Ora lui è destinato a diventare leggenda. Scompare Richard Matherson, lo scrittore oltre i confini e oltre i generi

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Aveva 87 anni e la sua ora era giunta. Adesso lo attende la leggenda. Forse non quella descritta nel suo romanzo più celebre (se ne legga qualcosa anche qui, in un pezzo per Carmilla firmato da Valerio Evangelisti), purtroppo diventata una scadente trasposizione cinematografica che con la storia originale c’entra fino a un certo punto, ma la leggenda comunque se la merita, Richard Matherson. A cui l’etichetta di scrittore di genere – o scrittore horror o fantastico – sta stretta perché, nelle sue pagine, è andato molto oltre i confini del genere stesso (e sui giochi di parole si aggiunga che anche oltre i confini della realtà è andato). Meno noto forse di Stephen King o di Joe R. Lansdale, entrambi più giovani ed entrambi in debito d’ispirazione da lui, rimarrà indimenticabile anche per passaggi come questo:

Ai loro occhi lui era un flagello spaventoso, sconosciuto, persino peggiore della malattia con cui avevano imparato a convivere. Era uno spettro invisibile che per provare la propria esistenza si era lasciato dietro i corpi esangui dei loro cari. Capì quel che provavano e non li odiò. La mano destra strinse la bustina di pillole. Purché la fine non fosse violenta, purché non si trasformasse in un massacro sotto i loro occhi.

Robert Neville posò lo sguardo sui nuovi abitanti della Terra. Sapeva di non essere uno di loro; sapeva di essere un anatema, un orrore nero da distruggere, come i vampiri. E quell’idea lo colpì come un fulmine, divertendolo perfino nel dolore. Un risolino strozzato gli riempì la gola. Si girò e si appoggiò alla parete mentre ingoiava le pillole.

«Il cerchio è completo», pensò mentre il letargo definitivo gli strisciava nelle membra. «Il cerchio è completo. Un nuovo terrore prende forma dalla morte, una nuova superstizione penetra la fortezza inattaccabile dell’infinito. Io sono leggenda».

L’egemonia sottoculturale: perché le ragazze e le signore si confessano in tv

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L'egemonia sottoculturale di Massimiliano PanarariCominciamo dalla fine (questo non è un giallo e a ben guardare si sa già chi sono gli “assassini”): «Il mondo delle idee è un campo di battaglia nel quale, come in politica, il vuoto non esiste, e lo spazio se lo piglia chi mette in campo proposte e visioni (quanto maggiormente capaci di “conquistare” le masse, naturalmente). Si dovrebbe cominciare, allora, moltiplicando il più possibile gli anticorpi e, contestualmente, costruendo delle narrazioni alternative […] secondo un sistema di valori che non si fondi sull’individualismo selvaggio e la dittatura del consumo».

È uno stralcio dell’«epilogo (quasi) ottimista» al libro «L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip», uscito per Einaudi poche settimane fa e scritto da Massimiliano Panarari, saggista e docente di comunicazione pubblica e politica. In un periodo in cui tra scrittori e intellettuali rimbalza il dibattito o, meglio, l’appello ad abbandonare le case editrici afferenti al presidente del consiglio dei ministri – non che sia una novità, forse stavolta i toni sono solo più veementi visto il casus belli, la contrattazione fiscale favorita da una cosiddetta “legge ad aziendam” – Panarari parte in tromba dichiarando una défaillance: l’abbandono della tenzone culturale della sinistra. Una tenzone che a lungo è passata per i luoghi collettivi (a iniziare dai consigli di fabbrica) contribuendo a creare una coscienza condivisa del proprio “essere classe”.

Domani di Maurizio ChiericiPoi, però, sono arrivati gli anni Ottanta. Da cui – canta Manuel Agnelli con gli Afterhours – «non si esce vivi». Ed è vero. Intendiamoci, gli anni Ottanta non sono una punizione divina piovuta dal cielo su novelle Sodome e Gomorre dell’estremismo extraparlamentare, ma sono stati un effetto voluto e perseguito. E lo spiega bene Panarari quando attacca a raccontare della «controrivoluzione televisiva» e dell’«appuntamento al Drive In». Un drive in grottesco tanto quanto quello che dà il titolo al forse più famoso romanzo di Joe R. Lansdale, ma sicuramente ben più massivo, negli effetti e nella portata quantitativa. Perché, si badi bene, una cialtroneria che si rispetti, condivisa e assimilata a sufficienza da diventare life style, direbbero gli anglosassoni, non è cosa che si improvvisa.
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“L’ultima lettera che aveva ricevuto da lei le era sembrata incoraggiante”

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Rubbed out doll

Brett aveva anche una figlia, di nome Tillie, detta Till, che viveva a Denver. L’ultima lettera che aveva ricevuto da lei le era sembrata incoraggiante. Till diceva che il suo pappone non la picchiava più tanto, e che quasi tutte le vecchie ferite erano sparite, anche se le era rimasta una piccola cicatrice bianca sopra l’occhio destro, e nei giorni freddi zoppicava un po’. Si era comprata un cagnolino di nome Milo, ma al suo pappa non era piaciuto, e gli aveva sparato. In realtà questo non era poi dispiaciuto troppo a Till, perché si era resa conto che non aveva nessun bisogno di un cane, nel piccolo appartamento dove abitava e intratteneva i clienti.

Joe R. Lansdale, Bad Chili