Immagini di donne e di proteste fino a metà del Novecento. Fanno parte del patrimonio iconografico della Biblioteca del Congresso statunitense. Per accedere ad altro materiale sull’argomento si veda anche American Women. E in particolare Women of Protest.
stati uniti
“Scorie radioattive”: in un libro la ricostruzione dei viaggi in Francia e dei depositi in Italia. La Difesa Usa: “Problemi di sicurezza”
StandardOgni tanto, dell’argomento, se n’è sentito parlare e poi s’è di nuovo inabissato. Da qualche settimana è diventato un libro di un giornalista, Andrea Bertaglio, e di un esperto di risparmio energetico Maurizio Pallante, presidente anche del Movimento per la decrescita felice. Si intitola Scorie radioattive. Chi sa trema, ma in silenzio (Aliberti) e di questo si occupa:
Di tanto in tanto, in date sconosciute, ci sono treni che fanno la spola tra l’Italia e la Francia attraversando paesi e città. Trasportano scorie nucleari, solo che nessuno lo sa. Sulle rive della Dora Baltea, esattamente a Saluggia, è stipato l’85 per cento dei rifuti radioattivi italiani, in gran parte in forma liquida. Dovevano essere solidifcati trent’anni fa, e invece sono ancora lì. Insieme a cinque chili di plutonio, una quantità suffciente a uccidere cinquanta milioni di persone: un decimo di milligrammo, se inspirato, costituisce uffcialmente una dose mortale. Millecinquecento metri più a valle c’è il più grande acquedotto del Piemonte, e quando il fume è in piena, chi sa trema. Ma in silenzio.
Ci sono depositi di rifuti radioattivi un po’ ovunque nel Paese. Gli scarichi di routine dei centri nucleari fniscono nei fumi e nei laghi, ma nessuno sembra notarlo. Sotto il terreno bresciano sono stipate quaranta bombe atomiche, altre cinquanta ad Aviano: secondo un rapporto del Dipartimento della Difesa Usa, nelle basi “italiane” ci sono «problemi di edifci di supporto, alle recinzioni dei depositi, all’illuminazione e ai sistemi di sicurezza», mentre «a guardia delle basi vi sono soldati di leva con pochi mesi di addestramento». Anche questo, di certo, sette italiani su dieci lo ignorano. In Italia due referendum hanno detto no all’atomo. Ma il nucleare è qui, sotto i nostri piedi. E nessuno vuole farcelo sapere.
Se ne parla anche qui, sul sito del Fatto Quotidiano.
“Crack the Cia”: da Guerrilla News Network un microdocumentario sugli affari Usa in America Latina
StandardUn video di Guerrilla News Network (qui, su Wikipedia, la relativa scheda) per un breve documentario su Cia, Iran Contras e affari statunitensi in America Latina. Si intitola “Crack the Cia”.
Ows: il 12 dicembre, dall’altra parte dell’oceano (quasi due), si occupano i porti del Pacifico
StandardIn un giorno non qualunque per la storia italiana, Occupy Wall Street reagisce agli sgomberi: il 12 dicembre occuperanno e bloccheranno tutti i porti commerciali della costa pacifica Usa. Il video è pubblicato nella relativa sezione su Peacereporter.
Documerica: i tempi della crisi degli anni Settanta negli Stati Uniti raccontati in 46 fotografie
Standard“A Darkness Visible: Afghanistan”: un’opera multimediale per raccontare storie oltre la guerra
StandardA Darkness Visible: Afghanistan è un’opera multimediale curata da Seamus Murphy, autore delle fotografie e dei video. Ecco in che termini si presenta:
I non addetti ai lavori vedono l’Afghanistan come un problema che ha bisogno di una soluzione: una regione in guerra che richiede altre truppe o altre elezioni. Ma osservando quel Paese da quest’unica visuale si perdono di vista le persone che lì vivono e il loro desiderio di autodeterminazione. Dall’invasione sovietica alla resistenza dei mujaheddin fino ai talebani e all’occupazione americana, in “A Darkness Visible” vengono esaminati trent’anni di storia afghana. È il vissuto di cittadini le cui vite vengono giocate all’ombra delle grandi superpotenze. Sono vicende di violenza, ma anche d’amore e d’avventura [raccolte in] 14 viaggi in Afghanistan fra il 1994 e il 2010.
(Via Verve Photo – The new breed of documentary photographers)
Il Fatto Quotidiano: intervista a Valerio Evangelisti. “L’ultraliberista Monti? Non cambierà nulla”
StandardIn tempi di nuovi emarginati, indignati e flash mob sotto il segno della “v” di vendetta, quella che fa Valerio Evangelisti nel romanzo appena uscito One big union è la rievocazione di un’utopia. E per parlarne parte con una richiesta: “Non chiedetemi di Eymerich, è morto”. L’inquisitore protagonista di molti suoi libri precedenti sarà anche passato a miglior vita, ma il suo creatore per adesso non sembra sentirne troppo la mancanza perché è la volta di raccontare del sindacalismo rivoluzionario statunitense arrivato a fine corsa degli anni Venti del secolo scorso. Ma che ha lasciato il segno, distinguendosi da un sindacalismo socialista o anarchico soprattutto per la valenza visionaria: arrivare a un’organizzazione che rappresentasse anche i non rappresentati e che di qui modificasse l’assetto sociale, oltre che lavorativo.
I sindacalisti rivoluzionari si muovevano tra boscaioli mutilati, ferrovieri costretti a calarsi sulle rotaie per azionare gli scambi o proletari di campagna. Gente senza importanza nel sistema economico americano di allora perché senza specializzazione. Si infilavano tra cinesi, russi, italiani (definiti i crumiri per eccellenza) e non erano pacifisti. “In realtà subirono la violenza più che praticarla”, dice Evangelisti, “si pensi per esempi a quando erano vittime di tiratori scelti nelle zone minerarie. Ma ci provarono a cambiare”. E ci provarono con strumenti diversi: il fumetto come medium per veicolare contenuti sindacali in mezzo all’analfabetismo e la musica, riscrivendo i testi di canzoni allora in voga come accaduto con l’inno dell’esercito della salvezza, l’unico autorizzato a sfilare pubblicamente.
One big union sembra quasi una voce dal passato per parlare oggi di disoccupazione, flussi migratori, povertà in aumento. “Quella del sindacalismo rivoluzionario”, spiega ancora l’autore, “è stata una voce fuori dalle ideologie preponderanti del tempo, il marxismo dogmatico e l’anarchismo puro. È una storia, la storia che volevo scrivere”.
Continua sul Fatto Quotidiano Emilia Romagna
Giornalisti e Internet: come viene usato negli Stati Uniti da chi produce informazioni
StandardPiù di 3 ore al giorno su internet per la gran maggioranza dei giornalisti Usa tra lettura di notizie (98%), ricerche (91%), reti sociali (69%), blogging (53%) e webcast (48%). Ma non solo. Se ne parla su Lsdi.
WikiLeaks: Nutrimenti pubblica il libro su Assange e contro il segreto di Stato che ha ispirato il film di Spielberg
StandardNon avevo pensato di scrivere questo post sulla scia di una notizia rimbalzata oggi per i vari media nazionali. Ma per una coincidenza segnalo questo libro uscito per i tipi di Nutrimenti. Si tratta di WikiLeaks – La battaglia di Julian Assange contro il segreto di Stato, firmato da David Leigh e Luke Harding e in uscita in questi giorni per la collana:
Scritto dagli stessi giornalisti che hanno stretto un accordo senza precedenti tra un hacker particolarmente dotato e tre dei più importanti quotidiani di tutto il mondo, questo libro racconta la storia di WikiLeaks vista dall’interno. E si legge come un thriller.
Nel libro i giornalisti del Guardian David Leigh e Luke Harding, più volte premiati, rivelano per la prima volta molti particolari inediti, a cominciare da come sia stato raggiunto l’accordo segreto, in un albergo belga, per sfidare la più grande superpotenza mondiale e diffondere un inarrestabile flusso di documenti militari e diplomatici attraverso le pagine del Guardian, del New York Times e dello Spiegel. Ma anche dettagli sconosciuti della vicenda, come quando Assange si travestì da anziana signora con una parrucca per arrivare a Ellingham Hall, la villa monumentale di Norfolk da cui ha inviato i dispacci del Dipartimento di Stato statunitense al mondo intero, e i particolari della rocambolesca vita dello stesso Assange.
Si tratta del libro a cui si è ispirato Steven Spielberg per questo film.
Rotte sottomarine per il narcotraffico tra Colombia e Stati Uniti
StandardC’è chi usa i terroristi baschi per recuperare i crediti non saldati del traffico di droga. E chi invece trasporta cocaina passando sotto la superficie dei mari. Come accaduto con la scoperta in Honduras: oltre 2 tonnellate e mezzo sequestrate due settimane fa circa mentre viaggiavano sotto il pelo dell’acqua dalla Colombia agli Stati Uniti.
(Via BoingBoing)