“Ad alta voce” inizia a Bologna con le “parole per l’Italia” di chi ha vissuto sulla propria pelle la storia recente del Paese

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Ad alta voce

Le prime parole per l’Italia le pronunceranno Nando Dalla Chiesa e i familiari delle tre associazioni vittime che hanno sede a Bologna, quelle della strage di Ustica del 27 giugno 1980, della bomba alla stazione scoppiata il successivo 2 agosto e della banda della Uno bianca, che colpì dal 1987 al 1994 uccidendo 24 persone. A loro, infatti, è affidato il via dell’undicesima edizione della maratona di lettura Ad alta voce che venerdì 7 ottobre e sabato 8 fa tappa nel capoluogo emiliano-romagnolo (le altre città sono Venezia, dove c’è stata la settimana scorsa, e Cesena, contemporanea a quella bolognese). Un’iniziativa che, volendo incentrarsi sui 150 anni dell’unità d’Italia, ha deciso di esordire domani alle 18 in prefettura proprio con chi un pezzo della storia del Paese ce l’ha scritto addosso o nella propria famiglia.
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4 gennaio 1991: Uno bianca, a vent’anni dall’eccidio del Pilastro

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Schieramenti - Commemorazione dell'eccidio del PilastroIl 4 gennaio di vent’anni fa si consumava la strage del Pilastro, tre carabinieri – Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, ognuno poco più che ventenne – assassinati dalla banda della Uno bianca, anche se nel 1991 ancora non lo si sapeva e le indagini si sarebbero indirizzate sui fratelli Santagata e sui loro presunti complici (poi tutti prosciolti per questi fatti, essendo la responsabilità dei tre Savi, Roberto, Fabio e Alberto). Riccardo Lenzi ha scritto in proposito un articolo pubblicato su Domani di Arcoiris Tv che parte dalle richieste di perdono inviate a più riprese dai criminali ai familiari delle vittime:

Spietato. Quale altro aggettivo per uno Stato che non si fa carico del dolore di queste e di tante altre madri? Come giustificare un ministro della giustizia (Alfano) che, dopo aver annunciato la sua presenza, lo scorso ottobre ha disertato la commemorazione delle vittime della Uno bianca? Chi può negare che le lentezze e gli “errori” della giustizia, l’ipocrisia della politica e le offensive richieste di perdono degli assassini abbiano reso ancora più doloroso il calvario di queste madri?

[…] Storie d’Italia. Storie di vita e di morte, “di amore e di odio”. Terrificanti e commoventi. Il cui ricordo è, dovrebbe essere, un dovere civile. Lo scorso 23 dicembre, nel silenzio dei media, ricorreva il 20° anniversario dell’assalto dei fratelli Savi al campo nomadi della Bolognina, in cui morirono due zingari: Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. Ma i Rom, si sa, non interessano quasi a nessuno. Perché non votano e non portano voti.

Badate: non è questione di amore o di odio. Quel che manca è la giustizia (terrena). Forse solo l’urlo delle madri può risvegliare dal torpore coloro che si accontentano delle verità ufficiali. Nel caso della Uno bianca, vorrebbero farci credere alla favola degli sbirri cattivi sconfitti dagli sbirri buoni: i buoni arrestano le mele marce e tutti vissero felici e contenti. Purtroppo non è così.

E a proposito degli attacchi ai campi rom, si veda quest’altro articolo di Riccardo, Dicembre 1990: quando a Bologna si sparava agli zingari. E qui lo speciale curato da Repubblica Bologna.

Rosanna Zecchi: non far cadere nell’oblio ciò che avvenne tra il 1987 e il 1994

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Il testo che è segue è la versione integrale di quanto pronunciato da Rosanna Zecchi, presidentessa dell’Associazione dei familiari delle vittime della banda della Uno bianca, lo scorso 13 ottobre in Comune, a Bologna, giorno in cui vengono ricordati tutti coloro che vennero uccisi tra il 1987 e il 1994 dal gruppo dei Savi e dei loro complici. Da notare, come già accaduto lo scorso 2 agosto, l’assenza di un rappresentante del governo. Assenza che è stata fatta notare nel corso della cerimonia di commemorazione.

Buongiorno a tutti,

quest’anno abbiamo pensato di organizzare la commemorazione delle nostre vittime qui, nella Sala del Consiglio Comunale, modificando il solito programma delle celebrazioni, per riportare al centro della città l’attenzione sulle vicende che insanguinarono per 7 lunghi anni non solo Bologna, ma tutto il territorio della Provincia e molti comuni della Romagna e delle Marche, quindi abbiamo pensato e proposto al Commissario Straordinario Cancellieri, che ringraziamo per la disponibilità e la partecipazione, di riunirci qui, per rendere quel doveroso omaggio a delle vittime innocenti che negli ultimi anni sono state via via sempre più dimenticate dai cittadini, malgrado essi, con il loro sacrificio abbiano tentato, di riportare la legalità in questi territori.

Inoltre, ci era sembrato un luogo più istituzionale per ricevere il Ministro della Giustizia On. Alfano che aveva accolto il nostro invito, durante l’incontro del Gennaio scorso, concessoci dopo un’attesa di 9 mesi, ma il Ministro ci ha comunicato, una decina di giorni fa, di avere altri impegni. Nel corso di quell’incontro, la nostra richiesta è stata immediatamente quella di tenere alta la guardia soprattutto su alcuni componenti dalla Banda Uno Bianca che, per il loro presunto comportamento corretto, stavano ottenendo sempre più agevolazioni e permessi.
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“Scala di grigio” e “A parole, in breve”: due appuntamenti su GNUFunk Radio

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Doppio appuntamento su GNUFunk Radio. Mentre gli archivi delle trasmissioni sono in corso di spostamento anche su Archive.org (e per vedere che c’è, basta visitare questa pagina), giovedì sera alle 20.20 parte la prima puntata della rubrica di libri A parole, in breve. Rilasciato con licenza CC-BY-SA e in onda ogni settimana alla stessa ora, questo primo appuntamento si compone di questi elementi:

Nato: colpito e affondato

La rubrica di libri “A parole, in breve” (CC-BY-SA) parla di Nato: colpito e affondato di Gianni Lannes, uscito con la prefazione di Andrea Purgatori per le Edizioni La Meridiana (collana Passaggi. Clicca qui per sfogliarne un estratto). Dalla scheda di presentazione:

Il 4 Novembre del 1994 nell’Adriatico orientale cinque uomini e il loro cane pescano come sempre. Il “Francesco Padre”, la loro barca, ora è un rantolo contorto e i loro corpi giacciono in fondo al mare. La vicenda rientra tra quelle su cui vige il segreto di Stato. Quella notte, in quelle acque, era in corso l’operazione della Nato “Sharp Guard”.

Il brano che ha accompagnato questa puntata si intitola Drunk Again, è contenuto nell’album Alien-American dei Tequila Mockingbird ed è rilasciato con una licenza Creative Commons BY-NC-ND.

Già da ora la registrazione è ascoltabile e scaricabile da Archive.org.

Monumento alle vittime della Uno biancaVenerdì sera alle 21 (e giovedì 26 novembre alle 16) invece torna Scala di grigio – Ritratti di storie in ombra e questa volta l’argomento sarà La banda della Uno bianca: una scia di terrore lunga sette anni (anche in questo caso presente su Archive.org):

Scala di grigio – Ritratti di storie in ombra è rilasciato con licenza Creative Commons BY-SA. Questa seconda puntata racconta la vicenda della banda della Uno bianca ed è dedicata alle vittime e ai sopravvissuti. Negli appuntamenti successivi, che avranno cadenza mensile, invece si parlerà di questi temi:

  • Alceste Campanile: delitto politico a Reggio Emilia
  • I delitti del DAMS: quando si parlò del serial killer all’università
  • Ilaria Alpi: la Somalia, la guerra e i traffici dall’occidente
  • Fausto e Iaio: una calibro 32 per due giovani del Leoncavallo
  • La saponificatrice di Correggio: amiche fatte di sapone

La puntata precedente:

Fonti audio e brani musicali

Credits

Un ringraziamento a MSound.org e GNUFunk Radio per il supporto tecnico nella realizzazione di questa trasmissione.

Uno bianca: una ferita che a cicli costanti si riapre

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Monumento in memoria delle vittime della banda della Uno biancaIl 13 ottobre è il giorno in cui vengono ricordate le vittime delle banda della Uno Bianca. Oggi, alle 15.30, presso i giardini bolognesi di via Lenin-Populonia, ci sarà la cerimonia di commemorazione. In merito alla recente vicenda di Fabio Savi, lo sciopero della fame iniziato a fine agosto è stato interrotto qualche giorno fa, dopo il trasferimento dall’ospedale di Voghera a un nosocomio di Milano.

Nell’agosto 2006, a pochi giorni dall’indulto, un ergastolano, Roberto Savi, chiese la grazia. Aveva scontato meno di 12 anni per l’omicidio di 24 persone e il ferimento di 102. Poche settimane fa un altro ergastolano, Fabio Savi, fratello di Roberto, ha chiesto una cella singola, il trasferimento a Firenze per avvicinarsi alla moglie e la detenzione in un carcere non di massima sicurezza. Per raggiungere il suo scopo, inizia lo sciopero della fame ed è ricoverato in via prudenziale all’ospedale di Voghera, la città presso cui si trova l’istituto di pena nel quale è rinchiuso.

Per quanto meno clamorose rispetto alle pretese di Roberto Savi, anche quelle di Fabio hanno suscitato polemiche perché riportano l’attenzione su una delle più sanguinarie vicende criminali di questo Paese: quella della banda della Uno bianca. Per comprenderne si inizi dai numeri. C’è una banda composta da sei persone: Roberto, Fabio e Alberto Savi, Luca Vallicelli, Marino Occhipinti e Pietro Gugliotta, scarcerato per fine pena nell’agosto 2008. Cinque sono poliziotti e compiono 103 incursioni, ma tante le volte in cui i banditi tornano a casa a mani vuote.

Anni di errori e depistaggi

Oggi è certo che in quegli anni ci fu chi non seppe guardare nella direzione corretta: ci fu chi indagò su clan di catanesi, bande delle Regate e delle Coop o neonate organizzazioni criminali, come l’inesistente quinta mafia bolognese. Non mancarono nemmeno conflitti di competenza, difetti di coordinamento tra procure, personalismi e carrierismo.
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Il gioco infame della Uno bianca

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Un gioco infameL’abilità di Massimo Polidoro nel rendere in chiave thriller storie realmente accadute era già stata dimostrata nel libro uscito un anno fa, Etica Criminale, incentrato sulla figura del bandito milanese Renato Vallanzasca e recentemente riedito in collana economica sempre da Piemme. Con Un gioco infame invece Massimo cambia ambientazione e dal capoluogo lombardo passa all’Emilia Romagna e alle Marche, regioni in cui tra il 1987 e il 1994 agirono i banditi della Uno bianca, cinque poliziotti e un carrozziere che fecero in quel lunghissimo periodo ventiquattro morti e centodue feriti. Ma c’è una cittadina che più precisamente si posiziona al centro della storia raccontata in questo romanzo (che tuttavia sarebbe più opportuno definire docufiction): è Rimini, uno dei centri caldi delle indagini che per anni videro alternarsi investigatori e indagini e da cui, raccontano gli atti processuali, partì la svolta che pose fine, nel novembre 1994, alla storia della banda della Uno bianca.

Quando si scrive un romanzo — o quando si rievocano fatti reali volendo narrarli con gli strumenti che la narrativa mette a disposizione — occorre scegliere un punto di osservazione. Che può essere di un personaggio fuori campo, ma che meglio rende se il personaggio in campo c’è. La scelta di Massimo di scartare i fratelli Savi e i loro complici è corretta: la barbarie e la gratuità che caratterizzarono la loro storia criminale non li rende adatti ai panni di un protagonista, anche se lo si volesse cattivo e nerissimo. Allora le voci narranti sono altre e sono quelle di coloro che si sono guadagnati il merito di aver sgominato la banda, l’ispettore Luciano Baglioni e vice sovrintendente Pietro Costanza coordinati dall’allora sostituto procuratore di Rimini Daniele Paci.
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“A terra, ho detto, vai giù”

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Il testo riportato sotto è stato scritto da Emanuele Tamiazzo, un maresciallo dei carabinieri che il 15 gennaio 1991, undici giorni dopo l’eccidio del Pilastro, venne ferito gravemente dai banditi della Uno bianca. Emanuele racconta così ciò che accadde quella sera d’inverno a Pianoro, in provincia di Bologna, e le sue parole avrebbero dovuto essere lette durante l’ultima serata di BoNoir, lo scorso agosto. Così però non è stato e allora ecco di seguito il suo racconto.

Il 15 gennaio 1991, me lo ricordo, avevo ospiti per cena. Così, terminato il servizio, vado a casa, indosso abiti civili ed esco di nuovo per comprare qualche pizza. Nel frattempo, però, passo a salutare i gestori del distributore di benzina di Pianoro: erano degli amici e con quello che stava succedendo in quel periodo c’era poco da star tranquilli. Quattro chiacchiere, una battuta, qualche risata. Fino a quando arriva una Fiat Uno che si ferma dietro il gabbiotto del distributore, alle mie spalle. Nulla di strano, lì per lì, ma quando entra il nuovo arrivato, un tizio lungo, con occhiali che sembravano rayban e cappellino da pescatore, la situazione cambia drasticamente: è armato, urla a tutti i buttarsi a terra, che quello non è uno scherzo, è una rapina.

Gli altri eseguono. Io mi inginocchio invece e porto le mani dietro la nuca. Per il rapinatore non basta. “A terra, ho detto, vai giù”, sbraita. Eseguo anche io, mi distendo. A quel punto il rapinatore afferra quanto c’era in cassa, poca roba, appena più di qualche spicciolo, e perquisisce me e le altre persone che tiene sotto tiro. Quindi, apparentemente soddisfatto e senza fretta, si gira e fa per andarsene.
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