4 gennaio 1991: Uno bianca, a vent’anni dall’eccidio del Pilastro

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Schieramenti - Commemorazione dell'eccidio del PilastroIl 4 gennaio di vent’anni fa si consumava la strage del Pilastro, tre carabinieri – Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, ognuno poco più che ventenne – assassinati dalla banda della Uno bianca, anche se nel 1991 ancora non lo si sapeva e le indagini si sarebbero indirizzate sui fratelli Santagata e sui loro presunti complici (poi tutti prosciolti per questi fatti, essendo la responsabilità dei tre Savi, Roberto, Fabio e Alberto). Riccardo Lenzi ha scritto in proposito un articolo pubblicato su Domani di Arcoiris Tv che parte dalle richieste di perdono inviate a più riprese dai criminali ai familiari delle vittime:

Spietato. Quale altro aggettivo per uno Stato che non si fa carico del dolore di queste e di tante altre madri? Come giustificare un ministro della giustizia (Alfano) che, dopo aver annunciato la sua presenza, lo scorso ottobre ha disertato la commemorazione delle vittime della Uno bianca? Chi può negare che le lentezze e gli “errori” della giustizia, l’ipocrisia della politica e le offensive richieste di perdono degli assassini abbiano reso ancora più doloroso il calvario di queste madri?

[…] Storie d’Italia. Storie di vita e di morte, “di amore e di odio”. Terrificanti e commoventi. Il cui ricordo è, dovrebbe essere, un dovere civile. Lo scorso 23 dicembre, nel silenzio dei media, ricorreva il 20° anniversario dell’assalto dei fratelli Savi al campo nomadi della Bolognina, in cui morirono due zingari: Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. Ma i Rom, si sa, non interessano quasi a nessuno. Perché non votano e non portano voti.

Badate: non è questione di amore o di odio. Quel che manca è la giustizia (terrena). Forse solo l’urlo delle madri può risvegliare dal torpore coloro che si accontentano delle verità ufficiali. Nel caso della Uno bianca, vorrebbero farci credere alla favola degli sbirri cattivi sconfitti dagli sbirri buoni: i buoni arrestano le mele marce e tutti vissero felici e contenti. Purtroppo non è così.

E a proposito degli attacchi ai campi rom, si veda quest’altro articolo di Riccardo, Dicembre 1990: quando a Bologna si sparava agli zingari. E qui lo speciale curato da Repubblica Bologna.

Schegge contro la democrazia: mercoledì la presentazione e un primo articolo sull’Unità

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Schegge contro la democraziaL’articolo che segue, a firma di Giulia Gentile, è stato pubblicato sul quotidiano L’Unità ieri, 25 luglio, a pagina 2 dell’edizione dell’Emilia Romagna. Riprende alcuni punti contenuti all’interno di Schegge contro la democrazia, scritto con Riccardo Lenzi e in uscita mercoledì prossimo per i tipi di Socialmente Editore. A proposito di dopodomani e del volume, due segnalazioni: il 28 luglio, a mezzogiorno, presso la sede dello Spi-Cgil Emilia Romagna (coeditore insieme allo Spi-Cgil territoriale di Bologna, via Marconi 69) ci sarà la conferenza stampa di presentazione mentre se ne tornerà a riparlare il 31, alle 21, presso la libreria Ambasciatori con Carlo Lucarelli. Qui il pdf (128KB) con il dettaglio dei due appuntamenti.

Istantanea da un giorno qualunque, ad una manciata di ore dalla strage di Bologna. Da un paio di settimane, i terroristi neri Valerio Fioravanti e Francesca Mambro – poi condannati in via definitiva insieme a Luigi Ciavardini come esecutori materiali dell’attentato alla stazione di Bologna – sono ospiti in Sicilia del dirigente del gruppo di estrema destra Terza posizione, Francesco ‘Ciccio’ Mangiameli, che poi uccideranno a settembre dello stesso anno tentando di far sparire il cadavere nel lago romano di Tor de’ Cenci. Per i giudici è a casa di Mangiameli, eliminato per essere diventato un testimone pericoloso della strage, che la coppia dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) incontra un tale Gaspare Cannizzo.
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“Schegge contro la democrazia”: oggi il panorama consente di fare qualche passo di più verso i mandanti

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Schegge contro la democraziaIl testo che segue è a prefazione del libro Schegge contro la democrazia scritto a quattro mani con Riccardo Lenzi, in uscita (sia in libreria che su web) il prossimo 28 luglio. La prefazione è firmata da Claudio Nunziata.

Da quel 2 agosto 1980 la realtà è profondamente cambiata. Nonostante il resto del mondo stia viaggiando nella modernità, in Italia ci si è fermati alla realizzazione del progetto politico di Licio Gelli che, pur nato già vecchio, ha trovato attuazione vent’anni dopo. Un progetto politico autoritario che tenta di azzerare il metodo del confronto democratico, stravolgere i principi affermati nella Costituzione e resuscitare le vecchie nostalgie di ex partigiani monarchici, cattolici tradizionalisti ed ex repubblichini riciclatisi nella giovane Repubblica.

Dopo la parentesi golpista sviluppatasi sotto il patronato della coppia Kissinger-Nixon (1969-1974), fu avviato un progetto di trasformazione autoritaria molto più sofisticato, che la debolezza dei normali strumenti di difesa della democrazia affidati a servizi di sicurezza, oramai inquinati dalle pratiche degli anni precedenti, e a una procura romana non sempre attenta, incoraggiò. I successivi e progressivi passaggi – il sequestro del figlio dell’ex-segretario del Psi, onorevole Francesco De Martino (5 aprile 1977), il sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro (16 marzo 1978), l’omicidio del segretario della Dc siciliana Michele Reina (9 marzo 1979) e poi quello del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), la strage di Bologna (2 agosto 1980) e l’eliminazione di buona parte della migliore classe dirigente del Paese che avrebbe potuto costituire un ostacolo o frapporsi alla attuazione del Piano – rappresentano le tappe dell’affermazione del nuovo soggetto politico formatosi dalla alleanza tra i ceti massonici, paramassonici e i mafiosi più spregiudicati.
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“Schegge contro la democrazia”: 2 agosto 1980, le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari

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Schegge contro la democraziaUn tour de force tutt’altro che concluso, quello che porterà il prossimo 28 luglio all’uscita di questo nuovo lavoro, Schegge contro la democrazia – 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari, scritto con il collega Riccardo Lenzi e con la prefazione di Claudio Nunziata, magistrato che a lungo ha indagato sulle stragi in Italia:

La strage alla stazione di Bologna fu il più grave attentato del periodo che va sotto l’espressione «strategia della tensione»: 85 morti e duecento feriti. Per questo furono condannati gli esecutori materiali – terroristi di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari – e i depistatori, appartenenti ai servizi segreti militari e alla loggia P2, a iniziare dal suo capo, Licio Gelli. Ma periodicamente si tenta di introdurre elementi revisionisti che mettano in discussione le poche realtà accertate in sede processuale. Questo libro ripercorre testimonianze, relazioni parlamentari e atti giudiziari arrivando fino all’ultimo processo di Brescia per la strage di piazza della Loggia (28 maggio 1974) e giunge a una conclusione: è vero, mancano i mandanti, ma le responsabilità materiali e gli intralci alla giustizia hanno un’identità. Un’identità già scritta nella sentenze.

Questo libro vuole essere un tributo contro facili revisionismi all’Associazione tra i familiari delle vittime alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 a trent’anni dalla bomba nella sala d’aspetto di seconda classe. E ancora una volta, per giungere alla pubblicazione, c’è la collaborazione di Socialmente Editore, la casa editrice fondata da Oscar Marchisio, e in particolare di Ornella Pastorelli. Ma c’è anche il concreto supporto di SPI CGIL Emilia Romagna e SPI CGIL Bologna, a nome delle quali Maurizio Fabbri e Bruno Pizzica firmano il documento iniziale.

A partire da fine mese, dunque, Schegge contro la democrazia sarà in libreria e anche su web.

Piazza della Loggia, a processo si racconta dei documenti che scompaiono

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Riccardo Lenzi mi segnala un articolo uscito ieri sul quotidiano Brescia Oggi. Si intitola «Dall’archivio svaniti i documenti delle stragi» e racconta ciò che Giovanni Flamini ha dichiarato in qualità di consulente un paio di giorni fa alla Corte d’Assise di Brescia dove è in corso il processo per la strage di piazza della Loggia (su Radio Radicale è disponibile la registrazione dell’intera udienza mentre sopra si può ascoltare il singolo intervento di Flamini). Il testo dell’articolo segnalato da Riccardo merita di essere riportato per estero.

Nessun riferimento alla stra­ge di piazza Loggia o alla que­stura di Milano, consumata un anno prima, il 17 maggio ’73. Nelle veline della Divi­sione Affari Riservati non com­pare alcuna nota informativa sull’attentato bresciano. E non è l’unica pagina terroristi­ca a mancare dall’archivio. «Erano proprio i documenti che cercavo con più curiosità, conoscevo bene le carte su piazza Fontana. Ma non c’era nulla, a volte, solo le intestazio­ni». A ricordare con dovizia di dettagli il materiale custodito nel deposito di Circonvallazio­ne Appia è Giovanni Flamini, consulente, chiamato a depor­re dai pm nel terzo processo sulla strage bresciana. Era sta­to incaricato dalla Procura di Milano di esaminare parte de­gli archivi della Dar, nell’inchiesta su piazza Fontana: 36 anni dopo. a Brescia, l’accusa punta a ricostruire luci e ombre dell’attività della Dar per dimostrare che la strage di piazza Loggia maturò in un contesto che vedeva legati a doppio filo estremisti neri e ap­parati statali deviati.

«Dovevamo trovare elemen­ti che riconducessero agli at­tentati di Roma e Milano nel ’69: la documentazione, che andava dal ’61 al ’94, era ripo­sta in 40 scatole di cartone ‑ ri­corda Flamini ‑, ma il materia­le era incomprensibile». Ma nel marasma dei documenti c’era anche un brogliaccio quo­tidiano con la cronologia degli eventi giorno per giorno. « So­no andato all’agosto ’69, quan­do, tra il l’8 e il 9, si consumaro­no 10 attentati ai treni ‑ spiega Flamini ‑, ma al 7 le veline si fermavano, per riprendere so­lo 3 giorni dopo». Stessa cosa per piazza Fontana: « Il mate­riale arrivava fino a dicem­bre, poi niente. L’ipotesi più probabile era che qualcuno lo avesse fatto sparire». Molti i fascicoli sui gruppi di estrema sinistra, ma anche buste inte­state al gruppo padovano ordi­novista di Freda. Ventura e Fa­chini: «ma vuote».
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La questione immorale: la giustizia e le considerazioni di Norberto Lenzi

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La questione immoraleDel libro La questione immorale – Perché la politica vuole controllare la magistratura di Bruno Tinti avrei voluto scriverne già da un po’: letto tutto d’un fiato in un’andata e ritorno ferroviaria, illustra in termini semplici e appassiona(n)ti gli obiettivi verso cui puntano le varie riforme e riformette delle giustizia. Solo per fare qualche esempio (alcune di queste voci c’è da scommettere che non risulteranno nuove): separazione delle carriere, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione giudiziaria, soppressione delle sezioni di pg presso le procure, rivalsa sul giudice che si vede cambiare una sentenza in un successivo grado di giudizio. E per chi volesse andare a vedere altri punti che si stanno portando avanti, provi a dare un’occhiata all’atto di sindacato ispettivo n° 1-00019 dello scorso 29 luglio.

Riccardo Lenzi però mi precede e oggi mi ha inviato un testo scritto da suo padre Norberto, magistrato bolognese che fu pretore fino a quando questa funzione è stata soppressa (questa una delle sue sentenze celebri). Le fitte righe che seguono, dunque, sono state scritte da lui per la presentazione del libro di Tinti a Fano, lo scorso 27 aprile. E meritano di essere lette perché, al di là delle considerazioni strettamente legate all’evento a cui Lenzi partecipava, rendono bene il modo in cui la politica (o forse soprattutto certi uomini politici) condiziona il dibattito su un tema così delicato.

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Non so perché mentre leggevo il libro di Tinti mi è venuto in mente Hegel quando diceva che ciò che è reale è razionale. Teoria discutibile, criticata anche perché dicono che ha posto le basi del nazismo. Non so se questo sia vero ma so che il libro di Tinti dimostra che è sbagliata, perché la realtà (il reale) da lui descritta è assolutamente irrazionale, di una irrazionalità voluta, che viene perseguita con rigore scientifico, a volte per ragion di stato, a volte per ragion di partito, a volte perché un uomo solo al comando vuole piegare l’interesse di tutti al suo.

Il quadro complessivo del sistema giustizia descritto da Tinti è desolante perché non prevede una via di uscita, anzi la esclude motivatamente. Le uniche note un po’ stonate del libro, non in linea con il suo pessimismo cosmico, si trovano all’inizio.
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