Rapido 904: le motivazioni della Corte d’assise di Firenze per la bomba del 23 dicembre 1984

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Strage del Rapido 904

Il dubbio che ha portato all’assoluzione di Totò Riina ai sensi, come si dice in termini tecnici, dell’articolo 530 comma secondo (la vecchia insufficienza di prove), permane: non c’è la prova provata che il boss dei corleonesi sia il mandante della strage di Natale, quella che fece 16 morti e 260 feriti con la bomba esplosa il 23 dicembre 1984 sul Rapido 904 Napoli-Milano. La procura della Repubblica di Firenze, rappresentata dal pm Angela Pietroiusti e che in requisitoria aveva chiesto l’ergastolo, non concorda con la sentenza pronunciata lo scorso 15 aprile, e annuncia ricorso in appello. Ma dalle motivazioni della corte presieduta dal giudice Ettore Nicotra e rese note oggi emerge che “l’attentato al Rapido 904 indubbiamente giovava alla mafia” e che “tramite [Pippo Calò, il cosiddetto cassiere di Cosa nostra, ndr] abbia trovato coagulo in coacervo di interessi convergenti di diversa natura”.

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Rapido 904: mentre si apre il processo a Riina, arriva documentario in crowdfunding sulla strage di Natale

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Mentre si apre oggi a Firenze il processo a Totò Riina, imputato come mandante della strage del Rapido 904 (23 dicembre 1984), ecco un articolo di Redattore Sociale sul documentario in crowdfunding dedicato alla la strage di Natale.

MAFIE. “LA STRAGE DI NATALE”: DOPO 30 ANNI TORNANO LE VOCI DEL RAPIDO 904

Il 23 dicembre 1984 una bomba piazzata dalla mafia distrusse il treno Napoli-Milano mentre passava sotto la galleria più lunga d’Italia: morirono 16 persone. Un documentario di Martino Lombezzi torna a raccontare l’episodio. Lanciato crowdfunding per ultimare il lavoro (RED.SOC.) “Mi ricordo solo il fuoco che entrava dai finestrini rotti. Non capivamo se avevamo avuto un incidente, se ci eravamo scontrati con un altro treno. Poi dopo un bel po’ il treno riesce a fermarsi e ovviamente nel buio ci siamo catapultati, senza pensare che dall’altro lato potesse arrivare un altro treno. E ci siamo buttati dalle porte sventrate. E lì poi c’era questo capotreno, che ci urlava di non scendere e di stare attenti perché sui binari c’erano pezzi di corpi.”
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I Siciliani Giovani: 6 gennaio 1980, il delitto del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella

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I siciliani giovani

Era l’Epifania del 1980 e quel giorno Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, non aveva la scorta. La mattina, però, non volle rinunciare ad andare alla funzione religiosa per quella festività insieme alla moglie e al figlio. In auto ci sarebbero andati, ma appena furono saliti sulla vettura i vetri del mezzo esplosero uccidendo il politico democristiano che voleva riformare la politica scudocrociata allontanando la mafia dagli ambienti della cosa pubblica.

Se in un primo momento si pensò a un assassinio politico di matrice neofascista, poi dalle parole del futuro pentito Tommaso Buscetta emerse un’altra versione. Era quella che indicava in qualità di mandante Totò Riina il quale, a poco più di un anno dal suo omicidio e al surclassamento dei corleonesi dopo la seconda guerra di mafia, ebbe la meglio sulla fazione capeggiata dal “principe” di Villagrazia, contrario all’eliminazione di Mattarella.

Del delitto del 6 gennaio 1980 si sarebbe parlato molto meglio anni a venire in tanti processi. Compreso quello che vide un imputato eccellentissimo, il sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti.

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“I segreti della massoneria in Italia”: dal prologo del libro, morte presunta di un “fratello” e le questioni siciliane

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I segreti della massoneria in ItaliaDal prologo del libro che esce oggi, I segreti della massoneria in Italia (Newton Compton Editori).

Rosa aveva aspettato l’11 luglio 1989 prima di rivolgersi ai carabinieri. Poi si era decisa perché l’assenza del marito, ormai prolungata, non la faceva più vivere. Così si era presentata in caserma, aveva spiegato che Giacomo si era allontanato a bordo della sua Fiat Uno e a casa non c’era più tornato. Secondo lei, era un caso di lupara bianca: un delitto di mafia senza cadavere perché la pena capitale decretata da Cosa Nostra prevede che il corpo della vittima da punire venga distrutto. Mai più lo si dovrà ritrovare.

Ma che c’entravano Rosa e Giacomo con la mafia? Per capirlo occorreva entrare negli affari di famiglia e della Famiglia. Il cognome di lei era infatti di quelli pesanti, Bontate, e suo fratello, assassinato il 23 aprile 1981, si chiamava Stefano. In giro lo conoscevano anche come il principe di Villagrazia, benché non appartenesse ad alcuna dinastia nobiliare. In realtà fin da giovanissimo aveva frequentato le cosche ed era stato affiliato a quella del padre, chiamato “don Paolino Bontà” e boss del quartiere palermitano di Santa Maria di Gesù. A ventidue anni, nel 1960, Stefano ne era già diventato il capo e un decennio più tardi faceva parte di una strana delegazione che dalla Sicilia se n’era andata al Nord, a Milano, a incontrare un manipolo di presunti golpisti che in qualche caso indossavano anche grembiuli e cappucci e che, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre successivo, avrebbero tentato un colpo di mano di tipo autoritario.
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Gianni Flamini e il quinquennio che sconvolse la Repubblica: gli anni dal 1990 al 1994 raccontati nel libro “Lo scambio”

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Lo scambioEntrato a far parte della mia libreria solo oggi, è uscito da poche settimane per i tipi di Nutrimenti il libro Lo scambio – I cinque anni che sconvolsero la Repubblica (1990-1994) scritto dal giornalista Gianni Flamini:

Quello compreso tra il 1990 e il 1994 è un lustro di presagi, un quinquennium horribile che sconvolge la vita della Repubblica trasformandola nel prologo fatale di ciò che verrà. In cinque anni si butta via tutto senza buttare niente, mentre è in corso una storica trasmigrazione di Cosa Nostra dai territori della politica democristiana verso altri lidi che suggella uno storico scambio nell’area grigia delle collusioni fra politica e criminalità organizzata. Cosa Nostra non procede alla cieca, abbagliata da nuovissime e inedite opportunità come quelle che sembra offrire Forza Italia. La discesa di Silvio Berlusconi nell’agone politico colma il vuoto venutosi a creare per l’azzeramento del sistema che si reggeva sulla Democrazia cristiana e sul Partito socialista, caduti sotto la scure della corruzione e di un’autorità giudiziaria che affronta il momento con una determinazione inedita. Intanto omicidi di personalità, terrorismo e stragi di mafia imperversano prima in Sicilia e poi sul continente. Sono questi, per le cronache giornalistiche, gli anni dello scandalo Gladio, di Tangentopoli e Mani pulite, degli attentati a Falcone e Borsellino, dei delitti della Uno bianca, della bomba all’Accademia dei Georgofili, della tragedia della Moby Prince, della cattura di Totò Riina. In questo marasma generale si muove a proprio agio la loggia P2, in grande attività per piazzare il suo programma di riforma reazionaria dello Stato che ha chiamato Piano di Rinascita Democratica. Licio Gelli confida, per la realizzazione del suo disegno, proprio in Berlusconi, affiliato alla loggia, che diventa capo del governo nel 1994. Prende così il via una tempestosa stagione politica che si arenerà soltanto nel novembre del 2011.

Se n’è parlato su GrParlamento nella puntata della trasmissione Pagine in frequenza dello scorso 20 maggio, condotta da Alessandro Forlani. Titolo della puntata è stato Gli apprendisti stregoni del terrorismo made in Italy e insieme a Flamini in onda c’era Vito Bruschini, autore del libro La strage, il romanzo di piazza Fontana (Newton Compton).

Valeria Gandus sul Fatto Quotidiano: Mauro Rostagno, un processo iniziato da un anno e da un anno sotto silenzio

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Valeria Gandus, sul blog che tiene sul sito del Fatto Quotidiano, scrive di Mauro Rostagno, processo sotto silenzio:

È da un anno che il processo va avanti, imputati Vincenzo Virga e Vito Mazara, nel disinteresse della grande stampa. Eppure ogni udienza riserva qualche sorpresa. Ieri la sorpresa si chiamava Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Totò Riina, pentito di mafia. Quattro ore di deposizione, un viaggio a ritroso nel tempo, alla Trapani degli anni Ottanta, completamente in mano alla mafia, agli appalti truccati, ai politici in ginocchio. E al delitto Rostagno, del quale Siino aveva già parlato 17 anni fa, nei primissimi tempi del suo “pentimento”: “Collaboravo da un mese” precisa oggi Siino. E da quel verbale di tanti anni fa (ma solo cinque dopo la morte di Rostagno) si dipana il racconto che il pentito fa in aula.

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Rapido 904: per la Cassazione valida l’ordinanza di custodia cautelare a Totò Riina

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La strage del Rapido 904A proposito della strage di Natale del 23 dicembre 1984, quella del Rapido 904, la notizia di oggi, pubblicata sul Fatto Quotidiano, è questa:

È legittima l’ordinanza di custodia cautelare che la procura di Napoli aveva notificato lo scorso 27 aprile a Totò Riina, boss dei corleonesi già in carcere e sottoposto al regime duro del 41bis, ipotizzando il suo ruolo di mandante nella strage di Natale, avvenuta il 23 dicembre 1984 quando una bomba esplose sul Rapido 904 nella galleria della Direttissima, all’altezza di San Benedetto Val di Sambro, provincia di Bologna.

Lo ha stabilito la Cassazione che ha accolto il ricorso presentato dai sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia Paolo Itri e Sergio Amato e dal procuratore aggiunto Sandro Pennasilico. La suprema corte ha anche annullato senza rinvio il provvedimento emesso dal tribunale del Riesame che invalidava l’ordine d’arresto per Riina, firmato dal gip Carlo Modestino. La motivazione dell’invalidamento era la prospettata incompetenza territoriale dei magistrati napoletani a indagare su una strage avvenuta al confine tra la Toscana e l’Emilia Romagna, per quanto i pubblici ministeri ritenessero che l’esplosivo impiegato fosse partito da Napoli.

Si inizia di nuovo dunque con un’indagine che meno di un anno fa andava a cercare la matrice di una strage che fece 17 vittime e 267 feriti negli ambiente legati a cosa nostra. La mafia, infatti, secondo i magistrati napoletani, avrebbe voluto fermare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, alle prese con le indagini che avrebbe portato meno di due anni dopo al maxiprocesso di Palermo, iniziato il 10 febbraio 1986 e conclusosi il 16 dicembre 1987.

L’articolo che racconta più nel dettaglio dell’ordinanza dello scorso aprile si trova qui.

Via dei Georgofili diciotto anni dopo: “Altri fattivamente hanno partecipato alla stagione delle stragi”

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Se lo Stato tratta con la mafiaDella strage dei Georgofili, avvenuta a Firenze tra il 26 e il 27 maggio 1993, ne parla il giornalista Luigi Grimaldi su CadoInPiedi.it:

Quanto Spatuzza vuole “prudentemente” significare a proposito delle stragi messe in atto al di fuori della Sicilia è «che sul piano operativo r». Non si tratta solo di mandanti “a volto coperto”, ma di “altri”, esterni a cosa nostra, coinvolti «pratica attuazione delle stragi». Il che può significare diverse cose. Ad esempio, escludendo quelle già ampiamente dimostrate nelle sentenze, rimane tuttora aperto il capitolo sulla fornitura agli artificieri di cosa nostra, dell’esplosivo militare utilizzato in tutte le stragi del ’93 e di cui pentiti e collaboratori sembrano non sapere assolutamente nulla: quasi certamente non il Semtex H, dagli anni ’80 in possesso di cosa nostra, o il “Torpex” recuperato da ordigni residuati bellici, ma il T4, abbinato a miccia detonante alla pentrite. Una strada che, se perseguita con determinazione, potrebbe portare vicino a verità davvero inconfessabili. Non c’è giustizia senza verità.

L’articolo continua qui. E a proposito del Semtex H, se ne parlava diffusamente nell’ordinanza di custodia cautelare notificata il 27 aprile scorso al boss dei corleonesi Totò Riina, accusato di essere il mandante della strage del Rapido 904 del 23 dicembre 1984.