“Con il sangue dei partigiani ci laverem le mani”: l’eccidio dei martiri di Villamarzana

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L'eccidio dei martiri di Villamarzana

“Ricordo che alla sera si sentivano da lontano solo le loro voci che cantavano a squarciagola: ‘Con il sangue dei partigiani ci laverem le mani’. E così è stato”. Nazzarena Boaretto, il 15 ottobre 1944, aveva appena compiuto 16 anni, ma si ricorda nei dettagli gli anni della guerra, soprattutto quelli dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. I repubblichini, i nazisti dentro casa, i rastrellamenti, le deportazioni in Germania, le violenze, il coprifuoco, la caccia a chi aveva deciso che avrebbe combattuto per la Resistenza.

Ma lei, nata in provincia di Rovigo, si ricorda in particolare dell’eccidio dei martiri di Villamarzana. A cercare notizie sulla fucilazione di 43 partigiani, passati per le armi come rappresaglia dopo la cattura e la sparizione di quattro collaborazionisti, tra cui il figlio di un colonnello a capo di una caserma locale, la Silvestri, se ne trovano. Ma Nazzarena Boaretto, che oggi ha 88 anni e vive a Cervesina, nell’Oltrepo pavese, ha deciso di andare oltre e di mettere in fila i ricordi della ragazzina che fu.

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Cesare Serviatti: viene da lontano la storia del Landru del Tevere

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«Pensionato, 450 mensile, conoscerebbe signorina con mezzi, preferibilmente conoscenza scopo matrimonio». È il 1931 quando esce questo annuncio. Chissà se l’autore si è ispirato a quanto accadeva in Francia più di quindici anni prima, quando un uomo, Henri Landru, si faceva passare con lo stesso sistema per un vedovo benestante in cerca di moglie. Dieci donne riuscì a irretire o almeno dieci furono le sue vittime, a cui si aggiunse un bambino di 10 anni. Si appropriava dei loro beni e le strangolava facendone a pezzi i corpi per bruciarli infine nel forno della sua villa.

Tutto questo, all’inizio degli anni Trenta, di certo non lo sa Paola Gorietti, Paolina, che ha 39 anni e che il 4 novembre 1931 lascia Roma, dove lavora come domestica, per andarsene con l’autore dell’annuncio a La Spezia senza più dare notizie di sé. L’uomo si chiama Cesare Serviatti e non è di bell’aspetto. Di corporatura robusta, è stempiato e ha baffi neri. Nato nella capitale da genitori ignoti, ha 59 anni ed è sposato, anche se Paolina non sa nemmeno questo. Niente figli e neanche una vera professione.
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Alto tradimento: la guerra segreta agli italiani da piazza Fontana alla strage alla stazione di Bologna

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Alto tradimento

Il 21 luglio 2016 è uscito per i tipi di Castelvecchi Editore (collana Stato di eccezione) il libro Alto tradimento – La guerra segreta agli italiani da piazza Fontana alla strage alla stazione di Bologna. Scritto a più mani, è firmato da Giorgio Gazzotti, Gigi Marcucci, Roberto Scardova, Claudio Nunziata e contiene anche un capitolo curato da me. Prefazione di Paolo Bolognesi.

Boris Giuliano: 37 anni dopo l’omicidio di un precursore delle indagini antimafia

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Boris Giuliano

È finita sul piccolo schermo la storia del capo della squadra mobile di Palermo trucidato il 21 luglio 1979 da Leoluca Bagarella, il boss corleonese che gli sparò alle spalle sette proiettili calibro 7.65 in un bar, il Lux. Su Rai 1, infatti, il 23 e il 24 maggio scorsi l’attore Adriano Giannini ha interpretato Boris Giuliano nell’omonima fiction diretta da Ricky Tognazzi che ne ha ricostruito la storia.

Una storia che finisce in un locale non a caso. Quello di via De Blasi, infatti, è un posto che Giuliano frequenta abitualmente. Quando le scuole sono aperte, ci si ferma a comprare la merenda per i figli e quando invece è tempo di vacanze ci passa per un caffè. Da solo, nonostante le minacce, come quella giunta solo il giorno prima: «Morirai».
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‘Ndrangheta, pentito: “I De Stefano e i rapporti con l’eversione nera”

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(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 15 LUG – L’inchiesta “mammasantissima” che ha portato alla luce la struttura segreta di vertice della ‘ndrangheta, fa tornare di nuovo alla ribalta quella che puo’ definirsi la “genesi” politico-mafiosa dei De Stefano e i loro collegamenti consolidati con l’eversione nera, con la banda della Magliana, il forte interesse perche’ il capoluogo di Regione rimanga a Reggio Calabria e non si sposti a Catanzaro.

“Sapevano tutto con largo anticipo – hanno detto all’unisono i pentiti Giacomo Lauro e Stefano Serpa – tant’e’ che da loro parte l’idea di convocare il summit di Montalto, nel cuore dell’Aspromonte nell’ottobre del 1969, per spiegare ai rappresentanti delle cosche della provincia di Reggio i motivi per cui aderire con ‘uomini, mezzi, armi e risorse finanziarie’ alla prevedibile ribellione popolare al momento della nomina di Catanzaro a capoluogo della Regione”.
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Strage alla stazione di Bologna: cos’è rimasto del corpo di Maria Fresu

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Nei giorni scorsi si è ampiamente parlato di Maria Fresu, 24 anni, uccisa nell’esplosione alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, di cui sarebbe rimasta solo una porzione della guancia. In realtà, a leggere la perizia medico-legale allegata agli atti del processo e firmata dal perito Giuseppe Pappalardo, non c’è solo questo. Nel documento (riportato in versione integrale sopra e scaricabile) vengono infatti indicati altri reperti biologici attribuiti a lei:

  • un occhio con iride castana;
  • un frammento del volto a cute glabra dal mento al labbro inferiore;
  • un lembo di pelle da cui si vedono sopracciglia sottili e depilate soprattutto verso l’esterno;
  • un lembo del naso compatibile per forma a dimensione e quello della ragazza;
  • alcuni denti dell’arcata inferiore;
  • un frammento di un femore compatibile come dimensioni all’altezza di Maria Fresu (era alta 148 centimetri);
  • la mano destra incompleta: le dita rimaste erano il mignolo, l’anulare e il medio con unghie curate, allungate e laccate.

Tra gli elementi non biologici sono stati trovati la borsa da viaggio, una valigia e una giacchetta. Il padre e la sorella di Maria Fresu la riconoscono dai frammenti del volto, tutti privi di struttura ossea sottostante (la sorella aggiunge anche che si era depilata le sopracciglia il giorno prima di partire e, dunque, di morire nell’esplosione).
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Le indagini di Nic: è uscito il secondo romanzo, “Il futuro non esiste”

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Il futuro non esiste

Dopo Di tutte le ipotesi, Argia Granini e io siamo alla seconda puntata dei gialli ispirati alle (vere) inchieste dell’agenzia di investigazioni private Eagle Keeper, fondata da Ugo Vittori e specializzata nell’antifrode assicurativa. Con l’ingresso di Giraldi Editore, che cura il romanzo e la sua diffusione in ebook (qui su Amazon e qui su Bookrepublic), stavolta l’investigatore Nicola Proietti va a Bristol, in Gran Bretagna, e questa è l’anticipazione della storia:

Nel mondo reale la vita si ferma forse per cercare chi ha commesso un delitto o un crimine? No, le persone che indagano hanno una famiglia, i loro problemi, soffrono per amore e vivono tutte le altre cose che vivono le persone normali. Così anche Nic ed i personaggi che ruotano intorno a lui. Nic, l’investigatore protagonista di tutte le storie, è un personaggio che fa innamorare i lettori, che si mostra al lettore con tutto se stesso, durezze e fragilità insieme, nel lavoro investigativo e nella vita privata. Ragionamento raffinato, acume investigativo e lampo di genio dell’idea risolutiva, lasciandosi permeare dall’atmosfera dell’ambiente in cui il reato è stato commesso, introducendosi lentamente nell’animo dei personaggi “indiziati” per capirne e capirne motivazioni e caratteri. Secondo libro della serie “Le indagini di Nic”, questo romanzo dal titolo evocativo accompagnerà il lettore attraverso un percorso investigativo interessante ed intrigante, fra la Toscana e il Galles, fra azione e sentimenti, difficoltà e peripezie, dal successo – ancora una volta – garantito.

E qui invece si può trovare il primo “episodio”, Di tutte le ipotesi. Infine ecco una segnalazione per “Il futuro non esiste”.

Ustica, Daria Bonfietti: “Sappiamo tutto, ora serve la verità”

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Strage di Ustica

Il testo che segue è di Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione parenti delle Vittime della strage di Ustica, ed è stato pubblicato dal quotidiano Il manifesto lo scorso 25 giugno 2016. Qui, invece, il podcast della trasmissione di Rai3 Fahrenheit di oggi intitolata Verità opache sul missile che il 27 giugno 1980 uccise le 81 persone a bordo del Dc9 dell’Itavia e sul “segreto di stato strisciante” che non oppone un segreto di Stato vero e proprio, ma rende difficile, se non impossibile, l’accesso alle fonti documentali. In onda, ospiti di Loredana Lipperini, anche Daria Bonfietti e il giornalista Fabrizio Colarieti di Stragi80.it.

Ricordiamo il 36° Anniversario della strage di Ustica e continuiamo il cammino verso la verità. Sappiamo già molto di quello che è accaduto nel cielo: sappiamo che «il DC9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea, guerra di fatto e non dichiarata», come ci rivela il giudice Rosario Priore già nel 1999.
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Maurizio Minghella: i delitti di un assassino seriale (seconda parte)

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Maurizio Minghella

(Qui la prima parte) “Non sono stato io”. Maurizio Minghella, nemmeno dopo l’ergastolo per i primi quattro delitti, quelli del 1978, ammise di aver ucciso. Continuò a proclamare la sua innocenza dal carcere di massima sicurezza di Porto Azzurro, all’Isola d’Elba, e nel 1995 la sua condizione cambiò in meglio quando venne trasferito alle Vallette di Torino ottenendo la semilibertà. Sembrava rigare dritto e andò a lavorare come falegname per la cooperativa “Piero e Gianni” del Gruppo Abele.

A chi lo seguiva, il passato infarcito da difficoltà scolastiche, piccoli furti e pose da playboy appariva un capitolo chiuso. Addirittura aveva conosciuto una donna e nel 1997 era arrivato un bambino. Due anni dopo aveva una nuova compagna, ma i guai erano dietro l’angolo.
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Roberto Calvi: 34 anni fa un omicidio ancora senza colpevoli

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Roberto Calvi

«Siamo di fronte a un giallo degno di un film di Hitchcock». Sandro Paternostro, corrispondente della Rai da Londra, definì così la vicenda iniziata il 18 giugno 1982. Intorno alle 7.30 di quel giorno, sotto il Ponte dei frati neri, nella capitale britannica, un dipendente della Daily Express aveva scorto un corpo appeso all’impalcatura che finiva nel Tamigi. I piedi erano immersi nell’acqua e intorno al collo era stata stretta a cappio una corda arancione.

Quel corpo apparteneva a Roberto Calvi, il banchiere che dal 1975 era il presidente del Banco Ambrosiano. Suicidio, si disse, perché Calvi, già condannato in primo grado per reati valutari, stava vedendo naufragare la sua banca e ci aveva provato a salvarla arrivando a rivolgersi anche alla Santa sede.
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