che il Pci opera contro la democrazia servendosi dell’appoggio di una potenza straniera. Se si accetta questa impostazione, ogni provvedimento diventa possibile». Mario Scelba, nel 1954, era presidente del consiglio e stava riorganizzando la macchina repressiva dello Stato. Non era per lui pratica inedita: da ministro dell’Interno, al netto della “gestione” politica della strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, all’indomani delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 aveva ordinato la restituzione alle forze dell’ordine di armi distribuite nel Nord-Est, dove civili e militari erano stati allertati per entrare in azione nel caso i risultati elettorali non fossero stati favorevoli allo schieramento atlantista imperniato sulla Dc contro il fronte popolare Pci-Psi.
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Raggirato, derubato e ucciso: così Calvi divenne “finanziatore involontario” della strage di Bologna

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Roberto Calvi | Foto IlFattoQuotidiano.it

“Finanziatore involontario della strage di Bologna”. Con queste parole è stato di recente definito Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano assassinato a Londra nelle prime ore del 18 giugno 1982 e ritrovato impiccato – per simulare un suicidio – sotto il ponte dei Frati Neri. La definizione si legge nella memoria della procura generale di Bologna a conclusione del processo che lo scorso 6 aprile ha condannato in primo grado Paolo Bellini all’ergastolo per la bomba del 2 agosto 1980, che uccise 85 persone e ne ferì 216.

Nel corso di quel dibattimento, durato quasi un anno, si è parlato spesso di Calvi, della sua morte e del suo entourage, a iniziare da Licio Gelli. Il quale, già al vertice della loggia P2 a cui lo stesso banchiere era affiliato, è stato condannato per i depistaggi alle indagini sull’esplosione di Bologna e che si sarebbe probabilmente trovato, nel processo presieduto da Francesco Maria Caruso, imputato in qualità di finanziatore della strage, se non fosse deceduto il 15 dicembre 2015. E fu proprio Gelli a coinvolgere l’ignaro Roberto Calvi nel complesso flusso di denaro che servì, secondo i pm Nicola Proto e Umberto Palma (con loro, fino a dicembre, c’era anche Alberto Candi, poi andato in pensione), a remunerare il più grave degli attentati avvenuti in Italia dal dopoguerra a oggi. Come lo fece? Raggirandolo.

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“I soldi della P2”: sequestri, casinò, mafie e neofascismo, una lunga scia che porta a Gelli

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I soldi della P2

Il libro I soldi della P2, scritto con Fabio Repici e Mario Vaudano e pubblicato da Paper First (la casa editrice del Fatto Quotidiano), è il frutto di una lunga ricerca che va a sondare le vicissitudini di tre magistrati e le loro inchieste ricostruendo un quadro da cui discende un pezzo di storia recente finora rimasto insondato:

Vittorio Occorsio, trucidato a Roma dai colpi di mitra di Pierluigi Concutelli. Bruno Caccia, ammazzato a Torino da un commando ‘ndranghetista ancora non identificato. Giovanni Selis, miracolosamente scampato ad Aosta a una bomba piazzata sotto la sua auto, isolato dai colleghi, morto suicida pochi anni dopo.

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Trattativa, le motivazioni della sentenza vanno lette ricordando stragi neofasciste, golpe e P2

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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Durante il microfono aperto che Radio Popolare ha mandato in onda nella mattinata di giovedì 19 luglio, dedicato all’anniversario della strage di via D’Amelio, un ascoltatore ha chiamato esprimendo una sollecitazione a giornalisti e cittadini: non arroccarsi su singoli eventi o su singoli decenni, trattandoli come se fossero compartimenti stagni, ma ampliare l’ottica, dare una lettura organica al recente passato italiano.

L’ascoltatore ha ragione e le motivazioni della sentenza a conclusione del processo di primo grado sulla trattativa Stato-mafia vanno proprio in questo senso: non limitarsi a un periodo, ma allargare la lettura, raccogliere elementi in apparenza frutto di disegni criminali differenti – come quelli scaturiti dalla criminalità politica – per cogliere elementi di raccordo realmente esistenti.

In quest’ottica emerge un quadro che non è il risultato di un unico disegno delinquenziale, frutto di un potente burattinaio, ma che è il fronte più evidente di un’alleanza tra realtà eterogenee, come sembrano essere mafie, estremismo neofascista, apparati d’intelligence che, sulla base di interessi convergenti, “deviano” seguendo input politici ancora da inquadrare nel dettaglio, e massoneria che, al pari, dimentica i postulati della fratellanza in nome di qualcosa di diverso. Ecco alcuni aspetti.

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Ordine Nuovo e la sua riorganizzazione: come si arrivò alla strage di Piazza della Loggia

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Strage di piazza della Loggia

Parliamo ancora di stragi perché da ieri, martedì 19 dicembre, Maurizio Tramonte è in carcere a Rebibbia. Da Lisbona è giunto a Roma poco dopo le 13 e si è conclusa così la parentesi portoghese dell’ordinovista e fonte dei servizi segreti condannato definitivamente all’ergastolo alla fine del giugno scorso per la strage di Piazza della Loggia. È quella provocata a Brescia il 28 maggio 1974 da un ordigno collocato in un cestino per i rifiuti sotto un porticato e deflagrato durante la manifestazione indetta dal Comitato Permanente Antifascista e dalle Segreterie Provinciali della Cgil, Cisl e Uil.

Ma perché Tramonte, fuggito all’estero e arrestato a Fatima qualche giorno dopo il pronunciamento della prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Domenico Carcano, è stato giudicato colpevole della strage che provocò otto morti e 102 feriti? Se Carlo Maria Maggi, il medico il 82 anni che fu l’ispettore veneto di Ordine nuovo, è stato riconosciuto come l’ideatore della strage, anche a carico della ex fonte Tritone sono emersi elementi che, in primo luogo, lo hanno fatto ritenere organico al gruppo eversivo che a Maggi faceva capo.
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La strategia della tensione e ciò che si sa: è molto, anche se mancano pezzi di storia

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Banca nazionale dell'agricoltura, piazza Fontana, Milano

Partiamo con una serie di nomi. Sono quelli di Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva e Attilio Valè. A questi aggiungiamo altri due nomi: Alberto Muraro e Giuseppe Pinelli. I primi 17 sono le vittime dirette che, alle 16.37, fece l’ordigno che esplose il 12 dicembre 1969 all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana.

Gli altri due sono le vittime collaterali, addirittura, nel caso di Muraro, preventiva. Quest’ultimo era un carabiniere in pensione che infatti morì tre mesi prima di quell’esplosione, cadendo dal terzo piano di un condominio di Padova, in piazza Insurrezione, dove abitava Massimiliano Fachini, uno degli elementi di vertice di Ordine Nuovo. Una morte a tutt’oggi senza colpevoli. E poi c’è Giuseppe Pinelli, per tutti Pino, un anarchico che fu condotto in questura dopo l’attentato e che morì il 15 dicembre 1969 precipitando da una finestra dopo essere stato trattanuto per tre giorni.
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Palermo, 38 anni fa l’omicidio di Boris Giuliano: la mafia decise di eliminare un investigatore troppo pericoloso

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Boris GiulianoGli hanno sparato alle spalle sette proiettili 7.65. A essere puntata contro Giorgio Boris Giuliano, 49 anni, capo della squadra mobile di Palermo, è una Beretta semiautomatica che si trova da almeno venticinque o trenta centimetri da lui. È una mattina di pieno luglio, il 21 per la precisione, e malgrado la stagione estiva sia nel pieno, il vicequestore aggiunto esce dall’appartamento preso in affitto in via Alfieri a fine 1963 e varca la soglia del bar Lux di via De Blasi, a Palermo.

Chi lo incrocia quel mattino, se ne stupisce quasi perché Giuliano di solito ci andava quando accompagnava i figli a scuola, approfittando di quel caffè per comprare loro le merende. Invece il 21 luglio 1979 si ferma lì. Ordina un espresso e sul momento nessuno, nemmeno il titolare del locale, Giovanni Siragusa, che solo il 20 luglio precedente aveva ricevuto una lettera anonima su cui c’era scritto con timbri a inchiostro «Morirai tu e Contrada», sembra notare un uomo che entra appena dopo.

È sui 35 anni, alto approssimativamente poco meno di un metro e 70, robusto e con braccia poderose, fitti capelli castano scuri su un volto senza barba né baffi. Elementi che lì per lì non sembrano poter condurre in tempi rapidi a dare un nome al killer. Ma l’identikit elaborato nelle ore successive al delitto porta a Giacomo Bentivenga. Identità confermata nel giro di breve anche da una confidenza.
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Piazza della Loggia: le coperture istituzionali, la P2 e i rischi per la democrazia

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Strage di piazza della Loggia

“Ci sono stati uomini dello Stato che hanno agito contro l’ordine democratico di questo Paese e l’analisi del passato oggi può aprire nuove prospettive di conoscenza”. Lo ha detto ai microfoni di Radio Popolare Manlio Milani, presidente Associazione tra i familiari dei caduti di Piazza della Loggia, nella mattinata del 21 giugno scorso, il giorno dopo la conferma da parte della prima sezione della Cassazione degli ergastoli a Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi per la strage di Brescia del 28 maggio 1974. Non solo gruppi neofascisti, dunque, che – per dirla con le parole di Vincenzo Vinciguerra – “giudicati nel loro insieme o separatamente […], appaiono incapaci di costruire una minaccia politica”. Per l’autore della strage di Peteano del 31 maggio 1972, queste realtà sono nate “quali formazioni fiancheggiatrici di forze capaci per potenza di giungere a una soluzione del caso italiano, le forze armate”.

Con quale risultato? Secondo Vinciguerra, i “servizi, appoggiati e coadiuvati da ufficiali dei carabinieri e da funzionari di polizia, selezionano e reclutano gli uomini che per caratteristiche appaiono più idonei a trasformarsi in loro collaboratori permanenti, ai quali affidare il compito di creare gruppi d’azione, proporre attentati, svolgere attività informativa”. A fare affermazioni del genere non c’è solo il neofascista all’ergastolo per l’autobomba di Peteano, pur ritenuto attendibile in molteplici procedimenti, da quello per la strage alla questura di Milano alle indagini del giudice istruttore Guido Salvini, secondo cui sull’Italia sono spirati “gelidi venti di golpe”.

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Non solo Bologna: ‘ndrangheta, Licio Gelli e le stragi, schegge di destabilizzazione

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A quella riunione c’è un bell’uomo, sui 35 anni, aria distinta e occhiali griffati. Parla con accento anglosassone intercalando espressioni dialettali del sud e il suo ruolo è quello di “camera di passaggio della ‘ndrangheta e di cosa nostra a Milano“. È il 29 settembre 1991 e al santuario della Madonna di Polsi, comune di San Luca, si sta svolgendo l’annuale vertice della mafia calabrese allargato a boss siciliani, della sacra corona unita e a ospiti che arrivano da Stati Uniti e Australia.

I temi sono importanti perché è necessario porre fine alla guerra di ‘ndrangheta tra i De Stefano-Tegano-Libri e gli Imerti-Condello-Serraino. E non per una semplice opera di normalizzazione, ma perché in ballo c’è qualcosa di più importante, la destabilizzazione del sistema politico, all’epoca vigente, attraverso attività stragistiche.

L’ordinanza Mammasantissima, quella fa emergere i rapporti tra la criminalità organizzata e la politica locale fino a quella europea, contiene anche altre storie che scavano negli ultimi quarant’anni passando per la latitanza di Franco Freda in Calabria ai tempi del processo di Catanzaro per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Ma anche attraverso il ruolo di Licio Gelli nelle leghe del sud degli anni Novanta già raccontato in inchieste come la palermitana Sistemi criminali.

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Alto tradimento: la guerra segreta agli italiani da piazza Fontana alla strage alla stazione di Bologna

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Alto tradimento

Il 21 luglio 2016 è uscito per i tipi di Castelvecchi Editore (collana Stato di eccezione) il libro Alto tradimento – La guerra segreta agli italiani da piazza Fontana alla strage alla stazione di Bologna. Scritto a più mani, è firmato da Giorgio Gazzotti, Gigi Marcucci, Roberto Scardova, Claudio Nunziata e contiene anche un capitolo curato da me. Prefazione di Paolo Bolognesi.