1977-1982, quegli “Anni spietati” a Torino: un documentario su attentati, assemblee e processi per terrorismo

Standard

Anni spietati a Torino è il documentario scritto da Stefano Caselli e Davide Valentini e girato da Igor Mendolia che racconta questa storia:

323 attentati tra il 1969 e il 1982, 48 feriti, 26 morti. È il tributo di sangue pagato da Torino agli anni di piombo, soprattutto nel quinquennio 77-82: dall’omicidio del brigadiere Ciotta all’esecuzione delle guardie giurate Pedio e D’Alleo, senza dimenticare gambizzazioni, sequestri, incendi e sabotaggi. Torino è una città-fabbrica che vive “al chiuso” dietro i cancelli della Fiat, dell’università, dei palazzi eleganti del centro. Una metropoli impaurita, che reagisce alla violenza e diventa laboratorio per la vittoria contro il terrorismo: è la città delle mille assemblee e dei grandi processi a Br e Pl.

“Anni spietati” intende ricostruire e far capire un periodo della nostra storia recente, gli anni di piombo, che dal 1969 al 1982, hanno trovato in Torino una capitale involontaria, uno scenario preferenziale a tanti assassini e ferimenti che hanno segnato una generazione. Vuole dar voce ai protagonisti della parte giusta, i torinesi che soprattutto da sinistra avevano compreso la follia del partito armato e che agirono.

Il documentario, uscito nel 2007 e della durata di un’ora circa, trae ispirazione dall’omonimo libro di Caselli.

“Così i servizi pianificavano la strategia della tensione”: la descrizione in un documento del settembre 1963

Standard

Settembre 1963: così i servizi pianificavano la strategia della tensione, documento trovato da Giacomo Pacini, storico dell’Isgrec (Istituto grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea).

“La variante Moro”: il romanzo di Elena Invernizzi che dalla strage di via Fani arriva in America Latina

Standard

La variante Moro - Tra via Fani e il Plan Condòr

La variante Moro – Tra via Fani e il Plan Condòr è il libro appena uscito per Round Robin e firmato dalla brava scrittrice Elena Invernizzi, già comparsa su queste pagine. La sinossi anticipa i seguenti passaggi:

Due giocatori si contendono, con una partita a scacchi, il loro segreto. Ogni volta che uno dei due mangia un pezzo all’avversario, l’altro deve raccontare una storia. Il Bianco è un avventuriero, un reduce della Legione straniera con un passato al servizio delle dittature del Sud America. Il Nero è un uomo dai modi sfuggenti e dai trascorsi oscuri. Se il Bianco ripercorre gli anni del Plan Cóndor, l’operazione voluta dagli Stati Uniti in Sud America tra gli anni settanta e i primi anni ottanta per contrastare l’avanzata della sinistra nel Cono Sur, il Nero ritorna quasi ossessivamente alla mattina del 16 marzo 1978, ai momenti precedenti all’agguato di via Fani in cui venne rapito l’onorevole Aldo Moro e sterminata la sua scorta dalle Brigate rosse. Due narrazioni che procedono parallele fino a trovare il loro punto di convergenza e cominciare a diradare la fitta nebbia che avvolge i due protagonisti e l’intera vicenda di via Fani.

Il libro sarà presentato il 16 febbraio a Milano, presso la libreria Shake Interno 4 (vicolo Calusca 10/f), e parteciperà con Elena anche Alessandro Braga di Radio Popolare Network. Se intanto se ne vuole leggere di più, si dia un’occhiata qui e qui.

“L’affare Giuliano”: in un libro curato da Carlo Ruta il racconto del primo patto tra Stato e mafia in epoca repubblicana

Standard

L'affare Giuliano

L’affare Giuliano. I documenti che rivelano il primo patto tra Stato e mafia nel tempo della Repubblica, a cura di Carlo Ruta, archivio storico di Accade in Sicilia:

La strage del primo maggio 1947 non è stata perfetta, e imper­fetti sono stati i delitti che ne sono conseguiti. Sin da subito sono emerse scoperture che hanno chiamato in causa ambienti politici e di Stato: esponenti monarchici e della Democrazia Cri­stiana, un potente magistrato di Palermo, comandi militari, alti uffici di Pubblica Sicurezza, perfino il Viminale di Mario Scel­ba. Si è cercato di nascondere le tracce, di rimediare agli errori. Ma anche questo lavoro di «restauro» ha presentato scoperture importanti.

Per ordinare in cartaceo (24 euro) o digitale (9 euro) il libro, si può scrivere all’indirizzo mail archivioaccadeinsicilia[at]gmail.com usufruendo di uno sconto che sarà comunicato dall’editore.

“Mafia da legare”: quando e come a cosa nostra è convenuto simulare la malattia mentale

Standard

Mafia da legareUn altro libro che si preannuncia interessante, questa volta appena uscito per la casa editrice Sperling & Kupfer. Si tratta di Mafia da legare – Pazzi sanguinari, matti per convenienza, finte perizie, vere malattie: come Cosa Nostra usa la follia dello psichiatra Corrado De Rosa e della giornalista Laura Galesi:

Nel codice d’onore di cosa nostra non c’è spazio per la follia. Il mafioso si comporta in modo irreprensibile nella vita privata e in quella pubblica, ascolta, tutto sa, agisce nell’ombra, non perde mai il controllo. Per lui “pazzo” è un insulto, un’arma per delegittimare un delatore o attaccare chi è diventato troppo scomodo. Il boss è un uomo tutto d’un pezzo, o almeno così si dipinge.

Eppure, in molti casi, è pronto a trasformarsi, per convenienza, in un matto da manuale: un comodo ed efficace escamotage per arrivare alla villeggiatura del manicomio giudiziario o, addirittura, degli arresti domiciliari evitando così il carcere duro e magari anche il processo. Mafia da legare è il primo libro che raccoglie e analizza le varie forme di “follia”, a volte vera, molto spesso presunta, che hanno colpito Cosa Nostra. Da quella usata per screditare nemici e traditori a quella simulata che salva dalla prigione, fino alla psicopatia reale e feroce dei criminali sanguinari. Non solo: non c’è follia se non c’è nessuno che “ci crede”.

Del volume ne è disponibile anche la versione Kindle.

“Animali di periferia”: in un libro di Donatella Alfonso la storia del gruppo XXII ottobre nella Genova del 1970

Standard

Animali di periferiaLa giornalista di Repubblica Donatella Alfonso firma il libro uscito per Castelvecchi con il titolo Animali di periferia. La vera storia della XXII ottobre: l’origine del terrorismo in Italia in cui si racconta questa storia:

Genova, 1970. La bomba di piazza Fontana, il timore di un colpo di Stato e dell’instaurazione di un regime neofascista spinge un piccolo gruppo di giovani sottoproletari, cresciuti in un quartiere della periferia operaia, e qualche ex partigiano che si riconosce nelle delusioni di una Resistenza tradita all’azione concreta. Trasmissioni radio, interferenze sul primo canale della Rai per spingere alla mobilitazione, incendi e sabotaggi ad aziende messe nel mirino, attività illegali per finanziarsi (dalle rapine al rapimento del figlio di una tra le famiglie più in vista della città) sono le strategie cui ricorrono. Alcuni di loro sono iscritti al Pci, altri lo sono stati, altri sentono solo di non essere rappresentati.

Non hanno nome, ma si rifanno ai Gap, i Gruppi di azione partigiana, e alla strategia della guerriglia sudamericana. Pensano a una nuova Resistenza e a una rivoluzione di stampo cubano. Entrano in contatto con progetti e percorsi non del tutto chiari, incrociano altre vite, come quella di Giangiacomo Feltrinelli. Sono solo gli esordi di quella che passerà alla storia come banda XXII Ottobre. Un nome creato dalla stampa, che si riferisce alla data di un biglietto ferroviario trovato nelle tasche di Mario Rossi, il capo della banda. Rossi è l’uomo immortalato in una fotografia con la pistola in mano, puntata verso un inerme fattorino – Alessandro Floris – a seguito di una rapina finita nel sangue: una delle immagini – icona del «male» insito nella violenza politica degli anni Settanta.

A turno questi uomini sono stati indicati come terroristi, criminali comuni, tupamaros di quartiere. Loro preferiscono definirsi solo «animali di periferia, meno addomesticabili e più selvatici». Ma la vicenda di queste persone s’intreccia a quella di chi, vent’anni dopo la Liberazione, pensava che la Resistenza dovesse avere una nuova fiammata: quella della svolta definitiva del Paese in senso rivoluzionario.

(Via BooksBlog)

CampiFascisti.it: progetto creato per censire i luoghi di deportazione e internamento dall’Italia all’Africa passando per i Balcani

Standard

Campi fascisti

Il progetto è supportato da realtà come Audiodoc, Museo della Shoah e Europe for citizen programme, oltre ad avere la collaborazione di Anna Pizzuti e del suo Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico. Si chiama Campi fascisti e parte da questi presupposti:

Lo stato fascista italiano si è avvalso di diversi strumenti e luoghi per imprigionare, segregare e deportare popolazioni straniere, oppositori politici, ebrei, omosessuali e rom. Dai campi di concentramento per i civili sloveni e croati, a quelli dove furono deportati migliaia di eritrei, etiopi e libici, dalle località di internamento per ebrei stranieri, fino ai luoghi di confino per oppositori politici.

Al momento molti dei materiali derivano da quanto raccolto per l’indagine I campi fascisti: dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, conclusa lo scorso novembre. E se il lavoro si annuncia come un continuo work in progress rivolto a studiosi, centri di ricerca e università, sta sempre più assumendo le sembinze di un centro di documentazione on line per intanto suddiviso nelle sezioni campi di concentramento, campi di lavoro coatto, campi di transito, località di confino, località di internamento, località di soggiorno obbligatorio, carceri, campi per prigionieri di guerra, distaccamenti di lavoro e campi provinciali della Repubblica sociale italiana.

(Via Blog del master di comunicazione storica)

Ustica, la Cassazione: “Aereo abbattuto da un missile, lo Stato risarcisca i familiari”

Standard

UsticaChi sostiene ancora oggi, nonostante l’implausibilità giudiziaria di questa tesi, la teoria della bomba a bordo si rassegni. La Corte di Cassazione, dando ragione al tribunale civile di Palermo, stabilisce che l’aereo abbattuto il 27 giugno 1980 sui cieli sopra Ustica venne distrutto da un missile. E per questo lo Stato italiano deve risarcire i familiari delle vittime. La ragione? Non seppe garantire la sicurezza del volo partito da Bologna e diretto a Palermo. E non lo fece né con i radar civili né con quelli militari.

La sentenza per la quale si è pronunciata la Cassazione si riferisce a un pronunciamento civile della Corte d’Appello di Palermo del 2010 seguito dagli avvocati Vanessa e Fabrizio Fallica, poi confluiti nel pool legale che ha seguito il processo di primo grado giunto a conclusione nel settembre 2011. In quel caso si trattava di 6 risarcimenti per i quali i magistrati siciliani erano giunti alla stessa conclusione dei colleghi che hanno sentenziato l’anno successivo: fu un missile a uccidere le 81 persone imbarcate sul Dc9 dell’Itavia.

Continua a leggere sul Fatto Quotidiano. E ancora: Ustica, Andrea Purgatori: “Ora Hollande ammetta le responsabilità della Francia”

Rosarno, storie di braccianti, stranieri e caporali nella ricostruzione via Storify di Terrelibere.org

Standard

Terrelibere.org sta seguendo la situazione di Rosarno raccontando la storia di arance, braccianti, stranieri e caporali. Qui una cronaca per immagini e per saperne di più si veda anche l’inchiesta multimediale realizzata sull’argomento.