“Radici e sangue”: il romanzo di Gianni Pesce che racconta la vera storia sull’origine delle indagini su mafia e politica

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Radici e sangueQuesta è la storia di un’inchiesta su mafia e politica quando i due termini non potevano ancora essere accostati. Ed è una storia vera che porta a un’ecatombe, con gli omicidi del giudice struttore Rocco Chinnici e dei poliziotti Beppe Montana e Ninni Cassarà (seguiranno quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), dopo che negli anni precedenti il filo dei soldi di cosa nostra, che si iniziava a seguire, avvicinava troppo alle stanze dei bottoni e a quelle dei banchieri (o bancarottieri). E così erano già stati ammazzati il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano (1979) e gli ufficiali dei carabinieri Emanuele Basile (1980) e Mario D’Aleo (1983).

Questa storia è raccontata in un libro uscito nell’autunno 2010, Radici e sangue. Lo firma Gianni Pesce, un funzionario che nel romanzo si chiama Mari e che a Cagliari viene messo a capo di un commissariato decentrato perché già aveva dato fastidio. È il racconto di un’inchiesta che lo vede chiamato in causa in prima persona, dato che fu lui a coordinare un lavoro contro il traffico di stupefacenti sbarcato in Sardegna per il tramite diretto di cosa nostra.
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“Io sono il libanese”: il prequel di “Romanzo criminale”, quando a metà anni Settanta la bandaccia non era ancora tale

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Io sono il libaneseThriller pages lo dà in uscita il prossimo 3 luglio. Si tratta di Io sono il libanese di Giancarlo De Cataldo (Einaudi), prequel di Romanzo criminale (romanzo molto liberamente ispirato alla banda della Magliana) e di Nelle mani giuste (i “sopravvissuti” della banda nell’Italia di Tangentopoli, nei nascenti anni Novanta). La scheda del libro anticipa che:

Roma, 1976. Un anno prima che tutto accada. Il Libanese freme. Il Libanese ha tre amici, Dandi, il Bufalo, Scrocchiazeppi. Passa con loro da un colpetto all’altro, tiene le armi delle altre bande. Il Terribile, che aspira a diventare il capo dei capi, tratta lui e gli altri pischelli come miserabili. Ma il Libanese non è uno dei tanti. Il Libanese ha un sogno. Un sogno ancora troppo grande per lui. Poi, una sera, il Libanese incontra Giada. Lei è bella, ricca, inquieta. Lei vuole cambiare le cose. Lei vuole fare la rivoluzione. Giada appartiene a un altro mondo. Il Libanese ne è stregato. E nello stesso tempo comincia a intuire che proprio da quel mondo potrà venire l’idea che gli permetterà di rendere il suo sogno una realtà. È grazie a lei, inconsapevole guida, che il Libanese penetra nel mondo dei ricchi, prima come pusher di un grande artista schiavo dell’eroina, e poi organizzando, con i suoi compari, un primo sequestro di persona (preludio di quello che segnerà, appena pochi mesi dopo, la nascita della Banda): il sequestro di un ricchissimo palazzinaro, padre di Sandro, l’amico del cuore di Giada.

(Via Diego Riggi)

“Chi ha ucciso Pio La Torre?”: vita e morte di un uomo che “diede fastidio a tutti” nella recensione di E Il Mensile

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Chi ha ucciso Pio La TorreAntonio Marafioti pubblica la sua recensione per E Il Mensile del libro di Paolo Mondani e Armando Sorrentino intitolato Chi ha ucciso Pio La Torre? (Castelvecchi, prefazione di Andrea Camilleri). E usa queste parole:

Gli intrighi noti al segretario siciliano erano davvero tanti e lui non si risparmiò mai nella ricerca di quella verità che ancor oggi sembra lontana dall’essere appurata: Portella della Ginestra, la stagione degli omicidi politici siciliani, l’installazione dei missili a Comiso, la lotta per la legge Rognoni-La Torre per la confisca dei beni alle cosche e l’introduzione del reato di associazione mafiosa. E ancora Cosa nostra e la Democrazia Cristiana di Vito Ciancimino e Salvo Lima, Gladio in Sicilia, l’Anello di Andreotti, La P2 di Licio Gelli, e l’incrocio fra massoneria e capi mafia. Pio La Torre “diede fastidio” proprio a tutti, si mise al centro di un fuoco incrociato che partiva finanche dai fucili Thompson di fabbricazione statunitense.

Furono queste le armi usate per la sua esecuzione e ancora ci si chiede il perché, visto che la mafia aveva a disposizione i ben più potenti e nuovi kalashnikov. Ma quella mafiosa, seppur la più plausibile, non sembrerebbe essere l’unica pista da seguire. Se gli esecutori sono stati rintracciati i mandanti rimangono ancora occulti. Per molti l’attentato a La Torre avrebbe fatto comodo a qualcuno più in alto della cupola di Cosa nostra. È quello che lui chiamava “terrorismo politico mafioso” e che affonda le radici in episodi mai del tutto chiariti, come quello del tentato golpe che Junio Valerio Borghese cercò di organizzare nel dicembre del 1970 con l’aiuto della mafia siciliana.

Continua qui. Invece la scheda del libro si trova qui.

“Il caso Calvi”: un romanzo a fumetti ricostruisce trent’anni dopo quel delitto impunito. Online la postfazione al libro

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Il caso CalviNei prossimi giorni – il 20 giugno, per la precisione – uscirà per i tipi di BeccoGiallo il libro a fumetti Il caso Calvi, sceneggiato da Luca Amerio e Luca Baino e illustrato da Matteo Valdameri. È la ricostruzione degli ultimi giorni e delle possibili ragioni della morte del banchiere Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano ritrovato il 18 gugno 1982 senza vita sotto un ponte londinese. Non un suicidio, come si cercò di accreditare quella morte, ma un delitto rimasto impunito. Quella che segue è la postfazione al volume, “Trent’anni dopo”.

Trent’anni. Tanti ne sono trascorsi da quel 18 giugno 1982 quando venne ritrovato un corpo issato sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. Il cappio, una corda in fibra sintetica di colore arancione, diventò sbrigativo sinonimo di suicidio, suffragato nel giro di pochi giorni dal verdetto del coroner britannico. Ma oggi l’unica certezza è che si sbagliavano i giurati che, in cinque su sette, votarono per una morte provocata da un’impiccagione antoinferta.

Del resto non fu solo la famiglia Calvi a non credere fin da subito a quella provvidenziale (e spacciata come volontaria) uscita di scena. Il presidente del Banco Ambrosiano non era infatti un banchiere qualunque. Era così poco qualunque che a Londra, così come in qualsiasi altro Paese che non fosse l’Italia, non avrebbe dovuto trovarsi. Poco tempo prima, infatti, era stato condannato in primo grado a quattro anni di reclusione e a una multa da quindici milioni di lire per reati valutari e di lì a poco sarebbe iniziato l’appello. Un processo nel corso del quale, si temeva da più parti, Roberto Calvi avrebbe potuto raccontare inconfessabili retroscena della finanzia cattolica e laica, intrecciata al finanziamento di operazioni criminali per una classe politica fin troppo impastoiata con corruzione, coltivazione di posizioni personali e piduismo, utile camera di compensazione per interessi tanto eterogenei quanto convergenti.
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“Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia”: la storia di Carla, Marinella e Debora, tre donne di scorta

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Del libro Novantadue. L’anno che cambiò l’Italia (Castelvecchi Rx) si parlava alla vigilia dell’uscita qui. Micromega Online ci torna riprendendo la parte dedicata alle donne da scorta 1992-2012. Sono le storie di Carla, Marinella e Debora. Nomi di fantasia per vicende vere. La prima calata nel periodo delle stragi del 1992-1993, la seconda durante il maxiprocesso di Palermo e la terza nella realtà palermitana dei giorni nostri. Di seguito un passaggio sulla seconda, la prima donna a effettuare i servizi di scorta:

Ho sentito, nel pieno del silenzio, il rumore dell’esplosione di una bomba. Non capivo cosa stesse accadendo. Era il 23 maggio del 1992 e io ero vicino Capaci con la mia famiglia per una vacanza primaverile. Stavamo preparando la cena. Anche mio marito è un poliziotto ed entrambi abbiamo avuto paura, uno strano sentore, come se qualcosa di drammatico stesse per accadere. Erano gli anni del Maxiprocesso e Palermo era una città in subbuglio. Molte cose stavano cambiando, altre sono rimaste uguali […]. Nel 1986 ho seguito il primo corso per le donne in polizia. Dopo, mi hanno subito destinata alle scorte. Sono rimasta a Palermo perché in quel periodo c’era necessità di personale. Anche se in verità io non avevo scelto di fare la scorta, volevo fare la poliziotta. Mi hanno subito fatto seguire molte delle personalità che operavano nel maxiprocesso. Quelli erano anni caldi (fine anni Ottanta) e io mi sono ritrovata ad essere tra le prime donne, in un mondo assolutamente maschile, a scortare magistrati. Non è stato facile anche per una questione di genere. Mi trovavo spesso a dover fare accettare la mia presenza agli uomini, in quello che fino ad allora era il loro mondo. Col tempo però le cose sono cambiate e sono nate grandi amicizie. Adesso si lavora bene insieme. Ci si aiuta. Gli anni delle stragi invece sono stati terribili. Uscivamo la mattina con la paura di non tornare più a casa. E questo è diventato ancora più difficile quando sono nati i miei figli. Mi sentivo responsabile verso di loro e non volevo che pagassero per le mie scelte professionali.

Tutto il testo merita di essere letto e continua qui.

“Il caso Fallara”: inchiesta su Reggio Calabria, i conti che non tornano e l’irresponsabilità delle classi dirigenti

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Il caso FallaraLa casa editrice Città del Sole sa azzeccare titoli e argomenti di un certo interesse, soprattutto per ciò che riguarda quella che un tempo si sarebbe chiamata la questione meridionale. Lo fa anche con il libro Il caso Fallara – Storia del “modello Reggio” e del suo tragico epilogo scritto dai giornalisti Giuseppe Baldessarro e Gianluca Ursini. La storia è quella di Orsola Fallara, morta lo scorso 17 dicembre ingerendo acido muriatico, dopo che una serie di scandali si era addensata sull’amministrazione della città di Reggio Calabria chiamandola in causa.

Quella che era stata presentata come una strategia di sviluppo e modernizzazione, frutto di una politica del “fare” efficace ed efficiente realizzata dal sindaco Giuseppe Scopelliti, si è rivelata essere una gestione disinvolta della spesa pubblica che ha originato ingenti debiti e buchi di bilancio. La reale situazione, denunciata più volte dalle forze politiche di opposizione e dalla stampa, è emersa solo recentemente grazie alle inchieste della procura della Repubblica e alla relazione del ministero dell’Economia.

I documenti della magistratura e del ministero sono contenuti in un cd allegato al libro mentre la prefazione è stata firmata dal giornalista Antonello Caporale che scrive:

La sciagura che cinge d’assedio la vita di Orsola Fallara è la medesima che toglie il cuore a Reggio Calabria. La fine che questa donna sceglie per sé racconta il dramma di un’intera comunità, denuncia le sue colpe, le reti che compongono il centro di comando, l’irresponsabilità delle classi dirigenti.

Altre informazioni qui.

Gianni Flamini e il quinquennio che sconvolse la Repubblica: gli anni dal 1990 al 1994 raccontati nel libro “Lo scambio”

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Lo scambioEntrato a far parte della mia libreria solo oggi, è uscito da poche settimane per i tipi di Nutrimenti il libro Lo scambio – I cinque anni che sconvolsero la Repubblica (1990-1994) scritto dal giornalista Gianni Flamini:

Quello compreso tra il 1990 e il 1994 è un lustro di presagi, un quinquennium horribile che sconvolge la vita della Repubblica trasformandola nel prologo fatale di ciò che verrà. In cinque anni si butta via tutto senza buttare niente, mentre è in corso una storica trasmigrazione di Cosa Nostra dai territori della politica democristiana verso altri lidi che suggella uno storico scambio nell’area grigia delle collusioni fra politica e criminalità organizzata. Cosa Nostra non procede alla cieca, abbagliata da nuovissime e inedite opportunità come quelle che sembra offrire Forza Italia. La discesa di Silvio Berlusconi nell’agone politico colma il vuoto venutosi a creare per l’azzeramento del sistema che si reggeva sulla Democrazia cristiana e sul Partito socialista, caduti sotto la scure della corruzione e di un’autorità giudiziaria che affronta il momento con una determinazione inedita. Intanto omicidi di personalità, terrorismo e stragi di mafia imperversano prima in Sicilia e poi sul continente. Sono questi, per le cronache giornalistiche, gli anni dello scandalo Gladio, di Tangentopoli e Mani pulite, degli attentati a Falcone e Borsellino, dei delitti della Uno bianca, della bomba all’Accademia dei Georgofili, della tragedia della Moby Prince, della cattura di Totò Riina. In questo marasma generale si muove a proprio agio la loggia P2, in grande attività per piazzare il suo programma di riforma reazionaria dello Stato che ha chiamato Piano di Rinascita Democratica. Licio Gelli confida, per la realizzazione del suo disegno, proprio in Berlusconi, affiliato alla loggia, che diventa capo del governo nel 1994. Prende così il via una tempestosa stagione politica che si arenerà soltanto nel novembre del 2011.

Se n’è parlato su GrParlamento nella puntata della trasmissione Pagine in frequenza dello scorso 20 maggio, condotta da Alessandro Forlani. Titolo della puntata è stato Gli apprendisti stregoni del terrorismo made in Italy e insieme a Flamini in onda c’era Vito Bruschini, autore del libro La strage, il romanzo di piazza Fontana (Newton Compton).

Addio a Carla Verbano, una vita trascorsa a cercare i nomi degli assassini di suo figlio Valerio, ammazzato nel 1980

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Si è spenta a 88 anni Carla Verbano, la madre di Valerio, ucciso davanti a lei e al marito da tre giovani dal volto coperto il 22 febbraio 1980. Mancavano tre giorni al suo diciannovesimo compleanno. Su quel delitto, rimasto impunito, nel 2011 la procura di Roma ha dichiarato riaperte le indagini. Tanti i messaggi di cordoglio che stanno giungendo sul sito dedicato al mantenimento della memoria di quel fatto da anni di piombo. Uno per tutti, quello di Marco V.:

Ricordo quel 22 febbraio del 1980 come fosse oggi e la forza della tua lotta per la giustizia è servita a mantenerlo vivo. Anche se di giustizia in questa società non ce ne può essere per noi. Non dimenticheremo mai e tramanderemo il ricordo di Valerio e di te.

Qui invece una puntata della trasmissione La storia siamo noi sulla vicenda.

“Eco MUOStro a Niscemi”: Antonio Mazzeo racconta per @orsatti63 eBook l’arma perfetta del XXI secolo

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Eco MUOStro a NiscemiAntonio Mazzeo è un giornalista che si è occupato a lungo di vari argomenti, tra cui l’edilizia (o, meglio, la speculazione edilizia) e i business legati alle basi militari in Italia. Già autore del volume I padrini del ponte – Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre), adesso torna con un ebook, Eco MUOStro a Niscemi, iniziativa editoriale di @orsatti63 eBook:

Il padre Marte ha battezzato il figlio MUOS, Mobile User Objective System, perché fosse chiara a tutti la sua natura infernale. Una rete di mega-antenne e satelliti per telecomunicazioni veloci come la luce perché sull’infinito domini l’oscurità. L’arma perfetta per i conflitti del XXI secolo, quelli con i missili all’uranio impoverito, gli aerei senza pilota e le armi atomiche in miniatura. È a Niscemi, nel cuore di un’importante riserva naturale, che fervono i preparativi per l’installazione di uno dei suoi quattro terminali terrestri mondiali. Un’opera benedetta dai Signori del Pentagono, dal governo italiano e dalla Regione Siciliana. E a cui non fa mancare il suo contributo la borghesia mafiosa isolana. Per il MUOStro di Niscemi sembrava cosa fatta, ma centinaia di giovani ci hanno messo lo zampino.

Per acquistare il volume si può andare su Lulu.com o su Amazon, dov’è disponibile in formato per Kindle.

E Il mensile: il ritorno (anzi, la ripresa) della guerra informatica da parte degli Stati Uniti

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Luca Galassi racconta su E Il Mensile una storia che si intreccia, una volta di più, con la la conquista del ciberspazio da parte degli Stati Uniti:

Questa estate verrà lanciato un piano quinquennale da 110 milioni di dollari per sviluppare una mappa avanzata che dia conto, nel dettaglio, di miliardi di computer, aggiornandosi continuamente. La mappa servirà per identificare i bersagli e disattivarli attraverso Internet o altri mezzi. Altra finalità è la creazione di un sistema operativo in grado di lanciare attacchi e sopravvivere ai contrattacchi. Per il nuovo hardware i militari parlano dell’equivalente di un carro armato, paragonando gli attuali sistemi operativi a ‘macchine sportive’.

Gli attacchi saranno condotti dallo Us Cybercommand, un organismo lanciato nel 2010 e ospitato presso la National Security Agency. “Le origini della guerra cibernetica sono legate alla comunità dell’intelligence”, spiega al Washington Post il direttore della Darpa, Kaigham Gabriel. L’agenzia sarà interamente funzionale alle necessità del Pentagono, con un budget quinquennale di 1,54 miliardi di euro dal 2013 al 2017.

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