Grands-Reporters.com: in un sito francese il racconto del mondo attraverso le voci di una cinquantina di giornalisti

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GrandsReporters.com

GrandsReporters.com, presentandosi, esordisce con un’esortazione: “Cliccate sul mondo”. Ed ecco che la rivista online in lingua francese prosegue dicendo di sé:

Grands-Reporters.com è un sito creato da giornalisti ed è a disposizione di chiunque voglia scoprire un continente, un paese una regione o saperne di più sulla storia più recente. Articoli, foto, immagini, video, libri… È un bacino di informazioni aperto e alimentato dagli autori [elencati qui].

Una cinquantina i cronisti radunati intorno al progetto che dal settembre 2007 ha anche un blog, Bloc-Notes, per rispondere direttamente alle domande dei lettori. Gli articoli più datati, inoltre, risalgono al 1983 recuperando reportage pubblicati con mezzi molto più analogici ma di particolare spessore (Africa: l’impero della fame, Viaggio alla fine del triangolo d’oro e Sale la febbre dell’oro a Itaituba) per arrivare a oggi, per esempio con la guerra in Mali e i suoi non detti.

(Via @annecha)

Mali: l’immagine del soldato francese, il volto della morte del videogioco “Call of Duty” e un precedente episodio

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Soldato francese in Mali

Su Libération viene pubblicato un articolo di Quentin Girard in cui si formulano alcune considerazioni sul soldato francese che in Mali si fa fotografare con la maschera della morte tratta dal videogioco Call of Duty (l’immagine è del fotoreporter Issouf Sanogo, Afp. Su Le Parisien ce n’è un’altra versione). Lo scatto, che è rimbalzato sulle reti sociali (si veda su Twitter), ha portato lo Stato maggiore dell’esercito d’Oltralpe a condannare il comportamento del militare, che “non rappresenta l’azione condotta dalla Francia in Mali”. Ma qualcosa del genere era già accaduto.

“A.L.F.”: a novembre il film francese in omaggio alle azioni del movimento Animal Front Liberation

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A.L.F. – BANDE ANNONCE

Uscirà in Francia il prossimo 7 novembre 2012. È A.L.F. – Animal Front Liberation, il film diretto da Jérôme Lescure sul movimento che ha fatto molto parlare di sé. Qui viene presentata la storia raccontata nel lungometraggio e sul sito Alf – Le Film molto altro materiale.

(Via GreenMe.it)

Il Fatto Quotidiano: Ustica 32 anni dopo, le verità mancanti della strage

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UsticaIl delitto è stato ricostruito, ma manca il colpevole. Se fosse un giallo, l’accertamento delle verità sulla strage di Ustica si potrebbe riassumere così: si sa infatti che il 27 giugno 1980 il Dc9 dell’Itavia inciampò in un’azione di guerra calda avendo la peggio e si sa che in volo c’erano altri 18 aerei. Ma a tutt’oggi non c’è una conferma ufficiale sulla nazionalità di quei mezzi e dunque manca uno Stato – per cui uno o più piloti – a cui imputare la colpa di aver ucciso 32 anni fa 81 cittadini italiani, tutti civili.

Le rogatorie: gli Stati non rispondono agli inquirenti italiani
. È lo schema, ormai via via sempre più classico, tale per cui alla verità storico-politica si riesce ad arrivare quasi completamente. Ma a quella giudiziaria – necessaria per colmare determinati vuoti, sanzionare condotte personali che hanno dato vita a un reato e garantire ai familiari le dovute tutele – manca spesso un pezzo. E nel caso di Ustica quel pezzo passa per le responsabilità degli Stati, Francia, Gran Bretagna, Germania e Belgio in primis.

A oggi tutte le nazioni interpellate per rogatoria non hanno risposto. Anzi, quasi tutte, dato che alla procura di Roma è giunto dal Belgio un segnale, ma negativo. Per il Paese che ospita a Mons il quartier generale delle potenze alleate in Europa, fornire informazioni alla magistratura italiana – o anche solo confermare quelle già in possesso – è fuor di discussione perché sono di “natura tale da pregiudicare gli interessi militari”.

Continua sul Fatto Quotidiano. Si veda anche il post Ustica, la verità cercatela a Roma di Toni De Marchi.

“Scorie radioattive”: in un libro la ricostruzione dei viaggi in Francia e dei depositi in Italia. La Difesa Usa: “Problemi di sicurezza”

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Scorie radioattiveOgni tanto, dell’argomento, se n’è sentito parlare e poi s’è di nuovo inabissato. Da qualche settimana è diventato un libro di un giornalista, Andrea Bertaglio, e di un esperto di risparmio energetico Maurizio Pallante, presidente anche del Movimento per la decrescita felice. Si intitola Scorie radioattive. Chi sa trema, ma in silenzio (Aliberti) e di questo si occupa:

Di tanto in tanto, in date sconosciute, ci sono treni che fanno la spola tra l’Italia e la Francia attraversando paesi e città. Trasportano scorie nucleari, solo che nessuno lo sa. Sulle rive della Dora Baltea, esattamente a Saluggia, è stipato l’85 per cento dei rifuti radioattivi italiani, in gran parte in forma liquida. Dovevano essere solidifcati trent’anni fa, e invece sono ancora lì. Insieme a cinque chili di plutonio, una quantità suffciente a uccidere cinquanta milioni di persone: un decimo di milligrammo, se inspirato, costituisce uffcialmente una dose mortale. Millecinquecento metri più a valle c’è il più grande acquedotto del Piemonte, e quando il fume è in piena, chi sa trema. Ma in silenzio.

Ci sono depositi di rifuti radioattivi un po’ ovunque nel Paese. Gli scarichi di routine dei centri nucleari fniscono nei fumi e nei laghi, ma nessuno sembra notarlo. Sotto il terreno bresciano sono stipate quaranta bombe atomiche, altre cinquanta ad Aviano: secondo un rapporto del Dipartimento della Difesa Usa, nelle basi “italiane” ci sono «problemi di edifci di supporto, alle recinzioni dei depositi, all’illuminazione e ai sistemi di sicurezza», mentre «a guardia delle basi vi sono soldati di leva con pochi mesi di addestramento». Anche questo, di certo, sette italiani su dieci lo ignorano. In Italia due referendum hanno detto no all’atomo. Ma il nucleare è qui, sotto i nostri piedi. E nessuno vuole farcelo sapere.

Se ne parla anche qui, sul sito del Fatto Quotidiano.

Stéphane Hessel: “Indignatevi!”. Un breve libro per dare vita a un'”insurrezione pacifica” che faccia rete

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Indignez-vous di Stéphane HesselPer sapere chi sia Stéphan Hessel si dia un’occhiata alla voce che parla di lui su Wikipedia.fr. Lo scorso ottobre è uscito il suo libro Indignez vous! (pubblicato dalle Indigène Editions di Montpellier) che così si presenta:

«Novantatré anni. La fine non è lontana. Che fortuna poter approfittarne per ricordare ciò che innescò il mio impegno politico: il programma elaborato settant’anni fa dal Consiglio Nazionale della Resistenza». Che fortuna potervi nutrire dell’esperienza di questo grande resistente, consolidatosi dopo le esperienze nei campi di Buchenwald e di Dora, co-redattore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1948, diventato ambasciatore di Francia e della medaglia della Legion d’onore. Per Stéphan Hessel, il «motivo di base della Resistenza era l’indignazione». Certo, le ragioni di indignarsi nel mondo complesso di oggi possono sembrare meno nette rispetto a quelle dei tempi del nazismo. Ma «cercare e troverete»: la disuguaglianza crescente tra ricchissimi e poverissimi, lo stato del pianeta, il trattamento riservato agli irregolari, agli immigrati, ai rom, la corsa per avere sempre di più, alla competizione, la dittatura dei mercati finanziari fino alla svendita delle conquiste della Resistenza, le pensioni, la sicurezza sociale… Per essere efficace occorre, oggi come ieri, agire mettendosi in rete: Attac, Amnesty, la Federazione internazionale dei diritti dell’uomo… ne sono la dimostrazione. Dunque si può credere a Stéphan Hessel e incrociare il suo cammino quando chiama a una «insurrezione pacifica» (Sylvie Crossman).

E di come questo breve libro (trentadue le pagine) si sia trasformato in un fenomeno (650 mila le copie vendute) lo si può leggere sul Fatto Quotidiano nell’articolo da Parigi di Alessandro Verani intitolato Indignatevi! E il libretto di un 93enne partigiano francese diventa un caso editoriale:

Hessel un rivoluzionario? Non proprio. E non lo è mai stato. Oggi vicino a Martine Aubry, segretario generale del Partito socialista, Hessel, un anziano monsieur pacato e sorridente, è sempre stato un intellettuale dall’animo libero, di sinistra certo, ma senza «eccessi» […]. Sì, è diventato l’idolo di tanti giovani. E si prende una sorta di rivincita personale. «Ha provocato il risveglio di un popolo, finora molto passivo», ha sottolineato il filosofo Edgar Morin, suo amico. «Ha ricordato alla sinistra che deve essere ribelle, umana e ottimista», ha sottolineato Harlem Désir, numero due del Partito socialista. Che, nel frattempo, si sta dividendo sulla candidatura delle prossime presidenziali, previste nel 2012. E appare così terribilmente lontano dalla sua base. La sinistra francese sarà capace di sfruttare l’effetto Hessel?

Prison Valley: documentario per il web su Cañon City e l’industria carceraria

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Prison Valley

Prison Valley è un web documentario (inteso come documentario realizzato proprio per la fruizione multimediale e in rete, e non come corollario a un’edizione televisiva o cinematografica). Prodotto da Arte France, racconta la dimensione di Cañon City, Colorado, dove un carcere si è insediato costruendo attorno a sé un indotto economico a prova di crisi (anzi, dalla crisi foraggiato, in un luogo in cui il 16 per cento della popolazione vive l’esperienza della detenzione). Per realizzare il documentario, suddiviso in undici video consecutivi, due ex giornalisti di Libération – David Dufresne (reporter) e Philippe Brault (fotografo) – hanno lavorato per oltre un anno utilizzando, per documentare la realtà di cui si occupavano, una Canon EOS 5D e una camera leggera Panasonic. Un blog e una serie di strumenti social (con Facebook e Twitter a costituire solo un paio di tutti gli mezzi a disposizione) consentiranno di continuare a dialogare con gli autori.

(Via Lsdi)