“Le altre Gladio”: Giacomo Pacini torna in libreria raccontando la rete anticomunista nata dopo l’estate del 1945

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Le altre GladioEsce tra pochi giorni il libro Le altre Gladio – La lotta segreta anticomunista in Italia. 1943-1991 (Einaudi). Lo ha scritto lo storico Giacomo Pacini, già autore di Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana (1945-1991), Il cuore occulto del potere. Storia dell’ufficio affari riservati del Viminale (1919-1984) e di Divo Giulio. Andreotti e sessant’anni di storia del potere in Italia (quest’ultimo lo abbiamo scritto insieme per Nutrimenti). Giacomo è uno studioso scrupoloso e serissimo e dunque alta è l’attesa per questo suo nuovo lavoro, presentato così:

Diverso tempo è passato da quando Giulio Andreotti, in qualità di presidente del consiglio, svelò l’esistenza di un’organizzazione segreta denominata Gladio. Ma Gladio, nata nel 1956, non era che una parte di un sistema di sicurezza ben piú complesso, articolato e oscuro, una rete anticomunista che operava fin dall’estate del 1945. Qual è la storia di questo sistema? Quali sono le sue origini? Che ruolo ebbe questa rete segreta nei tragici anni della strategia della tensione? E quali furono le reali motivazioni che spinsero Andreotti a rivelare l’esistenza di Gladio? Giacomo Pacini risponde a queste e ad altre domande, in un volume rigoroso nell’esame delle fonti e misurato nella scrittura.

“Io sono il libanese”: il prequel di “Romanzo criminale”, quando a metà anni Settanta la bandaccia non era ancora tale

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Io sono il libaneseThriller pages lo dà in uscita il prossimo 3 luglio. Si tratta di Io sono il libanese di Giancarlo De Cataldo (Einaudi), prequel di Romanzo criminale (romanzo molto liberamente ispirato alla banda della Magliana) e di Nelle mani giuste (i “sopravvissuti” della banda nell’Italia di Tangentopoli, nei nascenti anni Novanta). La scheda del libro anticipa che:

Roma, 1976. Un anno prima che tutto accada. Il Libanese freme. Il Libanese ha tre amici, Dandi, il Bufalo, Scrocchiazeppi. Passa con loro da un colpetto all’altro, tiene le armi delle altre bande. Il Terribile, che aspira a diventare il capo dei capi, tratta lui e gli altri pischelli come miserabili. Ma il Libanese non è uno dei tanti. Il Libanese ha un sogno. Un sogno ancora troppo grande per lui. Poi, una sera, il Libanese incontra Giada. Lei è bella, ricca, inquieta. Lei vuole cambiare le cose. Lei vuole fare la rivoluzione. Giada appartiene a un altro mondo. Il Libanese ne è stregato. E nello stesso tempo comincia a intuire che proprio da quel mondo potrà venire l’idea che gli permetterà di rendere il suo sogno una realtà. È grazie a lei, inconsapevole guida, che il Libanese penetra nel mondo dei ricchi, prima come pusher di un grande artista schiavo dell’eroina, e poi organizzando, con i suoi compari, un primo sequestro di persona (preludio di quello che segnerà, appena pochi mesi dopo, la nascita della Banda): il sequestro di un ricchissimo palazzinaro, padre di Sandro, l’amico del cuore di Giada.

(Via Diego Riggi)

L’egemonia sottoculturale: perché le ragazze e le signore si confessano in tv

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L'egemonia sottoculturale di Massimiliano PanarariCominciamo dalla fine (questo non è un giallo e a ben guardare si sa già chi sono gli “assassini”): «Il mondo delle idee è un campo di battaglia nel quale, come in politica, il vuoto non esiste, e lo spazio se lo piglia chi mette in campo proposte e visioni (quanto maggiormente capaci di “conquistare” le masse, naturalmente). Si dovrebbe cominciare, allora, moltiplicando il più possibile gli anticorpi e, contestualmente, costruendo delle narrazioni alternative […] secondo un sistema di valori che non si fondi sull’individualismo selvaggio e la dittatura del consumo».

È uno stralcio dell’«epilogo (quasi) ottimista» al libro «L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip», uscito per Einaudi poche settimane fa e scritto da Massimiliano Panarari, saggista e docente di comunicazione pubblica e politica. In un periodo in cui tra scrittori e intellettuali rimbalza il dibattito o, meglio, l’appello ad abbandonare le case editrici afferenti al presidente del consiglio dei ministri – non che sia una novità, forse stavolta i toni sono solo più veementi visto il casus belli, la contrattazione fiscale favorita da una cosiddetta “legge ad aziendam” – Panarari parte in tromba dichiarando una défaillance: l’abbandono della tenzone culturale della sinistra. Una tenzone che a lungo è passata per i luoghi collettivi (a iniziare dai consigli di fabbrica) contribuendo a creare una coscienza condivisa del proprio “essere classe”.

Domani di Maurizio ChiericiPoi, però, sono arrivati gli anni Ottanta. Da cui – canta Manuel Agnelli con gli Afterhours – «non si esce vivi». Ed è vero. Intendiamoci, gli anni Ottanta non sono una punizione divina piovuta dal cielo su novelle Sodome e Gomorre dell’estremismo extraparlamentare, ma sono stati un effetto voluto e perseguito. E lo spiega bene Panarari quando attacca a raccontare della «controrivoluzione televisiva» e dell’«appuntamento al Drive In». Un drive in grottesco tanto quanto quello che dà il titolo al forse più famoso romanzo di Joe R. Lansdale, ma sicuramente ben più massivo, negli effetti e nella portata quantitativa. Perché, si badi bene, una cialtroneria che si rispetti, condivisa e assimilata a sufficienza da diventare life style, direbbero gli anglosassoni, non è cosa che si improvvisa.
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L’egemonia sottoculturale: il post-moderno degli anni Ottanta e il trionfo dei “mezzi di distrazione di massa”

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L'egemonia sottoculturale di Massimiliano PanarariSu consiglio di Claudio Vercelli e in relazione a un futuro progetto oltre confine, ho iniziato a leggere un libro che promette bene, L’egemonia sottoculturale – L’Italia da Gramsci al gossip di Massimiliano Panarari (collana Passaggi Einaudi). Che di questo si occupa:

Una volta il nazionalpopolare era una categoria gramsciana, i giornali e la televisione pubblica erano pieni di scrittori e intellettuali, la sinistra (si dice) dominava la produzione culturale. Oggi nazionalpopolari sono i reality show pieni di volgarità, la televisione (pubblica o privata) è quella che è, e la sinistra pure. Ma si può paragonare l’Italia di Pasolini, Calvino, Moravia con quella di Striscia la notizia, Alfonso Signorini, Amici di Maria De Filippi? La tesi provocatoria di questo libro è che il confronto non solo è possibile, ma è illuminante.

Perché oggi, finita e strafinita l’egemonia culturale della sinistra, trionfa un’egemonia sottoculturale prodotta dall’adattamento ai gusti nostrani del pensiero unico neoliberale, in quel frullato di cronaca nera e cronaca rosa, condito da vip assortiti, che sono diventati i nostri mezzi di comunicazione, ormai definitivamente dei «mezzi di distrazione di massa». E il paradosso è che molte delle tecniche di comunicazione che oggi innervano la società dello spettacolo sono nate dalla contestazione del Sessantotto, dai movimenti degli anni Settanta e dalle riflessioni sul post-moderno degli anni Ottanta.

E così, in un cortocircuito di tremenda forza mediatica, il situazionista Antonio Ricci produce televisione commerciale di enorme popolarità, Signorini dirige con mano sicura il suo postmodernissimo impero «nazionalgossiparo», i reality più vari sdoganano il Panopticon di Bentham e Foucault per le masse. Una riflessione originale sulla costruzione del nostro immaginario contemporaneo, che getta luce sul lato nascosto (e serissimo) della frivola cultura pop in cui siamo tutti immersi.

Per averne una sorta di saggio, si può dare un’occhiata a cosa ne scrive Andrea Romano sul Sole 24 Ore o Il Ricci furioso, scritto dallo stesso Panarari per Micromega Online.

Benedetta Tobagi e il libro dedicato a suo padre, “Come mi batte forte il tuo cuore”

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Come mi batte forte il tuo cuorePer Einaudi, si diceva solo qualche giorno fa, è uscita da poco la nuova edizione del libro Piazza Fontana del giornalista Giorgio Boatti. Con l’inizio di questo mese è poi la volta di un nuovo testo sempre in tema di terrorismo. Lo ha scritto Benedetta Tobagi e si intitola Come mi batte forte il tuo cuore – Storia di mio padre, inserito all’interno della collana Frontiere. L’autrice è la figlia del giornalista Walter Tobagi, assassinato il 28 maggio 1980 da terroristi appartenenti alla Brigata XXVIII Marzo. Questa la presentazione del libro, di cui ha scritto oggi anche Roberto Saviano:

Era una delle firme più prestigiose del «Corriere della Sera». Aveva trentatré anni. La figlia Benedetta aveva tre anni. Era lì. Oggi Benedetta vuole capire. Con forza, con delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ad analisi storiche lucide e rigorose. Cercando di comprendere cos’erano gli anni Settanta.

Infine, per chi frequenta Facebook, segnalo il gruppo In memoria di tutte le vittime di terrorismo e stragi curato da Giorgio Bazzega, figlio di Sergio Bazzega.

(Via Booksblog)

Aggiornamento: una parte in anteprima sul Corriere della Sera.

12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta, nuova edizione per Giorgio Boatti

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Piazza FontanaPer chi non l’avesse ancora letto (ma anche per chi ha letto le edizioni precedenti), c’è un libro da consigliare sulle vicende della Banca Nazionale dell’Agricoltura: la nuova versione di Piazza Fontana – 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta Nuova edizione aggiornata di Giorgio Boatti. Pubblicato una prima volta nel 1993 per i tipi di Feltrinelli, si era guadagnato gli strali del neofascista veneto Massimiliano Fachini che si era visto descrivere da Boatti in questi termini:

[Ebbe] un ruolo di primo piano nella cruenta stagione delle bombe nere […], un guerriero nero coinvolto in una concatenazione di indagini che coprono tutto l’arco storico dello stragismo nero, tornato […] alle sue consuete attività. [Era] un “colonnello” dello stato maggiore nero nel quale naviga con la sua consueta, mimetizzata riservatezza […] saldando [per anni] cellule neonaziste, spezzoni della guerriglia nera a ramificazioni più o meno istituzionali della guerra non ortodossa.

Per queste parole nel 1994 Giorgio Boatti si è visto piombare addosso una querela per diffamazione aggravata. Alla fine, cinque (5) anni più tardi, il 29 marzo 1999, il giornalista è stato assolto dai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Milano e al suo libro è stata riconosciuta validità di fonte storica, per quanto sia un testo divulgativo.

A valle dell’assoluzione, Einaudi ha ripubblicato il libro una prima volta nel 1999, inserendolo nella collana Gli struzzi. Infine l’edizione di questi giorni, per la collana ET Saggi, aggiornata e ampliata rispetto alle precedenti con i processi di Milano conclusosi con la sentenza-vergogna della Cassazione del 2005 (quella, per intenderci, che manda assolti tutti, dice che i veri responsabili sono già stati assolti quasi vent’anni prima e non possono più essere processati per quella strage e che carica le spese legali sulle spalle dei familiari delle vittime). Questa la presentazione del nuovo libro di Boatti:

Venerdí 12 dicembre 1969: a Milano scoppia una bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Diciassette morti e decine di feriti: una strage. È la fine di un sogno, quello nato nel ’68. È il cruento avvio della strategia della tensione. Giorgio Boatti delinea con meticolosa attenzione una vicenda che cambia la storia del Paese: non solo una strage, ma una guerra combattuta in tempo di pace, sotterranea, condotta da un potere nascosto e brutale che non rispetta gli innocenti e – attraverso omertà e connivenze – impone di fatto l’impunità per gli esecutori di questa e delle successive azioni terroristiche. Indagine giudiziaria e ricerca storica, Piazza Fontana ripercorre tutte le fasi della vicenda, dalle prime accuse all’anarchico Pietro Valpreda alla misteriosa morte di Giuseppe Pinelli, ai collegamenti tra la cellula neonazista padovana di Freda e Ventura e gli strateghi sponsorizzati dall’intelligence statunitense, alle miserabili faide tra gli stati maggiori dell’Esercito e della Difesa, fino ai contrastati passi dell’indagine che, dopo aver fatto degli anarchici il capro espiatorio, imbocca a Padova, a Treviso, a Milano la pista nera sfociando a Catanzaro nel primo di molti processi, dove i volti di pietra del potere politico frappongono oblio e amnesie a un passato che li assedia.