Sul numero di maggio 2012 di Le Monde Diplomatique si parla di Divo Giulio insieme al libro La Base, un laboratorio di idee per la Democrazia Cristiana di Maria Chiara Mattesini (Edizioni Studium). Firma il pezzo Enzo Di Brango
Non è semplice pensare alla prima repubblica con i disastri della seconda davanti agli occhi. Eppure quel periodo che abbiamo esecrato e rimosso ritorna, alla luce dell’attuale situazione, spesso come termine positivo di paragone. È chiaro che la positività di un attimo si infrange contro la realtà dell’oggi, eppure parlare, nel 2012, di Democrazia Cristiana, non appare un esercizio inutile. Ci sono attimi, momenti della nostra storia, che si legano a un personaggio o a un contenitore che non ci permettono di saltare, a pie’ pari, la storia come è d’uso nel nostro Paese. È il caso di due recenti pubblicazioni che sottopongono al lettore un pezzo di storia ormai passato, ma la cui attualità appare stringente, un pezzo di storia del quale si può cominciare parlare liberi dai condizionamenti cui la prima repubblica ci aveva relegati. È il caso del Divo Giulio scritto da Antonella Beccaria e Giacomo Pacini e de La Base, un laboratorio di idee per la Democrazia Cristiana di Maria Chiara Mattesini.
Nel primo caso parliamo della vita e della parabola di Giulio Andreotti, nel secondo della storia di una delle correnti interne della Dc, forse la più a “sinistra” con “Forze nuove”. Insieme, esse rappresentarono un punto di vista alternativo per la coerenza di interpretazione degli umori popolari rispetto al mastodonte governativo. Le correnti della Democrazia Cristiana, soprattutto nell’ultimo scampolo di vita, non si contavano sulle dita di due mani, a dimostrazione del fatto che esercizio del potere e attività politica cominciavano a coincidere in maniera tale che oggi il risultato finale è sotto gli occhi di tutti.
Eppure quella politica che potrebbe essere liquidata come obsoleta, come assolutamente estranea alle dinamiche del XXI secolo, oggi mantiene il suo connotato di attenzione, non fosse altro che per la deriva del sistema partitico odierno. La Base svolse un ruolo fondamentale negli assetti politici dello scorso secolo, favorendo prima i governi di centro-sinistra e poi l’avvicinamento (miseramente naufragato) al Partito comunista italiano che appariva, negli anni Settanta, una forza in grado di proporsi come maggioranza. Ma la Dc non fu solo la Base, fu anche il partito di Andreotti, che ci ha dimostrato, a più riprese, come la politica non sia solo l’arte del possibile, ma anche un esercizio impossibile e tuttavia configurabile.
Il lavoro di Antonella Beccaria e Giacomo Pacini sulla parabola non ancora esaurita di Giulio Andreotti fornisce elementi di assoluta novità: come una telefonata tra il segretario del Divo Giulio, Franco Evangelisti, e la giornalista del Borghese Gianna Preda in cui Andreotti, di fatto, ammette la sua collocazione nell’ambito della destra fascista, e i movimenti dell’onorevole sulla questione triestina in funzione di una battaglia contro il comunismo slavo, le connivenze con la mafia accertate ma prescritte. Un personaggio, insomma, che raccoglie su di sé la storia d’Italia del dopoguerra ai giorni nostri.