Ordine Nuovo e la sua riorganizzazione: come si arrivò alla strage di Piazza della Loggia

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Strage di piazza della Loggia

Parliamo ancora di stragi perché da ieri, martedì 19 dicembre, Maurizio Tramonte è in carcere a Rebibbia. Da Lisbona è giunto a Roma poco dopo le 13 e si è conclusa così la parentesi portoghese dell’ordinovista e fonte dei servizi segreti condannato definitivamente all’ergastolo alla fine del giugno scorso per la strage di Piazza della Loggia. È quella provocata a Brescia il 28 maggio 1974 da un ordigno collocato in un cestino per i rifiuti sotto un porticato e deflagrato durante la manifestazione indetta dal Comitato Permanente Antifascista e dalle Segreterie Provinciali della Cgil, Cisl e Uil.

Ma perché Tramonte, fuggito all’estero e arrestato a Fatima qualche giorno dopo il pronunciamento della prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Domenico Carcano, è stato giudicato colpevole della strage che provocò otto morti e 102 feriti? Se Carlo Maria Maggi, il medico il 82 anni che fu l’ispettore veneto di Ordine nuovo, è stato riconosciuto come l’ideatore della strage, anche a carico della ex fonte Tritone sono emersi elementi che, in primo luogo, lo hanno fatto ritenere organico al gruppo eversivo che a Maggi faceva capo.
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Addio a Michele Cacioppo, l’ispettore che ha indagato in silenzio sulla stagione delle stragi

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Michele Cacioppo

Chi ha lavorato con lui conserva ricordi precisi. Il sigaro che accendeva appena sceso dalla moto per dare qualche tiro prima di entrare in uffici in cui il divieto di fumo è legge da anni. E l’abilità nelle ricerche d’archivio. In primis gli archivi delle questure, che conosceva alla perfezione, ma anche di procure e apparati di intelligence, da cui aveva acquisito fascicoli e atti che poi si era studiato per le sue annotazioni destinate alla procura di Brescia.

L’ispettore di polizia Michele Cacioppo, nato il 28 aprile 1957 a Menfi, in provincia di Agrigento, è stato un protagonista silenzioso di una stagione. È quella delle indagini, seguita agli anni della strategia della tensione, delle stragi, dei depistaggi, dei morti nelle banche, nelle stazioni, nelle piazze. In forza ai servizi antiterrorismo della Direzione centrale della polizia di prevenzione, praticamente da sempre era stato in prima linea in indagini delicatissime. Ustica, per citare solo un episodio, con le 81 vittime morte a bordo del Dc9 dell’Itavia abbattuto il 27 giugno 1980 nei cieli del Mediterraneo.

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Piazza Fontana: loro sapevano. Le memorie del generale Maletti. E anche quelle di Maggi

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Piazza Fontana. Noi sapevamoA pagina 11 del Fatto Quotidiano di oggi viene pubblicato un articolo intitolato Piazza Fontana. “Quell’arsenale ripulito dai carabinieri” (il link consente di scaricare l’articolo in formato pdf, 794MB). Si riferisce al lavoro fatto da tre giornalisti, Nicola Palma, Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato, che sono andati in Sudafrica a intervistare il generale Gianadelio Maletti. Un primo risultato di quei tre giorni a contatto con l’ex capo del controspionaggio del Sid era l’intervista in video già segnalata qui. Ora invece (e a questo si riferisce l’articolo del Fatto), esce il libro Piazza Fontana. Noi sapevamo – Golpe e stragi di Stato. Le verità del generale Maletti (Aliberti Editore):

Il generale per la prima volta apre i suoi archivi, allungando un’ombra inquietante sulla matrice americana della strage e facendo importanti rivelazioni sull’esplosivo usato a piazza Fontana, sul percorso delle bombe e sul commando («Io so i loro nomi»), composto da elementi legati all’eversione nera veneta. Gli autori dell’intervista sono riusciti a individuare uno di loro, cosa che né la magistratura né la stampa erano mai state in grado di fare.

Maletti riferisce di un coinvolgimento americano anche nel golpe Borghese e nella strage di piazza della Loggia, che sarebbe stata eseguita da neofascisti «della stessa covata di piazza Fontana». Tra coloro che sapevano di questa strategia, figurano i nomi di Giulio Andreotti e del presidente Saragat, insieme ad altri personaggi minori: uno di questi, assicura Maletti, era ministro nel penultimo governo Berlusconi.

Da segnalare anche un’altra uscita, risalente questa volta allo scorso gennaio. È un libro pubblicato dall’Editoriale Chiaravalle che si intitola L’ultima vittima di Piazza Fontana. L’ultima vittima – anche se suona non di poco impudente – dovrebbe essere dunque il suo autore, Carlo Maria Maggi, uno dei leader di Ordine Nuovo del nord-est che, come si viene a sapere dal sottotitolo, “racconta la sua verità”. Per leggere di più a proposito di questa pubblicazione, si può dare un’occhiata qui.

Il “non detto” del generale Maletti e il “detto” del processo di Brescia

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Dice e non dice, pur parlando molto e innervosendosi anche, il generale Gianadelio Maletti, in questa intervista realizzata per il quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana da Nicola Palma, Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato e prodotta da Francesco Virga e Gianfilippo Pedote per Mir Cinematografica. Il video sopra riportato è il primo di tre parti: qui il secondo e qui invece il terzo. Una porzione del materiale era stata messa online lo scorso 12 dicembre con un’intervista pubblicata sull’Espresso (gli autori sono gli stessi del video) e un breve estratto in voce. Grazie a Ivan Carozzi per la segnalazione del materiale su Youtube.

Per quanto riguarda l’ex direttore del Sid – riparato in Sudafrica trent’anni fa per sfuggire a una condanna per fatti legati alla strage piazza Fontana – probabilmente non verrà in Italia per testimoniare a Brescia, dove è in corso il processo per la bomba di piazza della Loggia. Ma di lui si è parlato negli ultimi giorni su Brescia Oggi: «Un golpe a Campione Buzzi lo sapeva» e Tramonte, il silenzio della «spia qualificata».

Piazza della Loggia, a processo si racconta dei documenti che scompaiono

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Riccardo Lenzi mi segnala un articolo uscito ieri sul quotidiano Brescia Oggi. Si intitola «Dall’archivio svaniti i documenti delle stragi» e racconta ciò che Giovanni Flamini ha dichiarato in qualità di consulente un paio di giorni fa alla Corte d’Assise di Brescia dove è in corso il processo per la strage di piazza della Loggia (su Radio Radicale è disponibile la registrazione dell’intera udienza mentre sopra si può ascoltare il singolo intervento di Flamini). Il testo dell’articolo segnalato da Riccardo merita di essere riportato per estero.

Nessun riferimento alla stra­ge di piazza Loggia o alla que­stura di Milano, consumata un anno prima, il 17 maggio ’73. Nelle veline della Divi­sione Affari Riservati non com­pare alcuna nota informativa sull’attentato bresciano. E non è l’unica pagina terroristi­ca a mancare dall’archivio. «Erano proprio i documenti che cercavo con più curiosità, conoscevo bene le carte su piazza Fontana. Ma non c’era nulla, a volte, solo le intestazio­ni». A ricordare con dovizia di dettagli il materiale custodito nel deposito di Circonvallazio­ne Appia è Giovanni Flamini, consulente, chiamato a depor­re dai pm nel terzo processo sulla strage bresciana. Era sta­to incaricato dalla Procura di Milano di esaminare parte de­gli archivi della Dar, nell’inchiesta su piazza Fontana: 36 anni dopo. a Brescia, l’accusa punta a ricostruire luci e ombre dell’attività della Dar per dimostrare che la strage di piazza Loggia maturò in un contesto che vedeva legati a doppio filo estremisti neri e ap­parati statali deviati.

«Dovevamo trovare elemen­ti che riconducessero agli at­tentati di Roma e Milano nel ’69: la documentazione, che andava dal ’61 al ’94, era ripo­sta in 40 scatole di cartone ‑ ri­corda Flamini ‑, ma il materia­le era incomprensibile». Ma nel marasma dei documenti c’era anche un brogliaccio quo­tidiano con la cronologia degli eventi giorno per giorno. « So­no andato all’agosto ’69, quan­do, tra il l’8 e il 9, si consumaro­no 10 attentati ai treni ‑ spiega Flamini ‑, ma al 7 le veline si fermavano, per riprendere so­lo 3 giorni dopo». Stessa cosa per piazza Fontana: « Il mate­riale arrivava fino a dicem­bre, poi niente. L’ipotesi più probabile era che qualcuno lo avesse fatto sparire». Molti i fascicoli sui gruppi di estrema sinistra, ma anche buste inte­state al gruppo padovano ordi­novista di Freda. Ventura e Fa­chini: «ma vuote».
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Quando le indagini su piazza della Loggia vennero manipolate

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Domani di Maurizio ChiericiNei giorni scorsi, il Fatto Quotidiano riportava – unico tra le testate nazionali, se si esclude Radio Radicale, che ne ha pubblicato su web la registrazione integrale – la cronaca di un’udienza di fine anno del processo per la strage di piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974. A firmare quella cronaca è Elisabetta Reguitti, che ascolta in aula la deposizione di Angiolino Papa.

Papa venne arrestato nel gennaio 1975 nell’ambito di un’indagine su Ermanno Buzzi per la morte di Silvio Ferrari, un neofascista ventiduenne vicino agli ambienti milanesi della Fenice di Giancarlo Rognoni e Nico Azzi e morto nel maggio 1974 mentre trasportava una bomba sulla sua Vespa. Ermanno Buzzi, invece, era un criminale comune di orientamento neonazista e con aspirazioni dandy. Nel 1979, in una sorta di sillogismo giudiziario che dall’indagine Ferrari portò a piazza della Loggia, sia Papa che Buzzi saranno condannati rispettivamente a dieci anni e all’ergastolo per la strage di Brescia. Buzzi poi, nel 1981, verrà assassinato nel carcere di Novara da Mario Tuti e Pierluigi Concutelli e l’anno successivo i suoi coimputati – Papa compreso – saranno assolti dalle accuse per i fatti di Brescia con una sentenza divenuta definitiva.

Sul finire del 2009, dunque, Papa è tornato a raccontare dei metodi investigativi tutt’altro che ortodossi usati per incastrarlo. E racconta di Francesco Delfino, l’ufficiale dei carabinieri che si occupò delle indagini per la strage di Brescia fino al 1977, quando venne trasferito prima a Milano per passare l’anno successivo al Sismi sotto la cui egida rimase fino alla seconda metà degli anni Ottanta. Di questo periodo si ricorda la sua frase «si ha suicidato», riferita nel 1997 alla commissione stragi: si riferiva alla morte del banchiere Roberto Calvi, avvenuta a Londra il 17 giugno 1982, quando Delfino era capo centro Europa, e con quella bizzarra forma grammaticale – affermò – voleva dire che dubitava dell’ipotesi del suicidio.
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Il generale Maletti e il tempo dei fatti declinati a rate

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Domani di Maurizio ChiericiC’è un altro personaggio della recente storia italiana che nei giorni scorsi è tornato a far parlare di sé. Anzi, più precisamente, che ha preso la parola. Si definisce un esiliato per ragioni politiche, ma la verità è che il suo trentennale soggiorno in Sudafrica deriva da una condanna, divenuta definitiva, per i depistaggi alle indagini sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Si tratta del generale Gianadelio Maletti, classe 1921, ex capo del controspionaggio del Sid (Servizio informazioni difesa), che da Johannesburg continua a guardare ai fatti italiani e talvolta a ricevere compatrioti per raccontare il suo pezzo di storia della strategia della tensione (lo ha fatto con vari giornalisti, magistrati e con i componenti della commissione stragi).

Ma iniziamo dalla fine. Come probabilmente molti sanno, da un anno ormai è in corso a Brescia il nuovo processo per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. Imputati sono Maurizio Tramonte, Carlo Maria Maggi, Pino Rauti, Francesco Delfino e Giovanni Maifredi (la posizione di quest’ultimo, lo scorso maggio, è stata congelata per ragioni di salute). Ed è proprio in relazione a questo procedimento che torna in scena il generale Maletti. Il quale è in attesa di un salvacondotto che gli consenta di presentarsi, nei primi mesi del 2010, ai giudici lombardi per deporre.

In attesa di sapere se l’ex militare potrà rientrare nel Paese schivando qualsiasi conseguenza penale a suo carico, occorre fare una considerazione. E la considerazione è che la memoria – intesa in questo caso come “facoltà della mente di fare proprie esperienze e nozioni e di richiamarle al momento opportuno” (dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti) – è una capacità curiosa. Pensate un po’ a questo generale che, mentre erano in corso i fatti a cui ha contribuito direttamente, ha parlato sempre a mezza bocca, usando termini marginali, e oggi – a quarant’anni di distanza da piazza Fontana a trentacinque da piazza della Loggia – ripesca ricordi che penseresti irrecuperabili.
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Processo per piazza della Loggia: Affatigato parla di Gelli

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Dal numero più recente della newsletter di Misteri d’Italia, si legge questo passaggio, Strage di Brescia, Affatigato: “Con Gelli si parlò di attentati”:

Marco Affatigato, negli anni Settanta referente di Ordine Nuovo per la provincia di Lucca, sospettato di essere al soldo dei servizi segreti italiano e francese (il suo nome compare in un depistaggio per la strage di Ustica), interrogato durante il processo per la strage di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974, ha riferito, tra l’altro, di un incontro, avvenuto in quegli anni, con Licio Gelli, maestro della Loggia massonica P2, con cui parlò di possibili attentati ai tralicci.

“Noi – ha detto Affatigato – cercavamo del denaro e venimmo presentati ad una persona che ci chiese se eravamo disponibili a compiere attentati ai tralicci. Risposi negativamente anche perché allora non ero ancora entrato in clandestinità. Successivamente riconobbi in quell’uomo Licio Gelli”.

Per chi volesse seguire le udienze in corso a Brescia per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, le registrazioni integrali sono qui.

Dopo 34 anni, il terzo processo per piazza della Loggia

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Francesco Zambelli scrive per PeaceReporter il testo che segue. Si intitola Trentaquattro anni per una verità e racconta l’apertura del terzo processo per la strage di piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974.

Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari e il marito Alberto Trebeschi, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Luigi Pinto e Vittorio Zambarda. Sono i nomi che si sentono pronunciare ogni anno, ogni 28 maggio, in piazza della Loggia. I nomi di chi in quella piazza, nel 1974, partecipava a una manifestazione antifascista e si trovava vicino al cestino della spazzatura dove alcuni fascisti, con la complicità di una parte dei servizi dello stato italiano, avevano messo una bomba.

Questo è il terzo processo che vuole far luce su chi ordinò e chi compì la strage. Imputati sono Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Giuseppe Rauti, Francesco Delfino e Giovanni Maifredi. Si tratta, probabilmente, dell’ultimo processo per le stragi che tra il ’69 e il ’74 vennero organizzate in Italia con lo scopo di favorire una svolta autoritaria, militare, nel nostro paese. Si basa sulle ricostruzioni fornite da un ex agente della Cia, Carlo Digilio, esperto di esplosivi che collaborò alla realizzazione di alcune stragi ed è morto nel 2005: ironia della sorte, proprio nel giorno dell’anniversario di quella di piazza Fontana, la prima, la madre di tutte le stragi. Sono state poi raccolte informative della polizia, documentazione del Sismi (servizi segreti militari), atti di processi come quello contro il Mar di Fumagalli e del conflitto a fuoco avvenuto a Pian del Rascino, dichiarazioni prese dai processi precedenti e nei processi per le stragi di piazza Fontana e della questura di Milano. Un altro procedimento è stato aperto contro gli avvocati Gaetano Pecorella e Fausto Maniaci per aver fatto da tramite nel consegnare a Martino Siciliano 150mila dollari per ritrattare le sue dichiarazioni contro Delfo Zorzi.
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