“Schegge contro la democrazia”: oggi il panorama consente di fare qualche passo di più verso i mandanti

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Schegge contro la democraziaIl testo che segue è a prefazione del libro Schegge contro la democrazia scritto a quattro mani con Riccardo Lenzi, in uscita (sia in libreria che su web) il prossimo 28 luglio. La prefazione è firmata da Claudio Nunziata.

Da quel 2 agosto 1980 la realtà è profondamente cambiata. Nonostante il resto del mondo stia viaggiando nella modernità, in Italia ci si è fermati alla realizzazione del progetto politico di Licio Gelli che, pur nato già vecchio, ha trovato attuazione vent’anni dopo. Un progetto politico autoritario che tenta di azzerare il metodo del confronto democratico, stravolgere i principi affermati nella Costituzione e resuscitare le vecchie nostalgie di ex partigiani monarchici, cattolici tradizionalisti ed ex repubblichini riciclatisi nella giovane Repubblica.

Dopo la parentesi golpista sviluppatasi sotto il patronato della coppia Kissinger-Nixon (1969-1974), fu avviato un progetto di trasformazione autoritaria molto più sofisticato, che la debolezza dei normali strumenti di difesa della democrazia affidati a servizi di sicurezza, oramai inquinati dalle pratiche degli anni precedenti, e a una procura romana non sempre attenta, incoraggiò. I successivi e progressivi passaggi – il sequestro del figlio dell’ex-segretario del Psi, onorevole Francesco De Martino (5 aprile 1977), il sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro (16 marzo 1978), l’omicidio del segretario della Dc siciliana Michele Reina (9 marzo 1979) e poi quello del presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980), la strage di Bologna (2 agosto 1980) e l’eliminazione di buona parte della migliore classe dirigente del Paese che avrebbe potuto costituire un ostacolo o frapporsi alla attuazione del Piano – rappresentano le tappe dell’affermazione del nuovo soggetto politico formatosi dalla alleanza tra i ceti massonici, paramassonici e i mafiosi più spregiudicati.
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Il racconto di Herman Carrasco, testimone contro i golpisti cileni

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Una decina di giorni fa, a Roma, al parco della Casetta Rossa (zona Garbatella), la festa “L’altra estate” ha avuto come ospite Herman Carrasco, “testimone contro i golpisti cileni”, e Paolo Brogi su di lui ha scritto quando si può leggere di seguito.

Il Processo per il desaparecido cileno Omar Venturelli, le accuse al torturatore Podlech, la testimonianza alla prossima udienza della figlia  di Venturelli

Herman Carrasco, torturato in Cile dai militari di Pinochet, testimone contro il procuratore militare Alfonso Podlech, ha accusato il suo aguzzino in aula a Roma nell’ultima udienza processo che vede accusato l’ex procuratore militare cileno di Temuco di fronte alla I Corte d’Assise di Roma per l’omicidio di Omar Venturelli. Gli ha ricordato le torture subite con la “picana” elettrica, il cappuccio in testa e gli elettrodi sul corpo nudo e bagnato, le vessazioni e le umiliazioni. Gli ha anche detto di averlo riconosciuto in quella sala delle torture dentro la caserma Tucapel. E infine lo ha accusato di aver ucciso sei militanti comunisti accusati di un falso attacco alla polveriera interna del carcere in cui erano detenuti, una messinscena per giustificarne l’eliminazione. 

Poi Carrasco ha anche ricordato Omar Venturelli, militante di Cristiani per il socialismo e simpatizzante del Mir, insegnante di pedagogia nell’università cattolica di Temuco, impegnato nella lotta contro i latifondisti a fianco dei contadini mapuche, è stato fatto “scomparire” dal carcere di Temuco in Cile nell’ottobre del 1973. Podlech, arrestato dal giudice spagnolo Garzon nel 2008 mentre era di passaggio in Spagna, è detenuto a Rebibbia.

Carrasco prima di tornare in Cile vuole ricordare a chi ha espresso solidarietà ai cileni che il processo va avanti, le prossime due udienze sono previste il 21 e il 22 luglio. Nella prima delle due udienze sarà ascoltata dalla Corte la figlia di Venturelli, Maria Paz, che ha perso il padre (qui accanto nella foto) quando aveva soltanto due anni. Maria Paz parlerà davanti all’uomo che è accusato di aver eliminato suo padre, lo farà la mattina del 21 luglio nell’aula al I piano dell’edificio B del tribunale di Piazzale Clodio a Roma.

Promememoria. In Italia si celebrano dal Duemila processi per i desaparecidos in Argentina e in Cile. Gli ultimi due processi sono in corso davanti alla Prima Corte d’Assise presieduta da Anna Argento (Piazzale Clodio, Edificio B, I piano).

Il primo processo – pm Antonello Caporale – riguarda tre desaparecidos in Argentina, dove nei sette anni di dittatura tra il 1976 e il 1983 sono “scomparsi” trentamila oppositori. Il processo vede imputato in contumacia l’ammiraglio argentino Emilio Eduardo Massera, capo della famigerata scuola della marina militare Esma in cui si torturavano i prigionieri e da cui sono partiti i voli della morte. All’Esma sono scomparsi oltre 5.500 prigionieri e nella stessa struttura molte donne prigioniere incinte hanno partorito bambini che poi sono stati destinati a coppie di famiglie in genere militari. Il processo contro Massera si celebra in Italia paese di origine di tre desaparecidos, Angela Maria Aieta, Giovanni e Susana Pegoraro. Le prossime udienze sono previste il 27 e il 28 settembre.

Il secondo processo – pm Giancarlo Capaldo – riguarda invece il desaparecido cileno Omar Venturelli.  Arrestato nel settembre  del 1973 Venturelli è scomparso il 4 ottobre dalla carceri cilene. L’accusato è Alfonso Podlech, all’epoca procuratore militare di Temuco. Podlech, è un golpista militante del gruppo fascista Patria y libertad.

E rimasero impuniti: i benefattori di Solidarnosc e l’almeno annunciata glasnost vaticana

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E rimasero impunitiIntanto nuovi verbali d’interrogatorio sono stati compilati. Lo scorso giugno, per esempio, Massimo Ciancimino, il figlio del potente sindaco di Palermo Vito Ciancimino, è stato sentito da pubblico ministero Tescaroli per il contenuto dell’intervista rilasciata a Gianluigi Nuzzi in Vaticano Spa. Oggetto delle domande sono stati i rapporti tra suo padre e la banca vaticana nel corso degli anni Settanta e Ottanta.

«Le transazioni a favore di mio padre», ha detto il figlio del sindaco di Palermo a Nuzzi, «passavano tutte tramite i conti e le cassette dello IOR. Poi [i soldi venivano] trasferiti a Ginevra […]. Mio padre mi ripeteva che queste cassette erano impenetrabili perché era impossibile poter esercitare una rogatoria all’interno dello Stato del Vaticano […]. Allo IOR i movimenti finanziari verso Stati esteri erano molto più economici di altri canali, come i classici “spalloni”. Si poteva operare nella totale riservatezza, lasciando una minima offerta alla banca del papa».

Quanto ci sia di fondato nelle parole di Ciancimino junior deve essere ancora accertato, compresi dettagli non irrilevanti come il finanziamento alla corrente andreottiana della Democrazia Cristiana, le percentuali versate a titolo di donazio ne a ecclesiastici compiacenti, la complicità nei passaggi della tangente Enimont e la gestione di denaro per contro dell’«ingegner Loverde», alias Bernardo Provenzano.

Sempre Luca Tescaroli nell’autunno del 2008 era andato poi a parlare direttamente anche con un protagonista delle rivolte anticomuniste in Polonia, Lech Wałęsa. Lo aveva raggiunto a Gadansk e l’argomento comprendeva, oltre l’impiccagione del 18 giugno 1982, il ruolo della banca vaticana nel finanziamento dei movimenti ostili ai regimi del Patto di Varsavia. «Era soltanto solidarietà», disse l’ex sindacalista di Danzica al magistrato italiano. Il quale gli fece notare che, in termini numerici, si trattava di solidarietà per mille milioni di dollari e che c’era il fondato sospetto che il denaro provenisse da cosa nostra.
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Beppe Sebaste: reportage dall’olocausto bianco dei rifiuti

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Una segnalazione per un’inchiesta realizzata da Beppe Sebaste, “Spazzatour”: reportage dall’olocausto bianco dei rifiuti:

Ci fermiamo quindi nel triangolo della morte, ultimo girone, a poche centinaia di metri da Casal di Principe: Parco Saurini, S. Tammaro, Ferrandelle. Ogni rilievo, ogni collina (ce ne sono tante) racchiude una discarica interrata, su cui crescono cespugli giallastri. Ma ce ne sono altre speciali, incredibili: montagne incolori, ecoballe di rifiuti senza neanche la plastica, denudate e impudiche sotto un impietoso cielo azzurro. Quelle che Bertolaso aveva dichiarato di avere eliminato, che nessun manto vegetale ricopre.

Questo è solo un passaggio, ma vale la pena di leggerla tutta, questa inchiesta.

E rimasero impuniti: trasparenza sul futuro e foschia sul passato

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E rimasero impunitiIl processo di primo grado contro gli imputati dell’omicidio Calvi, dopo novanta udienze succedutesi nell’arco di due anni e al termine di una giornata di camera di consiglio, non è stato in grado di chiarire una serie di punti. Primo tra tutti, il nome di mandanti ed esecutori. Se sembra provato – come è scritto nelle motivazioni – che «l’uccisione di Roberto Calvi è stata deliberata dalla mafia per punirlo e per evitare che rendesse pubblica la sua attività di riciclaggio e rivelasse i suoi rapporti con le persone che fungevano da canale di collegamento con l’organizzazione criminale», non si è andati oltre un’idea verosimile degli ultimi giorni di vita del banchiere.

Ma non l’esatta ricostruzione di quanto accaduto. E nemmeno è stata data una descrizione di quanto Roberto Calvi minacciava di rivelare proprio alla vigilia della sua morte attraverso una ridda di lettere e di colloqui con il suo fido braccio destro di allora, Flavio Carboni. A tanti anni di distanza, in attesa delle sentenze d’appello e di Cassazione, quello del banchiere di Dio continua a essere uno dei fantasmi più frequenti, misteriosi e forse comodi della recente storia italiana.

Il presidente del Banco Ambrosiano è infatti ancora una presenza concreta nella vita italiana. Si pensi che non sono trascorsi che alcuni mesi da quando si discuteva dell’inclusione di Roberto Calvi e di Michele Sindona nel dizionario biografico degli imprenditori della Treccani, almeno nell’opera generale (poi però la crisi dell’editoria e quella più in generale dell’economia hanno fatto mettere in discussione la vita stessa del dizionario, sotto lo spauracchio di un drastico taglio del suo budget). E – nota a margine – nessuno gli ha mai revocato l’onorificenza di cavaliere del lavoro e medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte.
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“Il segreto delle tre pallottole”, il nodo della fusione a freddo e dell’industria degli armamenti

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Per quanto uscito nella nuova collana Verdenero Inchieste, il libro, Il segreto delle tre pallottole, firmato da Maurizio Torrealta ed Emilio Del Giudice nella veste si presenta come un romanzo. Ma – avvertono gli autori – ciò che viene raccontato è frutto di una duplice inchiesta: da una parte, il giornalista – Torrealta – che con il suo team d'”inchiestisti” si butta su una storia per verificarne l’autenticità a livello di accadimenti; dall’altra il fisico – Del Giudice – che si prende in carico i contenuti della vicenda e si accerta che quanto meno siano plausibili sul piano scientifico.

Il nodo attorno a cui ruota questa storia è quello dell’esistenza della fusione fredda, reazione nucleare a bassa energia che, presentata nel 1989 da Martin Fleischmann e Stanley Pons, venne fatta a pezzi dalla comunità scientifica che sosteneva l’implausibilità del procedimento. Vai a osservare però le verifiche svolte sul lavoro dei due ricercatori dell’università di Salt Lake City e ti accorgi che il metodo scientifico non era stato proprio rispettato. Tanto che quando, anni dopo, in Italia si tenterà ancora un procedimento di fusione fredda, ecco la sorpresa: funziona.

Il romanzo, all’interno del quale sono contenute lunghe descrizioni fisiche e chimiche dei procedimenti innescati, parte e prosegue come una spy story, quale poi in realtà è. I suoi elementi comprendono scienziati avvelenati da microesposizioni radioattive che provocano altrettanto microscopici tumori, telefonate nel cuore della notte, personaggi strani che iniziano a girare intorno ai protagonisti con l’implicito scopo di intimorirli. Ma soprattutto questo libro è il racconto di una guerra sottaciuta. Anzi, di una guerra sporca, occultata all’interno di operazioni per l'”esportazione della democrazia”.
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“Schegge contro la democrazia”: 2 agosto 1980, le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari

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Schegge contro la democraziaUn tour de force tutt’altro che concluso, quello che porterà il prossimo 28 luglio all’uscita di questo nuovo lavoro, Schegge contro la democrazia – 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari, scritto con il collega Riccardo Lenzi e con la prefazione di Claudio Nunziata, magistrato che a lungo ha indagato sulle stragi in Italia:

La strage alla stazione di Bologna fu il più grave attentato del periodo che va sotto l’espressione «strategia della tensione»: 85 morti e duecento feriti. Per questo furono condannati gli esecutori materiali – terroristi di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari – e i depistatori, appartenenti ai servizi segreti militari e alla loggia P2, a iniziare dal suo capo, Licio Gelli. Ma periodicamente si tenta di introdurre elementi revisionisti che mettano in discussione le poche realtà accertate in sede processuale. Questo libro ripercorre testimonianze, relazioni parlamentari e atti giudiziari arrivando fino all’ultimo processo di Brescia per la strage di piazza della Loggia (28 maggio 1974) e giunge a una conclusione: è vero, mancano i mandanti, ma le responsabilità materiali e gli intralci alla giustizia hanno un’identità. Un’identità già scritta nella sentenze.

Questo libro vuole essere un tributo contro facili revisionismi all’Associazione tra i familiari delle vittime alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 a trent’anni dalla bomba nella sala d’aspetto di seconda classe. E ancora una volta, per giungere alla pubblicazione, c’è la collaborazione di Socialmente Editore, la casa editrice fondata da Oscar Marchisio, e in particolare di Ornella Pastorelli. Ma c’è anche il concreto supporto di SPI CGIL Emilia Romagna e SPI CGIL Bologna, a nome delle quali Maurizio Fabbri e Bruno Pizzica firmano il documento iniziale.

A partire da fine mese, dunque, Schegge contro la democrazia sarà in libreria e anche su web.

E rimasero impuniti: Molinari, il commissario di Tenco che amava Gladio

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E rimasero impunitiInfine, in quest’elenco, c’è un personaggio quasi di colore da aggiungere. È Arrigo Molinari. Ex poliziotto, quando concluse la sua carriera in divisa, si congedò con il grado di vicequestore a Genova e di certo negli anni in cui prestò servizio di sé fece parlare. Accadde, in termini clamorosi, quando nel 1981 saltò fuori che il suo nome era incluso nella lista degli iscritti alla P2 con la tessera 767. Sottoposto a provvedimento disciplinare interno, riuscì a cavarsela perché vennero prese per buone le sue motivazioni: lo fece per ragioni di servizio. Per vederci più chiaro nelle attività della loggia, aveva infatti provato – riuscendoci – a infiltrarvisi. Lo stesso raccontò nel maggio 1984 a Carlo Palermo, ai tempi pubblico ministero alla procura di Trento.

L’inchiesta in corso riguardava traffici di droga e armi che avevano finito, attraverso un finanziere di origine svizzera, per coinvolgere anche il partito socialista e fu un’inchiesta che non giunse mai a termine perché Palermo fu deferito al Consiglio superiore della magistratura. A quel punto la sede a cui venne destinato fu Trapani, dove nel 1985 subì un grave attentato: un’autobomba a lui destinata esplose a Pizzolungo uccidendo una donna alla guida di una vettura che lo stava superando, Barbara Asta, e i suoi due figlioletti. Dopo poco il magistrato lasciò la toga e si dedicò alla professione di avvocato, oltre che di politico.

Le informazioni che Molinari fornì a Palermo prima di questi fatti erano per la maggior parte de relato e la prima, riferitagli dal suo ufficiale reclutatore, riguardava gli Stati Uniti. Qui – sostenne – sarebbe stato conservato uno degli archivi della P2, che andava riconsiderata in termini internazionali dato che coinvolgeva, oltre a gerarchi sudamericani, come l’ex capo di Stato maggiore della marina militare argentina, Emilio Eduardo Massera, anche esponenti della finanza e della massoneria a stelle e strisce. Lo spirito atlantico che avrebbe cementato i rapporti tra i piduisti italiani e i loro referenti americani sarebbe stato così forte da imporre una riunione presso l’ambasciata statunitense a Roma per analizzare la vittoria elettorale del PCI alle amministrative del 15 giugno 1975.
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