Navi dei veleni: si riapre la vicenda del capitano Natale De Grazia che indagava sul traffico rifiuti tossici

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Il Sole 24 Ore scrive che si riaprono i misteri sulle navi dei veleni: sparite le carte di un pentito e c’è pure una morte sospetta:

Non sarebbe morto di infarto ma di immunodepressione e immunodeficienza causate da sostanze tossiche presenti nel suo organismo. Sarebbe questa la sconvolgente novità contenuta nella terza perizia ordinata all’Università di Roma dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, che dopo anni di indagini ha voluto vederci ancor più chiaro sulla morte del capitano Natale De Grazia, che proprio oggi avrebbe compiuto 56 anni.

Il comandante De Grazia morì il 13 dicembre 1995, improvvisamente, a Nocera Inferiore, mentre era in viaggio da Reggio Calabria a La Spezia nell’ambito delle indagini relative al traffico di rifiuti tossici e/o radioattivi: lì avrebbe dovuto raccogliere importanti deposizioni e documenti nautici relativi ad affondamenti sospetti nel Mediterraneo, in particolar modo di fronte alle coste calabresi. Le indagini gli erano state delegate dall’allora capo della Procura di Reggio Francesco Scuderi. Quel giorno in viaggio con lui si trovavano anche il pm Francesco Neri, titolare delle indagini, l’autista e il suo collega Nicolò Moschitta.

L’articolo, a firma di Roberto Galullo, continua qui.

Aggiornamento del 21 dicembre: sull’edizione cartacea del Manifesto due pagine sulla vicenda, la 8 e la 9.

A vent’anni da Capaci, il racconto del tradimento dello Stato, dei mandanti rimasti ignoti e delle indagini troncate

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Lucarelli Racconta - Speciale Falcone e Borsellino

Sono trascorsi vent’anni esatti dall’omicidio di Giovanni Falcone, di sua moglie, Francesca Morvillo, e degli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Carlo Lucarelli ha dedicato uno speciale della sua trasmissione alle stragi del 1992 e del 1993. E sul blog Finanza e potere il giornalista Giuseppe Oddo scrive delle ipotesi sui mandanti occulti, oltre che a Falcone fu impedito di indagare su Gladio.

“Le reliquie di Hitler”: alla ricerca dei tesori trafugati dal nazismo e dei gioielli del Sacro Romano Impero

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Le reliquie di HitlerPer i tipi di Odoya è uscito un po’ di tempo fa il libro Le reliquie di Hitler scritto da Sidney D. Kirkpatrick:

Alla vigilia dell’invasione della Germania da parte degli Alleati, Heinrich Himmler ordinò la costruzione di un bunker top secret al di sotto del castello di Norimberga. All’interno di una sala sorvegliata venne messa una cassaforte costruita allo scopo di contenere i tesori depredati che Hitler considerava più preziosi: la Lancia di Longino (forse usata per trafiggere il costato di Cristo mentre era sulla croce) e i gioielli della Corona del Sacro Romano Impero, manufatti pregni di misticismo e bramati dai potenti di tutto il mondo, da Carlo Magno a Napoleone. Ma mentre le bombe alleate piovono su Norimberga cinque delle reliquie più preziose, tutte destinate all’incoronazione di un aspirante imperatore di un nuovo Sacro Romano Impero, svaniscono dalla cassaforte. Chi le ha prese? E perché?

Il mistero rimase irrisolto per mesi dopo la fine della guerra, finché il supremo comandante alleato, il generale Eisenhower, ordinò al luogotenente Walter Horn, storico dell’arte tedesco in licenza dall’Università di Berkeley, di dar la caccia ai tesori mancanti. Per compiere la sua missione, Horn dovrà ritornare nei luoghi della sua gioventù – ora rasi al suolo – e indagare sulle antiche leggende che circondano i tesori trafugati. Horn cerca indizi nei resti del castello di Himmler e segue le tracce dei “Cavalieri teutonici” neonazisti, incaricati di proteggere una vasta fortuna nascosta d’oro e altri tesori. Ciò che Horn scoprirà nella sua odissea investigativa sarà talmente esplosivo da rimanere segreto per decenni.

Qui quanto ne scrive il quotidiano Il Sole 24 Ore.

“L’Italia dei crack”: da Parmalat a Italease, i grandi fallimenti societari ricostruiti nel libro di Mara Monti

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L'Italia dei crackSul Fatto Quotidiano Leo Sisti scrive Da Parmalat a Italease. In un libro “L’Italia dei crack” scritto dalla giornalista del Sole24Ore Mara Monti. Il volume, pubblicato da Newton Compton Editori, ha come scopo quello di raccontare di “milioni di euro andati in fumo. Migliaia di risparmiatori truffati. Ecco come sono andate veramente le cose”. Sisti descrive il lavoro della cronista in questi termini:

280 pagine che ricostruiscono fatti, misfatti e crimini dei colletti bianchi negli anni Duemila con le loro società: da Parmalat a Cirio, ma anche, in rivoli minori, da Giacomelli a Fin. Part, da Italease a Finmatica e Freedomland (un nome, un programma…), fino ad altri aspiranti finanzieri, pronti a turlupinare il pubblico del “parco buoi”, come spregiativamente vengono definiti quei poveracci che non hanno nessuna colpa se non quella di essere finiti nelle fauci di autentici pescecani.

Nella presentazione del libro invece si legge:

È la parabola della Parmalat e del suo fondatore, Calisto Tanzi. Vicenda parallela a quella di Sergio Cragnotti e della Cirio, con la sua rete di società in esotici paradisi fiscali, dove per anni ha nascosto il denaro dei risparmiatori. Era dai tempi del crack Ambrosiano e del Banco di Napoli che non si vedevano dissesti di queste dimensioni. Più di mezzo milione le vittime dei crack degli ultimi anni: dai bond venduti come sicuri e divenuti carta straccia dopo l’insolvenza (Parmalat, Cirio, Giacomelli, Fin.part), ai derivati spericolati di Italease, fino alle dot.com della new economy all’inizio degli anni 2000 (Freedomland, Finmatica, Opengate e Algol).

Se ne può leggere anche qui, sulle pagine web del Sole24Ore.

Una storia di segreti duri a morire: Colarieti racconta il tentativo di Claudio Gatti con gli archivi dell’intelligence

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Gran bel post di Fabrizio Colarieti su Segreti duri a morire, pubblicato sul blog Cado in piedi. Argomento: accesso agli archivi dei servizi segreti richiesto dal giornalista Claudio Gatti del Sole24Ore. Negato, ovviamente. E con successivo ricorso al Tar che ha rigettato l’istanza del cronista. Ecco perché:

Sostanzialmente nella sentenza di cinque pagine (n. 5638/11), depositata lo scorso 24 giugno, il Tar ha definito la sua richiesta di accesso ai documenti classificati troppo vaga e «meramente esplorativa». E per capire meglio in che Paese viviamo, e che valore ha il segreto di Stato, bisogna leggerla tutta, fino in fondo. Il Tar specifica che Gatti nella sua istanza «non ha semplicemente richiesto di consultare gli archivi del Dis, al fine di ricercare ed estrarre il materiale di proprio interesse, bensì ha domandato l’accesso a documenti determinati, a suo dire facilmente individuabili in ragione dell’indicazione dei fatti e delle persone a cui gli stessi si riferiscono, con l’ulteriore elemento rappresentato dalla circostanza che, in ordine agli stessi, sia venuta meno ogni classifica di segretezza».

Cioè, chiedendo di applicare la legge, ha indicato alla Presidenza del Consiglio la lista dei documenti di cui aveva bisogno per svolgere il suo lavoro. Circostanze precise, nomi e fatti. Nulla di più. Un sistema che negli Stati Uniti funziona, ed è per giunta regolato dal Freedom of Information Act che autorizza i giornalisti a consultare i documenti declassificati. In Italia, a leggere l’articolo 39 della legge 124, potrebbe sembrare altrettanto agevole, ma così non è. Tuttavia per il tribunale amministrativo la richiesta del giornalista è «meramente esplorativa avendo egli fornito, in realtà, solo elementi di carattere generale (in pratica la sola cornice storico-fattuale) per l’individuazione dei documenti di proprio interesse». Un esempio: conoscere, essendo passati giusto 32 anni, ulteriori elementi, sotto forma di documenti in possesso dei Servizi, sull’omicidio del giornalista Carmine Pecorelli. Di meramente esplorativo c’è ben poco, si tratta di rintracciare i fascicoli, applicare la legge e consentire a Gatti di consultarli. È troppo faticoso.

Anche il resto del post è interessante. Per leggerlo tutto, si clicchi qui. Rimpiangendo l’assenza di un Foia italiano che sia degno di un nome che suona tipo Freedom of Information Act.

Vivere la cultura: due giorni a Roma per discutere della situazione e di prospettive

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Vivere la cultura“Giornate del lavoro culturale”, quelle che, dal bianciardiano retrogusto, si terranno a Roma il 24 e il 25 giugno prossimi. Il titolo della manifestazione è Vivere la cultura, è organizzata dal Consorzio Baicr Sistema Cultura e, tra le ragioni del suo essere, trova queste:

Lo sviluppo e il declino di una nazione – dicevano gli economisti di un tempo – dipendono dalla ricchezza che è in grado di creare e riprodurre; ma una parte essenziale di questa ricchezza – dicono gli economisti di oggi – è fatta di capitale sociale e di capitale umano, ovvero di persone e di cultura, intesa in senso lato come patrimonio di conoscenze, saperi, competenze, abilità, che le generazioni si sono trasmesse l’un l’altra nel corso della storia.

Il lavoro culturale rappresenta in Italia l’attività concreta di centinaia di migliaia di persone, moltissimi giovani, che intorno ad esso costruiscono non solo sogni e idee, speranze e illusioni, ma la propria autonomia economica e il proprio progetto di vita ideando percorsi professionali e di ricerca spesso originali.

Per saperne di più è possibile scaricare la brochure dell’evento (pdf, 1,4MB) mentre dal programma pubblicato sul sito è annunciata la partecipazione tra gli altri di Giuseppe Vacca (presidente Fondazione Istituto Gramsci), Fabio Del Giudice (direttore della fiera della piccola e media editoria Più Libri Più Liberi), Riccardo Chiaberge (direttore di Saturno, supplemento culturale del “Fatto Quotidiano”) e Luca De Biase (Il Sole 24 Ore), oltre a molti artisti e operatori del settore.

L’egemonia sottoculturale: il post-moderno degli anni Ottanta e il trionfo dei “mezzi di distrazione di massa”

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L'egemonia sottoculturale di Massimiliano PanarariSu consiglio di Claudio Vercelli e in relazione a un futuro progetto oltre confine, ho iniziato a leggere un libro che promette bene, L’egemonia sottoculturale – L’Italia da Gramsci al gossip di Massimiliano Panarari (collana Passaggi Einaudi). Che di questo si occupa:

Una volta il nazionalpopolare era una categoria gramsciana, i giornali e la televisione pubblica erano pieni di scrittori e intellettuali, la sinistra (si dice) dominava la produzione culturale. Oggi nazionalpopolari sono i reality show pieni di volgarità, la televisione (pubblica o privata) è quella che è, e la sinistra pure. Ma si può paragonare l’Italia di Pasolini, Calvino, Moravia con quella di Striscia la notizia, Alfonso Signorini, Amici di Maria De Filippi? La tesi provocatoria di questo libro è che il confronto non solo è possibile, ma è illuminante.

Perché oggi, finita e strafinita l’egemonia culturale della sinistra, trionfa un’egemonia sottoculturale prodotta dall’adattamento ai gusti nostrani del pensiero unico neoliberale, in quel frullato di cronaca nera e cronaca rosa, condito da vip assortiti, che sono diventati i nostri mezzi di comunicazione, ormai definitivamente dei «mezzi di distrazione di massa». E il paradosso è che molte delle tecniche di comunicazione che oggi innervano la società dello spettacolo sono nate dalla contestazione del Sessantotto, dai movimenti degli anni Settanta e dalle riflessioni sul post-moderno degli anni Ottanta.

E così, in un cortocircuito di tremenda forza mediatica, il situazionista Antonio Ricci produce televisione commerciale di enorme popolarità, Signorini dirige con mano sicura il suo postmodernissimo impero «nazionalgossiparo», i reality più vari sdoganano il Panopticon di Bentham e Foucault per le masse. Una riflessione originale sulla costruzione del nostro immaginario contemporaneo, che getta luce sul lato nascosto (e serissimo) della frivola cultura pop in cui siamo tutti immersi.

Per averne una sorta di saggio, si può dare un’occhiata a cosa ne scrive Andrea Romano sul Sole 24 Ore o Il Ricci furioso, scritto dallo stesso Panarari per Micromega Online.