Non solo Bologna: ‘ndrangheta, Licio Gelli e le stragi, schegge di destabilizzazione

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A quella riunione c’è un bell’uomo, sui 35 anni, aria distinta e occhiali griffati. Parla con accento anglosassone intercalando espressioni dialettali del sud e il suo ruolo è quello di “camera di passaggio della ‘ndrangheta e di cosa nostra a Milano“. È il 29 settembre 1991 e al santuario della Madonna di Polsi, comune di San Luca, si sta svolgendo l’annuale vertice della mafia calabrese allargato a boss siciliani, della sacra corona unita e a ospiti che arrivano da Stati Uniti e Australia.

I temi sono importanti perché è necessario porre fine alla guerra di ‘ndrangheta tra i De Stefano-Tegano-Libri e gli Imerti-Condello-Serraino. E non per una semplice opera di normalizzazione, ma perché in ballo c’è qualcosa di più importante, la destabilizzazione del sistema politico, all’epoca vigente, attraverso attività stragistiche.

L’ordinanza Mammasantissima, quella fa emergere i rapporti tra la criminalità organizzata e la politica locale fino a quella europea, contiene anche altre storie che scavano negli ultimi quarant’anni passando per la latitanza di Franco Freda in Calabria ai tempi del processo di Catanzaro per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Ma anche attraverso il ruolo di Licio Gelli nelle leghe del sud degli anni Novanta già raccontato in inchieste come la palermitana Sistemi criminali.

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