Stefania Limiti: intervista a un ex carabiniere che sorvegliò il covo di via Montalcini

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Stefania Limiti, l’autrice del libro L’anello della Repubblica sul Noto Servizio di cui si era parlato qui, pubblica sul blog Cado in piedi il post-intervista Caso Moro: le verità nascoste. A rispondere alle domande della giornalista è un ex carabiniere a cui fu ordinato di tenere sotto sorveglianza il covo brigatista di via Montalcini durante i cinquantacinque giorni del sequestro del presidente della Democrazia Cristiana. E commenta in coda Limiti:

L’esperienza del signor Mario può suggerire tante cose ma tutte andrebbero verificate. E’ certo che lascia di stucco: durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro nessuno sapeva dell’esistenza di un covo-prigione in via Montalcini. Il generale Dalla Chiesa suggerì una sua ipotesi durante un’audizione in parlamento: cioè che da via Montalcini fosse uscita una Renault 4 quella mattina, ma vuota. Ciò che Moro non fosse lì. Comunque, qualcuno sapeva che in quell’appartamento non c’era solo una normale coppia di giovani sposi. Così come era sotto osservazione, da lontano, il covo di via Gradoli: lo ha detto un uomo dell’Anello, spiegando che fu impedito un blitz per liberare Moro.

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Caso Moro, in uscita “Via Fani ore 9.02” di Manlio Castronuovo e Romano Bianco

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Via Fani ore 9.02Per la casa editrice Nutrimenti uscirà a metà mese il libro Via Fani ore 9.02 – 34 testimoni oculari raccontano l’agguato ad Aldo Moro, scritto dal saggista Manlio Castronuovo (già autore sul caso del volume Vuoto a perdere) e dal giornalista Romano Bianco. L’ottica adottata dagli autori è quella di far parlare chi il giorno dell’imboscata era presente:

passanti occasionali, residenti della zona, inconsapevoli protagonisti che hanno potuto osservare il rapimento di Moro, l’uccisione della sua scorta, la fuga del commando brigatista. Testimonianze a ridottissimo rischio di manipolazione, rese nelle ore immediatamente successive ai fatti, prive delle distorsioni e delle ritrattazioni frutto del lungo percorso giudiziario. Parole passate al setaccio, che permettono la messa a fuoco di molti particolari, spesso inediti, raccolti in “presa diretta”. Le deposizioni ufficiali sono integrate da un ampio apparato di mappe della zona […] all’interno delle quali è stata ricostruita minuto per minuto la posizione di tutti coloro che hanno assistito all’agguato, alle sue fasi preparatorie o alla fuga, riportando rigorosamente cosa ognuno dei testimoni ha detto agli inquirenti di aver visto […]. La voce narrante e le voci dei testimoni si integrano in un’inchiesta tra saggio e noir […] che offre nuovi spunti di riflessione. In primo luogo sul motivo per il quale i brigatisti, contrariamente a come hanno raccontato di aver agito, abbiano abbandonato le auto in Via Licinio Calvo in tre differenti momenti: un codice di comunicazione interno del commando, che sancisse l’esito positivo di tre singole fasi dell’azione (primo trasbordo di Moro; tutti i brigatisti al sicuro; Moro nel covo). E ancora, nuovi elementi: come la certezza che l’Alfasud beige, accorsa sulla scena pochi istanti dopo l’operazione, fosse a tutti gli effetti un’auto in borghese appartenente alla Questura; e la figura di Bruno Barbaro, testimone rimasto nell’ombra per quindici anni, e recentemente scoperto legato al colonnello Pastore Stocchi, direttore del centro di addestramento dei “gladiatori” di capo Marrargiu.

E ancora a proposito di Moro, ma di un’altra via, via Gradoli, un assiduo frequentatore di questo blog segnala (grazie!) questo articolo di Paolo Brogi: Mokbel, il giallo di via Gradoli. La sorella parlò del covo delle Br. Chi sia Gennaro Mokbel si può vederlo qui.