La dittatura dell’indifferenza tra Russia, Serbia e Rwanda

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Per EstEstEst quelle della giornalista Anastasia Baburova e dell’avvocato Stanislav Markelov sono morti non casuali. Entrambi lavorano al caso di Elza Kungayeva, cercavano di dimostrare le responsabilità di Yurij Budanov scarcerato in anticipo meno di un mese fa e andavano avanti malgrado una situazione del genere:

Inutile illudersi che in Russia ci sia una dittatura che governa contro una popolazione ostile: non è così. A dirlo non sono soltanto le percentuali di consenso intorno ai capi supremi, che possono essere manipolate o non significare granché al di là di un generico bisogno di stabilità e sicurezza. No, a dire che il terreno in cui si muovono gli avvocati e i giornalisti […] è duro e difficile è l’impunità sostanziale di cui godono le bande di assassini neonazisti – che guardacaso proprio lunedì hanno ammazzato a Mosca un ragazzo di vent’anni reo di appartenere a un movimento di sinistra, e che praticamente tutti i giorni uccidono qualche immigrato asiatico o caucasico preso a casaccio per strada (il processo e la condanna dei sette membri di una di queste bande, qualche settimana fa, ha fatto sensazione). A dirlo sono le manifestazioni pubbliche di sostegno a Yurij Budanov, perché la vita di “una puttanella cecena” non vale il disonore della prigione per un ufficiale; a dirlo è il silenzio, l’indifferenza con cui vengono accolte le uccisioni, o i pestaggi quasi mortali, degli uomini e delle donne che cercano di far qualcosa per opporsi a tutto questo – gli ambientalisti che lottano contro l’inquinamento della Siberia, i giornalisti locali che denunciano i furti e la corruzione di sindaci e di governatori (Markelov era anche il difensore di Beketov, giornalista di una città alla periferia di Mosca ridotto in fin di vita per aver denunciato uno scandalo dell’amministrazione locale)

Del resto, anche la vicenda giudiziaria degli Scorpioni non è differente dallo spirito di cui sopra (malgrado qui la vicenda si svolga tra Bosnia e Serbia e non a Mosca). E per arrivare a una condanna per i fatti del Rwanda ci sono voluti quindici anni, come racconta oggi Peacereporter (altri procedimenti sono tuttora in corso).