Da Radio Free Europe vecchie fotografie della Rivoluzione Russa appartenute a un pastore americano

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Sono state ritrovte nel 2005 nel nord della California. Sono immagini che risalgono alla Rivoluzione Russa e che appartenevano a John Wells Rahill, un pastore americano, il quale le conservò insieme ad altre provenienti dalla Cina e dal Giappone e risalenti allo stesso periodo. Qui se ne racconta la storia, su Radio Free Europe, e chissà se questo ritrovamento rientra in vecchie politiche di sostentamento editoriale che partivano dal Congresso degli Stati Uniti e arrivavano per il tramite della Cia.

(Via Neatorama)

Lsdi incontra Vera Politkovskaja: in Russia sempre peggio per la libertà di stampa

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Vera Politkovskaja - Foto di Paolo BarbuioLsdi pubblica un’intervista realizzata da Valentina Barbieri (foto di Paolo Barbuio) a Vera Politkovskaja, figlia di Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa il 7 ottobre del 2006 a Mosca. La giovane russa, che fa lo stesso mestiere della madre, ha partecipato lo scorso 14 maggio a un incontro che si è tenuto a Vittorio Veneto (Treviso) e intitolato Libera stampa!, organizzato dall’associazione Mondo in Cammino e patrocinato dalla stessa Lsdi. Di seguito il testo completo dell’intervista.

Pensa che il giornalismo russo sia cambiato dopo la morte di Sua madre? Se sì, in che modo?

Sì, è cambiato e non certo in positivo. Già prima della morte di mia madre si notava una tendenza generale al peggioramento, anche in seguito è proseguito nella stessa direzione. Nel nostro paese la libertà di stampa è un problema grave. Ogni giornalista si trova di fronte ad un bivio: può scegliere la carriera e scrivere quello che gli dicono oppure può fare una scelta diversa, scrivere quello che trova giusto e occuparsi di quello che gli interessa. Le conseguenze sono diverse: nel primo caso guadagnerà un posto di prestigio (ovvero statale), nel secondo caso potrebbe finire male.

L’ultima antologia di Anna Politkovskaja è intitolata “Vale la pena morire per il giornalismo in Russia?” Se oggi dovesse dare una risposta a questa domanda, quale sarebbe?

Non posso rispondere di sì, che ne vale la pena, perché lo vivo come una figlia a cui è mancata la madre. Per quanto riguarda il mio vissuto di giornalista, cerco di evitare qualsiasi confronto tra l’esperienza di mia mamma e la mia. Non ho la sua ricchezza professionale, trent’anni di attività, la sua grande esperienza. Lei lavorava a modo suo, in una maniera personale, io lavoro in un altro modo, il mio.
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“Antonio Russo: inchiesta aperta”, reportage di Radio Radicale a dieci anni dal delitto

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Abbiamo notizie che già qualcuno ha deciso di punirla, fermarla, di metterla a tacere una volta per tutte.

Queste parole vennero pronunciate nel corso di un convegno di ambientalisti, nei giorni in cui il governo russo si stava dando da fare per far espellere il Partito radicale transazionale dall’Onu e dalla sezione per i diritti umani. Tra le accuse, dice Massimo Bordin, il sostegno ai ribelli ceceni. E il 16 ottobre 2000, qualche giorno dopo queste parole, indirizzate contro il giornalista Antonio Russo, l’omicidio. In quel periodo, l’inviato si stava occupando di Cecenia, di “eco-genocidio” e degli ospedali di Grozny. Il reportage realizzato da Radio Radicale si intitola Antonio Russo: inchiesta aperta.

Anatomia di un’ingiustizia: la storia irrisolta di 17 giornalisti russi eliminati

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Anatomy of Injustice: The Unsolved Killings of Journalists in Russia è un dossier pubblicato dal Committee to Protect Journalists, organizzazione non-profit fondata nel 1981 che opera a livello internazionale per la difesa della libertà di stampa. Con prefazione di Kati Marton, lo studio affronta molteplici aspetti: per esempio il sistema di impunità capillare nell’ex Unione Sovietica quando si tratta di indagare sull’omicidio di un giornalista, i rischi che corre la stampa locale (con particolare riferimento al caso Caucaso e agli assassinii avvenuti a Togliattigrad) o le investigazioni sugli investigatori nei casi in cui sono coinvolte le forze di polizia russe.

Il dossier, scaricabile dalla rete in versione integrale (formato pdf, 72 pagine, 9MB), tratta i casi di Yuri Shchekochikhin (53 anni, ucciso a Mosca il 3 luglio 2003), Vagif Kochetkov (31 anni, Tula, 8 gennaio 2006), Eduard Markevich (29 anni, Reftinskiy, 18 settembre 2001), Anna Politkovskaya (48 anni, Mosca, 7 ottobre 2006), Maksim Maksimov (41 anni, San Pietroburgo, 30 novembre 2006), Ivan Safronov (51 anni, Mosca, 2 marzo 2007), Igor Domnikov (Mosca, 42 anni, 16 luglio 2000), Abdulla Telman Alishayev (39 anni, Makhachkala, 3 settembre 2008), Paul Klebnikov (41 anni, Mosca, 9 luglio 2004), Natalya Skryl (29 anni, Taganrog, 9 marzo 2002), Magomed Yevloyev (37 anni, Ingushetia, 31 agosto 2008), Pavel Makeev (21 anni, Azov, 20 maggio 2005), Magomed-Zagid Varisov (54 anni, Makhachkala, 28 giugno 2005), Anastasiya Baburova (25 anni, Sevastopol, 19 gennaio 2009), Aleksei Sidorov (20 anni, Togliattigrad, 9 ottobre 2003) e Valery Ivanov (21 anni, Togliattigrad, 29 aprile 2002).

Ucraina: viaggio tra gli effetti della crisi e le conseguenze di Chernobyl

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On the ukraine roadLa crisi economica ha picchiato duro in Ucraina, tanto che se lo scorso autunno il Fondo monetario internazionale non avesse messo a disposizione 14 miliardi di dollari sotto forma di prestito straordinario, Kiev e la sua nazione sarebbero scivolate verso la bancarotta. E poi c’è sempre la spada di Damocle del gas. Un braccio di ferro con Mosca che si trascina tra debiti restituiti fortunosamente, accordi presto rotti e squadre dei servizi segreti ucraini che sequestrano i contratti stipulati con la Russia.

Benvenuti in una nazione dalle sperequazioni sociali esasperate. Una nazione in cui negli ultimi anni – dal 1999, per precisione, con un incremento medio del prodotto interno lordo di 7,4 punti ogni dodici mesi, fino al 2007 – la classe media è stata spazzata via e, a fronte di una percentuale minima della popolazione dalle ricchezze inimmaginabili, la maggior parte della gente vive di briciole. Quando ci sono. Negli anni appena trascorsi, infatti, i segni di ripresa in Ucraina erano affidati a una piccola imprenditoria che aveva saputo dare prova di qualità professionale e abilità commerciale nell’acquisire commesse dall’Europa occidentale, soprattutto dalla Germania. Così aveva avuto modo di emergere un tessuto manifatturiero e un terziario attivo soprattutto nel settore informatico che lasciava ben sperare per il futuro. Avrebbe potuto venire da qui la risposta all’emigrazione forzata dalla mancanza di prospettive occupazionali e da stipendi che a fatica garantivano la sussistenza. Ma poi sono arrivati la crisi dei mercati valutari, gli investimenti bancari (anche italiani) rivelatisi del tutto fittizi e i fallimenti collegati che hanno messo in ginocchio l’intera nazionale.

Rural mechanical engineeringIl viaggio in Ucraina inizia alla frontiera con l’Ungheria, dopo controlli lenti e la compilazione di moduli in cui si dichiara di chi si è ospite nel Paese. «Così, se accade qualcosa mentre voi siete all’interno del nazione e riuscite ad andarvene, verranno a chiederne conto alla mia famiglia», ci dice Natalija, una badante ucraina che torna a casa per un periodo di vacanza e che accetta di farci da guida nel paese.

Ad attenderla, appena oltre il confine, Volodimir, un amico che è venuto a prenderla e che sarà l’altra metà del viaggio nell’ex repubblica sovietica.

Questa è la seconda volta che Natalija torna a casa dal 2000. Per anni ha vissuto come clandestina e oggi mostra con orgoglio alla polizia di frontiera il suo permesso di soggiorno in area Schengen, oltre al passaporto. Era partita, Natalija, contraendo un debito di duemila e 700 euro per farsi un viaggio di quasi duemila chilometri nascosta nel contro soffitto di un tir insieme ad altre tredici persone. Sdraiata e zitta fino a Napoli passando per frontiere dove ogni volta c’era il rischio che lei e i suoi compagni di viaggio venissero scoperti. Italiana era l’organizzazione che gestiva i trasporti e per i suoi referenti Natalija ha dovuto darsi da fare, senza conoscere una parola della lingua e senza avere il tempo per impararla, fino a estinguere il debito che l’aveva portata in Italia.
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Dossier di Osservatorio Balcani a un anno dal conflitto Georgia-Russia

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Un anno fa il conflitto tra Georgia e Russia. Osservatorio Balcani ripropone in un unico dossier servizi e reportage realizzati in quei giorni:

Il Caucaso dopo il 7 agosto: la crisi umanitaria, il nuovo scenario regionale e internazionale e il rischio di un confronto Russia-Stati Uniti. In questa sezione tutti i nostri articoli, interviste e analisi sul conflitto insieme alle traduzioni con il punto di vista della stampa della regione.

La dittatura dell’indifferenza tra Russia, Serbia e Rwanda

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Per EstEstEst quelle della giornalista Anastasia Baburova e dell’avvocato Stanislav Markelov sono morti non casuali. Entrambi lavorano al caso di Elza Kungayeva, cercavano di dimostrare le responsabilità di Yurij Budanov scarcerato in anticipo meno di un mese fa e andavano avanti malgrado una situazione del genere:

Inutile illudersi che in Russia ci sia una dittatura che governa contro una popolazione ostile: non è così. A dirlo non sono soltanto le percentuali di consenso intorno ai capi supremi, che possono essere manipolate o non significare granché al di là di un generico bisogno di stabilità e sicurezza. No, a dire che il terreno in cui si muovono gli avvocati e i giornalisti […] è duro e difficile è l’impunità sostanziale di cui godono le bande di assassini neonazisti – che guardacaso proprio lunedì hanno ammazzato a Mosca un ragazzo di vent’anni reo di appartenere a un movimento di sinistra, e che praticamente tutti i giorni uccidono qualche immigrato asiatico o caucasico preso a casaccio per strada (il processo e la condanna dei sette membri di una di queste bande, qualche settimana fa, ha fatto sensazione). A dirlo sono le manifestazioni pubbliche di sostegno a Yurij Budanov, perché la vita di “una puttanella cecena” non vale il disonore della prigione per un ufficiale; a dirlo è il silenzio, l’indifferenza con cui vengono accolte le uccisioni, o i pestaggi quasi mortali, degli uomini e delle donne che cercano di far qualcosa per opporsi a tutto questo – gli ambientalisti che lottano contro l’inquinamento della Siberia, i giornalisti locali che denunciano i furti e la corruzione di sindaci e di governatori (Markelov era anche il difensore di Beketov, giornalista di una città alla periferia di Mosca ridotto in fin di vita per aver denunciato uno scandalo dell’amministrazione locale)

Del resto, anche la vicenda giudiziaria degli Scorpioni non è differente dallo spirito di cui sopra (malgrado qui la vicenda si svolga tra Bosnia e Serbia e non a Mosca). E per arrivare a una condanna per i fatti del Rwanda ci sono voluti quindici anni, come racconta oggi Peacereporter (altri procedimenti sono tuttora in corso).