“Mal di Torino” di Fabrizio Vespa: il ritratto di una città tra racconto noir, cronaca quotidiana e legame quasi sentimentale

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Mal di TorinoDi una sindrome del genere, a Bologna, se ne sente parlare spesso: gente che vive nel capoluogo emiliano se ne va, anche temporaneamente, per una trasferta di lavoro o per una vacanza. E quando torna avverte una specie di sollievo, una nostalgia che si acquieta e che non subisce il contraccolpo di aver visitato luoghi più storici, più affascinanti dal punto di vista paesaggistico, più tenebrosi dei portici notturni. Qualcosa del genere, qualcosa di molto simile, la racconta il giornalista Fabrizio Vespa nel suo libro appena uscito e intitolato Mal di Torino (Express Edizioni):

Torino come un continente mentale. All’interno del quale si muove un giornalista detective che incontra per caso Solomon Epstin, il misterioso filosofo che gli rivela di essere entrato in possesso degli ultimi scritti di Lombroso, scomparsi subito dopo la sua morte. Rimasti incompiuti, in quei preziosi documenti l’anticipatore della moderna criminologia annota i suoi sorprendenti studi sul “Mal di Torino”. [Ne scaturisce] una Torino trasfigurata tra il noir e l’inchiostro della cronaca spicciola, il protagonista si lancia alla ricerca dei perduti scritti lombrosiani.

Il libro, che contiene anche una serie di illustrazioni, si compone di undici “lettere” e altrettante interviste a piemontesi celebri, come Bruno Gambarotta (per quanto astigiano di nascita, torinese lo è d’azione), Steve Della Casa e Marco Ponti (nato in provincia, ad Avigliana). Scrive l’autore:

Torino era ed è ancora la mia conchiglia per ascoltare il mare. Roma invece era il Sud (il Centro è una pura astrazione), era tutta l’Italia concentrata all’ennesima potenza, il mondo intero, l’universo senza limiti: in una parola, qualcosa di troppo grande e indefinito. Con tutto che sono figlio di meridionali e le radici della mia famiglia sono sparse tra Caserta, Latina e la capitale stessa.

“Anonymous – Noi siamo legione” nelle parole di “Un libro al giorno” dell’Ansa e della Gazzetta del Sud

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Anonymous - Noi siamo legioneL’Ansa parla di Anonymous – Noi siamo legione con un primo take e una recensione per la rubrica Un libro al giorno firmata da Titti Santamato e ripresa dalla Gazzetta del Sud. Ecco il testo di seguito.

“Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspettateci”. Si annunciano con queste parole gli ignoti che si riuniscono sotto la sigla Anonymous e promettono battaglia contro censura, imperialismo, finanza d’assalto, devastatori dell’ambiente e militarismo. Questo libro è un’inchiesta su questa forma di lotta del nuovo millennio, a mezzo Internet, che ha finito per colpire indistintamente corporazioni, partiti, dittature e religione. A raccontarla è Antonella Beccaria, giornalista e scrittrice. Collabora con Il Fatto Quotidiano, con la trasmissione di Rai3 Lucarelli racconta e ha alle spalle numerose pubblicazioni tra cui il “Divo Giulio: Andreotti e sessant’anni di potere”.

“Scriverlo è stata una corsa contro il tempo, ma è stato un viaggio fantastico – scrive Antonella Beccaria sul suo blog -. Fantastico perchè si passa dall’evoluzione della cultura ‘geek’ nello strano laboratorio di ‘4chan’ alla guerra scatenata contro Scientology. E poi il sostegno all’Iran post elezioni del 2009, la primavera araba in Tunisia e in Egitto, le campagne ambientaliste in America Latina, i movimenti Occupy e No Tav e il supporto a Wikileaks e contro le torture a cui è stato sottoposto Bradley Manning (il soldato statunitense accusato di aver passato migliaia di documenti riservati a Wikileaks mentre svolgeva il suo incarico di analista informatico in Iraq, ndr)”.
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“Un orsacchiotto con le batterie”: un libro e un blog per mantenere viva la memoria sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992

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Un orsacchiotto con le batterieNel giorno del ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, c’è un libro che merita di essere segnalato. Si intitola Un orsacchiotto con le batterie – Il depistaggio sulla strage di via d’Amelio (Round Robin Editrice), è stato scritto da Elena Invernizzi e Stefano Paolocci e questa la sua sinossi:

Palermo, domenica pomeriggio, cento secondi alle cinque: il sismografo dell’osservatorio geofisico ha un sussulto, mentre fuori già si alza una lama di fumo nero. Vent’anni dopo, un uomo guarda la sua città dalla finestra, assaporando l’aroma persistente di una sigaretta. Sulla scrivania il minuzioso lavoro di ricostruzione che sta portando a termine: la mappa di un depistaggio lungo due decenni attorno alla strage di via D’Amelio.

In un gioco di pesi e contrappesi saranno le voci dei pentiti a dominare la scena: quella dell'”orsacchiotto con le batterie” Vincenzo Scarantino in primis, sulle cui dichiarazioni verranno istruiti i processi; e quella di Gaspare Spatuzza poi, il collaboratore che ha rimesso in discussione le sicurezze acquisite in tanti anni di indagine. Una ricerca di verità e giustizia che condurrà il protagonista a muoversi tra mille piste e sentieri intricati, sino a culminare in un incontro che, alla fine, gli regalerà una nuova prospettiva sulla strage, aiutandolo a mitigare il senso di sconcerto e impotenza.

Per il libro e perché la memoria di questa vicenda rimanga viva, è stato creato anche un blog ad hoc.

“Volevamo essere giganti” di Angela Scarparo: romanzo tra la provincia immigrata e gli scenari degli anni di piombo

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Volevamo essere gigantiÈ un romanzo il libro firmato da Angela Scarparo, scrittrice e una delle menti del mensile Su la testa. Il volume, uscito nei giorni scorsi, si intitola Volevamo essere giganti (Gaffi Editore) e, in base a quello che ne scrive l’autrice Valeria Viganò, si anticipa che:

[Si tratta di] una storia appassionata che abbraccia il microcosmo di una provincia immigrata e il macrocosmo degli anni di piombo, nei quali si poteva tacciare di terrorismo chiunque […]. Lucy è sveglia, e ha uno spirito critico fuori dal comune. Niente sfugge ai sui occhi giovani che vedono le ingiustizie. Al punto che vuole a tutti i costi diventare amica di Cecilia, figlia di una terrorista ricercata e di un padre triste e solo. A lei non importa il pregiudizio, anzi lo sfida. Alla fine molte delle sue precoci battaglie saranno sconfitte ma, dall’insegnamento di quegli anni, Lucy uscirà con un’esperienza diversa e la passione ancora più radicata per le sue idee che si porterà dietro per sempre. Ha imparato a conoscere gli ideali e l’animo umano nella sua grettezza e nella sua nobiltà. La mamma, la zia Iris, lo zio cialtrone Gianni Nasetto e la sua fidanzata Fiamma, Cecilia e il padre sono personaggi di carne e spessore, intensi e divertenti. Dalle pagine si travasano dentro di noi e diventano indimenticabili.

La scheda del romanzo è disponibile qui.

“Anonymous”: sul Manifesto il racconto della “legione degli hacker anonimi”

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La sfida del Manifesto

Anonymous - Noi siamo legioneSul Manifesto del 14 luglio, Benedetto Vecchi recensisce Anonymous – Noi siamo legione con il pezzo intitolato La legione degli hacker anonimi Scrive tra l’altro:

Le parti più interessanti del volume sono quelle che raccontano l’intervento di Anonymous a fianco delle rivolte tunisine, egiziani, degli indignados spagnoli, degli studenti inglesi, del movimento NoTav. La vera differenza tra la loro attitudine hacker e quella dei loro fratelli maggiori sta proprio nel cercare un legame tra le rivolte dentro la Rete e le rivolte al di fuori delle schermo. Una scelta che andrebbe tuttavia analizzata a partire dal fatto che il confine tra vita dentro lo schermo e vita al di fuori di esso si è dissolto e che i conflitti sociali sono immediatamente conflitti sulla produzione e circolazione delle informazione e del sapere.

Anonymous è spesso indicata come risposta alla crisi della forma-movimento, perché assume lo sciame come organizzazione del conflitto. Si definiscono cioè gli obiettivi e si va all’attacco per poi sciogliersi una volta che l’azione si è conclusa. Un’organizzazione però che si deduce sempre dopo che lo sciame è formato. E nulla dice e in nessun modo è utile a definire i percorsi, il modo in cui si può formare lo sciame. Perché i movimenti non hanno nulla di naturale, ma sono espressione di relazione e condizioni materiali che sono socializzati attraverso il linguaggio. Cioè proprio di quei fattori che Anonymous «manipola» fin troppo benne nelle sue azioni.

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Anonymous e le #OpPedoChat: un “antico” cavallo di battaglia che ritorna e che ha contribuito a trasformare il gruppo degli esordi

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Anonymous - Noi siamo legioneA proposito del ritorno di Anonymous alla battaglia contro la pedopornografia, le #OpPedoChat, si tratta di uno dei temi che prima di altri hanno trasformato il gruppo da pesanti mattacchioni partoriti da 4chan a “vigilatisti”. Nelle interviste per il libro Anonymous – Noi siamo legione, è stato detto che “a noi non interessava far finire in galera i pedofili che prendevamo di mira, volevamo metterli alla berlina sul web in modo che tutti sapessero chi fossero e cosa facevano. Poi sono seguiti i primi arresti e ci siamo quasi stupiti”. Riassorbito il lieve stupore di qualche anno fa, hanno continuato fino al pezzo raccontato di seguito.

Nel 2011 – anno della vera inclusione di Anonymous da parte del Time tra i vip planetari – è stato descritto come la realtà di questo tipo:

Ha cambiato il modo di pensare l’hacking, trasformato in una forma di attivismo sociale […]. [Anonymous] è stato uno strumento a supporto delle proteste di Occupy Wall Street, per quanto in passato il suo nome si sia legato a incursioni nefaste come quella che quest’anno ha abbattuto la rete della Sony Playstation. Eppure si è calato nell’ambito della giustizia vigilantista prendendo di mira una massiccia rete di pedopornografia e, pur senza una leadership centrale, la sua reputazione è cresciuta grazie all’impostazione mentale del «ciascuno-può-contribuire». Che i suoi militanti possano davvero minacciare un cartello della droga messicano? Sono realmente in grado di smontare la rete della Sony? Questi sono alcuni dei pericoli insiti in un’organizzazione naturalmente disorganizzata come Anonymous.

E un accenno alla questione narcotraffico è interessante.
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“Anonymous – Noi siamo Legione”: una battaglia digitale contro censura, imperialismo, finanza d’assalto, devastatori dell’ambiente e militarismo

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Anonymous - Noi siamo legione

Scriverlo è stata una corsa contro il tempo, ma è stato un viaggio fantastico. E così nasce il libro Anonymous – Noi siamo Legione, appena uscito per Aliberti Editore. Fantastico perché si passa dall’evoluzione della cultura geek nello strano laboratorio di 4chan alla guerra scatenata contro Scientology. E poi il sostegno all’Iran post elezioni del 2009, la primavera araba in Tunisia e ìn Egitto, le campagne ambientaliste in America Latina, i movimenti Occupy e No Tav e il supporto a Wikileaks e contro le torture a cui è stato sottoposto Bradley Manning. La versione libraria di Anonymous è tutto questo e viene presentato così:

Gli ignoti che si riuniscono sotto la sigla Anonymous promettono battaglia contro censura, imperialismo, finanza d’assalto, devastatori dell’ambiente e militarismo. Questo libro è un’inchiesta su una forma di lotta da nuovo millennio che ha finito per colpire sette religiose, corporation, partiti reazionari e dittature mediorientali. Ogni volta che verrà compiuto un abuso, compariranno gli anonimi fustigatori il cui volto è rappresentato dalla maschera del giustiziere Guy Fawkes. E già oggi si può intuire il loro scopo: servizi digitali che garantiscano agli utenti la libertà di espressione.

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“Radici e sangue”: il romanzo di Gianni Pesce che racconta la vera storia sull’origine delle indagini su mafia e politica

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Radici e sangueQuesta è la storia di un’inchiesta su mafia e politica quando i due termini non potevano ancora essere accostati. Ed è una storia vera che porta a un’ecatombe, con gli omicidi del giudice struttore Rocco Chinnici e dei poliziotti Beppe Montana e Ninni Cassarà (seguiranno quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino), dopo che negli anni precedenti il filo dei soldi di cosa nostra, che si iniziava a seguire, avvicinava troppo alle stanze dei bottoni e a quelle dei banchieri (o bancarottieri). E così erano già stati ammazzati il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano (1979) e gli ufficiali dei carabinieri Emanuele Basile (1980) e Mario D’Aleo (1983).

Questa storia è raccontata in un libro uscito nell’autunno 2010, Radici e sangue. Lo firma Gianni Pesce, un funzionario che nel romanzo si chiama Mari e che a Cagliari viene messo a capo di un commissariato decentrato perché già aveva dato fastidio. È il racconto di un’inchiesta che lo vede chiamato in causa in prima persona, dato che fu lui a coordinare un lavoro contro il traffico di stupefacenti sbarcato in Sardegna per il tramite diretto di cosa nostra.
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“Io sono il libanese”: il prequel di “Romanzo criminale”, quando a metà anni Settanta la bandaccia non era ancora tale

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Io sono il libaneseThriller pages lo dà in uscita il prossimo 3 luglio. Si tratta di Io sono il libanese di Giancarlo De Cataldo (Einaudi), prequel di Romanzo criminale (romanzo molto liberamente ispirato alla banda della Magliana) e di Nelle mani giuste (i “sopravvissuti” della banda nell’Italia di Tangentopoli, nei nascenti anni Novanta). La scheda del libro anticipa che:

Roma, 1976. Un anno prima che tutto accada. Il Libanese freme. Il Libanese ha tre amici, Dandi, il Bufalo, Scrocchiazeppi. Passa con loro da un colpetto all’altro, tiene le armi delle altre bande. Il Terribile, che aspira a diventare il capo dei capi, tratta lui e gli altri pischelli come miserabili. Ma il Libanese non è uno dei tanti. Il Libanese ha un sogno. Un sogno ancora troppo grande per lui. Poi, una sera, il Libanese incontra Giada. Lei è bella, ricca, inquieta. Lei vuole cambiare le cose. Lei vuole fare la rivoluzione. Giada appartiene a un altro mondo. Il Libanese ne è stregato. E nello stesso tempo comincia a intuire che proprio da quel mondo potrà venire l’idea che gli permetterà di rendere il suo sogno una realtà. È grazie a lei, inconsapevole guida, che il Libanese penetra nel mondo dei ricchi, prima come pusher di un grande artista schiavo dell’eroina, e poi organizzando, con i suoi compari, un primo sequestro di persona (preludio di quello che segnerà, appena pochi mesi dopo, la nascita della Banda): il sequestro di un ricchissimo palazzinaro, padre di Sandro, l’amico del cuore di Giada.

(Via Diego Riggi)

“Chi ha ucciso Pio La Torre?”: vita e morte di un uomo che “diede fastidio a tutti” nella recensione di E Il Mensile

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Chi ha ucciso Pio La TorreAntonio Marafioti pubblica la sua recensione per E Il Mensile del libro di Paolo Mondani e Armando Sorrentino intitolato Chi ha ucciso Pio La Torre? (Castelvecchi, prefazione di Andrea Camilleri). E usa queste parole:

Gli intrighi noti al segretario siciliano erano davvero tanti e lui non si risparmiò mai nella ricerca di quella verità che ancor oggi sembra lontana dall’essere appurata: Portella della Ginestra, la stagione degli omicidi politici siciliani, l’installazione dei missili a Comiso, la lotta per la legge Rognoni-La Torre per la confisca dei beni alle cosche e l’introduzione del reato di associazione mafiosa. E ancora Cosa nostra e la Democrazia Cristiana di Vito Ciancimino e Salvo Lima, Gladio in Sicilia, l’Anello di Andreotti, La P2 di Licio Gelli, e l’incrocio fra massoneria e capi mafia. Pio La Torre “diede fastidio” proprio a tutti, si mise al centro di un fuoco incrociato che partiva finanche dai fucili Thompson di fabbricazione statunitense.

Furono queste le armi usate per la sua esecuzione e ancora ci si chiede il perché, visto che la mafia aveva a disposizione i ben più potenti e nuovi kalashnikov. Ma quella mafiosa, seppur la più plausibile, non sembrerebbe essere l’unica pista da seguire. Se gli esecutori sono stati rintracciati i mandanti rimangono ancora occulti. Per molti l’attentato a La Torre avrebbe fatto comodo a qualcuno più in alto della cupola di Cosa nostra. È quello che lui chiamava “terrorismo politico mafioso” e che affonda le radici in episodi mai del tutto chiariti, come quello del tentato golpe che Junio Valerio Borghese cercò di organizzare nel dicembre del 1970 con l’aiuto della mafia siciliana.

Continua qui. Invece la scheda del libro si trova qui.