Dal divorzio all’acqua pubblica, 62 referendum abrogativi dal ’74 a oggi

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Referendum 2011Sul sito del Fatto Quotidiano si racconta che ci sono stati dal divorzio all’acqua pubblica, 62 referendum abrogativi dal ’74 ad oggi. Ecco di seguito nel pezzo integrale quali sono. Utile promemoria in vista del 12 e 13 giugno.

Dal divorzio alla modifica della parte II della Costituzione. Dal 12 maggio del 1974 al 25 giugno 2006. In mezzo, 62 referendum abrogativi sui quali gli italiani sono stati chiamati a esprimere un parere. Al centro le grandi battaglie sui diritti civili come la legalizzazione di divorzio e aborto, l’obiezione di coscienza, il voto ai diciottenni, lo stop alle centrali nucleari, la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario, la depenalizzazione dell’uso personale di droghe leggere, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la chiusura dei manicomi e l’affermazione dei diritti dei transessuali. Il quorum viene raggiunto 35 volte, il “no” vince 16 volte, il “sì” 19.

Il divorzio. Previsto dall’articolo 75 della Costituzione con soli tre casi di inammissibilità, l’istituto referendario è stato introdotto in Italia solo nel 1970 su richiesta del Vaticano che spingeva per abolire la legge sul divorzio (la Fortuna-Baslini) approvata grazie alla campagna dei radicali. Il 12 e 13 maggio 1974 quasi 38 milioni di italiani sono chiamati a votare. Votano “no” il 59,1 per cento degli italiani. Il risultato è dirompente. L’Unità titola: “Grande vittoria della libertà: il popolo italiano fa prevalere la ragione, il diritto, la civiltà”. L’editoriale affidato al segretario del Pci Enrico Berlinguer saluta “un’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”. Non la vittoria di un singolo partito, ma il contributo di “un larghissimo schieramento di forze politiche, sociali, culturali diverse” hanno portato il no alla vittoria.

La ragione del successo sta nel rifiuto di gran parte dell’elettorato Dc di seguire l’indicazione di voto e la linea politica della segreteria dello Scudo crociato. Insomma, milioni di elettori cattolici avevano voltato le spalle ai Gabrio Lombardi e ai Fanfani schierandosi per il “no”.
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Via dei Georgofili diciotto anni dopo: “Altri fattivamente hanno partecipato alla stagione delle stragi”

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Se lo Stato tratta con la mafiaDella strage dei Georgofili, avvenuta a Firenze tra il 26 e il 27 maggio 1993, ne parla il giornalista Luigi Grimaldi su CadoInPiedi.it:

Quanto Spatuzza vuole “prudentemente” significare a proposito delle stragi messe in atto al di fuori della Sicilia è «che sul piano operativo r». Non si tratta solo di mandanti “a volto coperto”, ma di “altri”, esterni a cosa nostra, coinvolti «pratica attuazione delle stragi». Il che può significare diverse cose. Ad esempio, escludendo quelle già ampiamente dimostrate nelle sentenze, rimane tuttora aperto il capitolo sulla fornitura agli artificieri di cosa nostra, dell’esplosivo militare utilizzato in tutte le stragi del ’93 e di cui pentiti e collaboratori sembrano non sapere assolutamente nulla: quasi certamente non il Semtex H, dagli anni ’80 in possesso di cosa nostra, o il “Torpex” recuperato da ordigni residuati bellici, ma il T4, abbinato a miccia detonante alla pentrite. Una strada che, se perseguita con determinazione, potrebbe portare vicino a verità davvero inconfessabili. Non c’è giustizia senza verità.

L’articolo continua qui. E a proposito del Semtex H, se ne parlava diffusamente nell’ordinanza di custodia cautelare notificata il 27 aprile scorso al boss dei corleonesi Totò Riina, accusato di essere il mandante della strage del Rapido 904 del 23 dicembre 1984.

“Le radici della ‘ndrangheta”: in un libro spiegati i codici, i riti e i simboli dell’organizzazione criminale

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Le radici della 'ndranghetaCon la prefazione di Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Reggio Calabria, esce a giorni per i tipi di Nutrimenti il libro Le radici della ‘ndrangheta, frutto di un lavoro a quattro mani tra il pubblico ministero Mario Andrigo (tra le indagini che ha seguito c’è quella sul delitto Fortugno) e Lele Rozza, che invece si occupa di comunicazione (oltre che essere un amico). Più nel dettaglio, ecco come viene presentato il volume:

Oggi non è la potenza militare della ‘ndrangheta che preoccupa di più, né la capacità – immutata rispetto al passato – di manifestarsi in comportamenti spietati. Preoccupa – deve preoccupare chi si ripromette di battere davvero questa associazione mafiosa – l’assuefazione che rischia di prevalere nella parte sana della società. Deve preoccupare il rischio che si finisca per perdere la consapevolezza di essere la maggioranza e di avere in sé gli strumenti per combattere quel tipo di cultura. Ecco perché diventa indispensabile conoscerla quella cultura. Conoscere la ‘ndrangheta per saperla riconoscere. Perché da solo l’apparato repressivo non è sufficiente.

In questo libro vengono descritte le parole, le regole, i riti, le storie di ‘ndrangheta. Un manuale che vuole essere uno strumento e un contributo per contrastare un fenomeno in grande crescita, che minaccia tutti.

L’Europa delle destre: Peacereporter pubblica un dossier su populisti, conservatori e nazionalisti nel Vecchio Continente

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L'Europa delle destre

Peacereporter pubblica un dossier sull’Europa delle destre (qui la gif con l’ingrandimento della mappa). Curato da Luca Galassi, ecco su alcuni dei temi su cui si concentra:

Sono solo due (riferito a Finlandia e Danimarca, ndb) delle spie, accese in tutta Europa, che segnalano l’aumento del consenso per i partiti populisti, conservatori e nazionalisti. I meccanismi ricalcano ormai modelli noti. Se il voto alle destre riflette condizioni diverse da Paese a Paese, ad accomunare tutti è l’identificazione dello stesso nemico, individuato nell’altro, nel diverso, nello straniero. Contro di esso, l’elettorato si chiude, rilanciando nazionalismo e protezionismo. Questo prende forme spesso xenofobe, e influenza l’azione di governo nell’elaborazione di misure anti-immigrati: dalla sospensione di Schengen al divieto di indossare il velo, al bando sulla costruzione di moschee e via dicendo. Dal 2009, anno delle europee, e in quasi tutte le consultazioni successive, le formazioni della destra populista hanno raggiunto e superato il dieci percento in undici Stati: Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Francia, Italia, Lituania, Norvegia, Olanda, Ungheria, Svizzera.

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“Due volte nell’ombra”: il romanzo di Nicola Viceconte sui neonati argentini “rubati” dal regime

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Due volte nell'ombra di Nicola VicecontiDue volte nell’ombra è un romanzo scritto da Nicola Viceconti e pubblicato da Gingko Edizioni con alcuni patrocini. Tra questi, quello delle associazioni 24marzo.it (notizie e riflessioni sui diritti umani, la cooperazione e la solidarietà internazionale) e Rete per l’Identità-Italia (ricerca dei giovani desaparecidos che vivono oggi, forse anche in Italia, con una falsa identità). Il motivo sta nella presentazione del libro:

“Desaparecidos” in spagnolo significa “scomparsi” e si riferisce a tutti coloro che, uomini e donne, anziani e bambini, in diversi paesi dell’America Latina, non solo in Argentina, furono sequestrati dai regimi militari, torturati, mutilati, uccisi e infine gettati nel nulla. Il 24 marzo 1976 le forze armate argentine rovesciarono il governo costituzionale. Impiantarono fino al 1983 un regime di terrore organizzato che fece sparire almeno 30 mila persone, di ogni età e di ogni condizione sociale. Le vittime venivano rinchiuse in luoghi segreti, in prigioni e campi di concentramento, seviziate anche per mesi, spesso drogate e gettate ad affogare nel Rio de la Plata, o caricate su aerei militari per essere scaraventate nell’oceano con il ventre squarciato, per evitare che i corpi tornassero a galla. Centinaia di bambini, assieme ai loro genitori, vennero rapiti, oppure furono fatti nascere nei centri di detenzione dove venivano condotte appositamente le ragazze incinte. Molti furono adottati dai membri delle forze militari, altri abbandonati in istituti o uccisi. Tanti, venduti a coppie sterili vicine al regime. Esistevano delle vere e proprie liste di bambini “rubati”. Venivano registrati come figli legittimi dagli stessi membri delle forze repressive e privati in questo modo della loro vera identità. Ancora oggi, domande come “Sarò figlio di coloro che dicono di essere i miei genitori?”, “Se non sono figlio loro, di chi sono figlio?”, “c’è qualcuno che mi sta cercando?” rappresentano in Argentina un richiamo alla riflessione sociale e individuale. Un’intera generazione espone dubbi sulla propria identità. Il recupero di questa incarna anche la volontà di riappropriazione dell’identità di un intero popolo. “Due vote ombra” racconta di queste adozioni illegali, segue una neonata trafugata dalla dittatura che, da adolescente, si ricongiunge alla sua vera famiglia ed è costretta a mettere in discussione l’intera esistenza.

Il volume contiene una nota di Estela Carlotto, presidentessa dell’associazione “Nonne di Plaza de Mayo”, mentre la prefazione è stata scritta da Manuel Gonçalves Granada, uno dei bambini ritrovato dopo essere stato sottratto dai gerarchi del regime ai genitori desaparecidos.

Caduti sul lavoro: un sito e un account twitter per raccontare il fenomeno delle “morti bianche”

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Caduti sul lavoro

Le morti bianche diventano un sacrario su web con il sito Caduti sul lavoro, dove sono pubblicati una lista delle vittime, una rassegna stampa e documenti in materia. Ma sono anche un account Twitter e una mailing list per continuare a raccontare una storia collettiva:

1328: milletrecentovenotto morti ogni anno. è la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005: poco meno di 4,5 morti al giorno. Nel 2006, 1280 “morti bianche”. per il 2007 il contatore, che riprendiamo dal sito di Articolo21.org, si è fermato ben oltre i mille morti. Il dato finale, che avremo fra qualche mese, non sarà diverso dagli anni precedenti. Questo succede in italia, uno dei Paesi più ricchi al mondo. A considerare solo la faccia emersa della tragedia, i dati ufficiali.

Per maggiori informazioni si può chiedere qui.

Lsdi incontra Vera Politkovskaja: in Russia sempre peggio per la libertà di stampa

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Vera Politkovskaja - Foto di Paolo BarbuioLsdi pubblica un’intervista realizzata da Valentina Barbieri (foto di Paolo Barbuio) a Vera Politkovskaja, figlia di Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa il 7 ottobre del 2006 a Mosca. La giovane russa, che fa lo stesso mestiere della madre, ha partecipato lo scorso 14 maggio a un incontro che si è tenuto a Vittorio Veneto (Treviso) e intitolato Libera stampa!, organizzato dall’associazione Mondo in Cammino e patrocinato dalla stessa Lsdi. Di seguito il testo completo dell’intervista.

Pensa che il giornalismo russo sia cambiato dopo la morte di Sua madre? Se sì, in che modo?

Sì, è cambiato e non certo in positivo. Già prima della morte di mia madre si notava una tendenza generale al peggioramento, anche in seguito è proseguito nella stessa direzione. Nel nostro paese la libertà di stampa è un problema grave. Ogni giornalista si trova di fronte ad un bivio: può scegliere la carriera e scrivere quello che gli dicono oppure può fare una scelta diversa, scrivere quello che trova giusto e occuparsi di quello che gli interessa. Le conseguenze sono diverse: nel primo caso guadagnerà un posto di prestigio (ovvero statale), nel secondo caso potrebbe finire male.

L’ultima antologia di Anna Politkovskaja è intitolata “Vale la pena morire per il giornalismo in Russia?” Se oggi dovesse dare una risposta a questa domanda, quale sarebbe?

Non posso rispondere di sì, che ne vale la pena, perché lo vivo come una figlia a cui è mancata la madre. Per quanto riguarda il mio vissuto di giornalista, cerco di evitare qualsiasi confronto tra l’esperienza di mia mamma e la mia. Non ho la sua ricchezza professionale, trent’anni di attività, la sua grande esperienza. Lei lavorava a modo suo, in una maniera personale, io lavoro in un altro modo, il mio.
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Dossier P2: la scoperta della loggia che prospera nell’Italia degli anni Duemila

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Domani di Maurizio ChiericiDi P2, sulle pagine elettroniche di Domani, ne abbiamo parlato spesso. Ancora a inizio della settimana scorsa, avevamo segnalato un convegno che c’è stato giovedì 12 maggio a Parma. Si intitolava P2, 30 anni dopo. E le interviste pubblicate sotto, realizzate da Raffaella Ilari e dallo staff video di Arcoris TV, sono il primo frutto filmato di quel lavoro.

Due gli argomenti che si affrontano: la scoperta degli elenchi nel marzo 1981 (elenchi resi pubblici solo il 20 maggio 1981 dopo gli imbarazzi di un titubante Arnaldo Forlani, allora presidente del consiglio del ministri) e la “sopravvivenza” di un sistema (incentrato su persone, ma soprattutto su pratiche della gestione della cosa pubblica e privata) giunto fino ai giorni nostri, con l’esperienza della P3 e le relative indagini giudiziarie.

Si tratta dei primi due di altri interventi in corso di preparazione da parte del team di Arcoris che si occupa dei video. E via via che saranno pronti, torneremo ad affrontare l’argomento e a pubblicarle le interviste. Per il momento, buona (e consapevole) visione con questi due filmati:

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