Belgrado, il sito della memoria serbo rischia di diventare un centro commerciale

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Topovske Šupe - Foto di Vladimir TatlinRestò in funzione pochi mesi, dall’agosto al dicembre 1941, ma a Topovske Šupe, ex base militare serba trasformata in campo di concentramento nazista, morirono circa 5mila persone e la sua attività contribuì a dichiarare Belgrado, nel maggio 1942, “liberata dagli ebrei” dato che quasi tutta la popolazione maschile israelitica fu sterminata lì. Ma oggi, a 7 anni di distanza dall’inaugurazione di un sito dedicato alla memoria di quello sterminio e dall’apposizione di una targa commemorativa, il campo potrebbe scomparire o, nella migliore delle ipotesi, essere inglobato da un centro commerciale di 182mila metri quadrati.

A raccontarlo, a valle di settimane di polemiche tra i belgradesi che hanno dato vita al Čas istorije (lezione di storia) e la società che realizzerà l’opera, la Delta Holding, è uno storico dell’Olocausto serbo, Jovan Byford, alla rivista e-Novine. Da un lato, denunciano i cittadini, il progetto per la costruzione del centro commerciale non ha tenuto in considerazione l’importanza del luogo, già in passato al centro di controversie a causa di errori nel riportare i fatti storici come accaddero ai tempi. Dall’altro, invece, il Delta Planet – come si chiamerà l’area destinata a diventare la più estesa della regione con un investimento da 200 milioni di euro – non rimuoverà la placca che ricorda le vittime dello sterminio, per la maggior parte ebrei e rom, nonostante nella brochure esplicativa non si trovi traccia della “decorosa ubicazione” prevista dal management.

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Uno scatto dal 2008 dell’olandese Visser: le proteste a Belgrado dopo la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo

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Protest in Belgrade

Era il 21 febbraio 2008 quando il fotografo olandese Dirk-Jan Visser ha scattato questa immagine. Quattro giorni prima il Kosovo aveva dichiarato la propria indipendenza e alcuni partiti avevano organizzato manifestazioni nella capitale serba Belgrado. Adesso il sito Verve Photo – The new breed of documentary photographers ripropone lo scatto e la storia che reca con sé.

Le auto italiane a Kragujevac: l’altra faccia della medaglia

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Domani di Maurizio ChiericiKragujevac è una città serba che supera i 200 mila abitanti e qui, prima del conflitto, almeno 75 mila persone lavoravano direttamente (36 mila circa) o indirettamente per la Zastava, fabbrica d’auto (e di armi) fondata a metà del XIX secolo e detenuta dallo Stato jugoslavo, quando ancora esisteva. I bombardamenti del 1999 avevano raso al suolo quasi completamente gli impianti industriali e oggi, dopo le acquisizioni del 2005 e i perfezionamenti contrattuali del 2008, è qui che la Fiat vorrebbe trasferire la produzione di Mirafiori per colpire sindacati tricolori e annientare le rivendicazioni dei lavoratori.

Sui giornali di questi giorni, però, mai si è parlato della cittadina che dovrebbe accogliere le catene di montaggio per i monovolume dell’azienda italiana. I balletti della politica, le reazioni delle maestranze, le richieste di chiarimenti da parte dei confindustriali hanno del tutto trascurato una realtà che, dal cuore dei Balcani, racconta ancora una lunga storia di guerra, politica ed economia espansionistica verso Est.

Settantacinquemila persone, si diceva. A metà di questo decennio il tessuto economico e sociale di Kragujevac non era ancora stato in grado di reagire alla devastazione dalla guerra. E già arrivare fisicamente qui per guardarsi intorno e rendersi conto della situazione non era un viaggio semplice. A neanche 150 chilometri da Belgrado, occorreva percorrere strade di campagna non proprio agevoli e mettersi al volante significava rimanerci per almeno due ore e mezzo. Ma quando si giungeva, la prima impressione era molto diversa dalla realtà che traspariva a una seconda occhiata. I boschi e le colline che contornano la città ne davano un’immagine che poco si confaceva a quella di una capitale dell’industria titina. Eppure la presenza degli impianti produttivi era – e lo è stata a lungo – una specie di nenia funebre che accompagna la periferia.
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L’Europa orientale e la sicurezza privata: un dossier di Reporting Project

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Security Chaos

L’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), centro per il giornalismo investigativo che riunisce diverse realtà dislocate nell’Europa orientale, ha presentato un dossier sulla sicurezza privata in quell’area geografica. Viene così riassunta l’inchiesta:

Non esiste luogo che abbia più bisogno di sicurezza. Ma le società che si occupano di proteggere persone, luoghi o proprietà hanno una storia travagliata. Se alcune sono professionali e tentato di battere la concorrenza sleale dei propri governi, altre sono semplicemente strumenti per trafficare in armi. Il settore della sicurezza è nel caos e i suoi costi sono rappresentati da incolumità, denaro e anche vite.

I paesi presi in considerazione sono Serbia (un ambito senza regole), Moldavia (punti di giunzione tra passato e presente), Romania (sistema nuovo, attori vecchi) e Bulgaria (il violento lato pubblico della sicurezza privata).

Ivo Pukanic: a Belgrado iniziato il processo per il cronista croato assassinato

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Ivo PukanicA proposito di Serbia e a proposito di giornalisti che hanno pagato caro il loro lavoro, Fabio Dalmasso segnala un articolo comparso sul quotidiano Il Piccolo di Trieste di oggi:

È iniziato ieri a Belgrado il processo a tre esponenti della criminalità organizzata serba accusati dell’uccisione nell’ottobre 2008 del giornalista croato Ivo Pukanic. Sul banco degli imputati siedono Sreten Jocic, uno dei boss più famosi della mafia serba,conosciuto col soprannome di “Joca Amsterdam”, Zeljiko Milovanovic e Milenko Kuzmanovic. Tutti e tre furono arrestati a Belgrado lo scorso anno, Jocic in aprile, Milanovic e Kuzmanovic in maggio. Secondo l’atto di accusa, letto al processo, i tre assassinarono Ivo Pukanic, direttore del settimanale croato “Nacional” e il suo collaboratore Niko Franjic in cambio di un milione e mezzo di euro. Il motivo sarebbe stata l’attività giornalistica di Pukanic e la pubblicazione di articoli sull’attività di organizzazioni criminali nei Balcani. Il duplice omicidio avvenne il 23 ottobre 2008 con l’esplosione di una bomba nel centro di Zagabria. Altre quattro persone, accusate di coinvolgimento nello stesso caso, sono giudicate in altro processo apertosi a febbraio a Zagabria.

Per leggere di più sulla vicenda di Ivo Pukanic, si veda quanto riportano Wikipedia e Notizie radicali.

A Belgrado un museo di cultura rom per raccontare arte e letteratura di un popolo

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Juna ciganino - Foto di Dimitrije JanicicSe ne parla sulla versione italiana del sito di una radio serbia e la notizia viene ampliata su Peacereporter. Ed è una bella notizia, di quelle che si vorrebbe leggere in relazione anche al proprio, di Paese:

Otto diverse traduzioni rom della Bibbia, il primo libro sui rom dal 1803, i primi scritti trovati in lingua rom ed altri interessanti pezzi della cultura rom saranno esposti nei prossimi sei mesi nell’ambito della mostra “Alave e Romengo” (“Parola dei rom”), nel primo museo di cultura rom inaugurato solennemente a Belgrado alla fine di ottobre.

L’autore della mostra e al contempo fondatore del museo è Dragoljub Ackovic, vicepresidente del parlamento mondiale dei rom. Il quale, in tema canali d’espressione del suo popolo, dice a Francesca Rolandi di Peacereporter:

Purtroppo i media sono pochi. Esiste una trasmissione radiofonica bilingue, in serbo e in lingua rom, di cui io sono redattore e che viene trasmessa da Radio Belgrado e una trasmissione televisiva a Novi Sad. Abbiamo una casa editrice a Belgrado che si chiama Rominterpress e che ha stampato diverse monografie, tra le quali l’opera in più volumi “I rom a Belgrado” [di cui Acković è autore]. Fino a qualche anno fa esisteva un’altra casa editrice a Novi Sad, che si è spenta con la morte del suo animatore Trifun Dimić. Direi che la maggior parte dei media sono dipesi dall’iniziativa personale di alcuni singoli. In ogni caso sono felice del fatto che abbiamo una nostra casa editrice, unica nel suo genere, e ci lavoreremo molto in futuro. I rom a Belgrado avevano due televisioni e una stazione radio, ma sono state oscurate due anni fa. La motivazione addotta era che mancava un’autorizzazione necessaria ma lo stato non si è neppure sforzato di fare in modo che ricevessero questa autorizzazione. Perché non si vuole sentire la voce dei rom, si vuole sentire solo quello che altri dicono di loro.

Per vedere qualche immagine del museo dedicato alla cultura rom di Belgrado si veda qui (gli scatti sono di Dimitrije Janicic).

Osservatorio Balcani: un dossier sulla popolazione gay nel sud-est europeo

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Gay Pride Belgrade

Racconta Osservatorio Balcani a proposito di LGBTIQ Between the State and the EU:

Il 2009 è stato segnato per la popolazione LGBT e queer nel sud-est Europa da un lato da episodi di violenze e intimidazioni (in particolare durante le principali manifestazioni dai Pride in Serbia e Slovenia al festival queer di Sarajevo), senza prese di posizione da parte di amministrazioni locali e Stati nazionali. Dall’altro, pressioni sovranazionali e aspirazioni all’integrazione europea hanno portato all’avanzamento e/o all’approvazione di proposte legislative di stampo progressista. In questo quadro di sviluppi stonati e contrastanti, la popolazione LGBT e queer dei Balcani si ritrova al crocevia tra visibilità e invisibilità, contesto domestico ostile e speranze europee, progresso formale e paure concrete. OBC raccoglie in questo dossier cronache, interviste e analisi dedicate agli sviluppi dell’universo arcobaleno balcanico, al rapporto con le istituzioni internazionali e al ruolo della cooperazione.

Ecco dunque di seguito il dossier Tra stato ed Europa. LGBT e queer nei Balcani. Per quanto riguarda i casi citati nella presentazione: La notte dei cristalli di Sarajevo, Belgrado sotto assedio e Sassi sul Gay pride. Infine un reportage di Jasmina Tešanović dalla capitale serba in occasione del Gay Pride era stato pubblicato un paio di mesi fa. Si intitolava Belgrado, Milosevic, il gay pride e l’opposizione del passato recente.

Serbia: le attività di sminamento e l’interessato intervento italiano

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La situazione delle zone minate al confine tra Serbia e Croazia mi era capitato di vederla, con colonne di auto che progressivamente si formavano all’approssimarsi della frontiera perché occorreva rimuoverne alcune troppe vicine alla sede stradale. In argomento, Peacereporter racconta questa storia: Italia-Serbia, via le mine ma la ruggine resta. E il sottotitolo all’articolo aggiunge che sarebbero in arrivo «aiuti per lo sminamento, sponsor per l’Europa e accordo Fiat Zastava. Ma per alcuni non basta per cancellare i ricordi dei bombardamenti». E infatti, in merito al disinteressato gesto tricolore, si legge:

La parternship serba rappresenta un’occasione da non perdere, soprattutto per l’Italia. L’avvio della produzione di automobili in Serbia “è un tassello fondamentale per lo sviluppo collettivo del gruppo Fiat e il più significativo in termini di potenziale: abbiamo aspettato un bel po’ di tempo per trovare un paese che ci avrebbe ospitato”, ha ammesso il manager italiano. Si tratta di investimenti di “circa 940 milioni di euro”. Per l’Italia, “un’irripetibile opportunità, con particolare riferimento al settore industriale e commerciale ed alla presenza italiana in settori strategici (telecomunicazioni, infrastrutture, banche)”. Di più, raccogliendo investimenti, la Serbia offre all’Italia un’area franca, con tasse al minimo o nulle (si va dal 10 percento a scendere a seconda degli investimenti fino allo zero per gli utili reinvestiti), terreni gratis per le aziende, ma soprattutto la possibilità di esportare dalla Serbia senza alcun dazio doganale su un mercato da 800 milioni di clienti, Ue compresa. Da 4 a 5 mila euro per chi investe in zone svantaggiate da Kraguievac a Nis fino al Sud, tassazione al minimo, costo del lavoro molto basso e alta specializzazione dei lavoratori. Una grande occasione per l’Italia, che ora prova a ricambiare il favore donando a Belgrado materiale e apparecchiature militari destinate all’individuazione, alla rimozione e alla distruzione delle mine, eredità dei bombardamenti Nato, per un valore complessivo di 600 mila euro.

Belgrado, Milosevic, il gay pride e l’opposizione del passato recente

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Gay Pride Belgrade

Jasmina Tešanović è un nome che è tornato spesso da queste parti. E anche la notizia dell’annullamento del gay pride di Belgrado è circolata in vari luoghi. Ora, mettendo da un lato che l’autrice di Processo agli scorpioni è serba e dall’altro che raccontare le storie in presa diretta è un pezzo del suo lavoro, si provi a leggere il reportage pubblicato da Peacelink a firma della scrittrice balcanica e tradotto da Giacomo Alessandroni.

È domenica, sono le 11. In questo momento avremmo dovuto trovarci davanti all’università per assistere alla seconda Gay Pride Parade di Belgrado. La prima sfilata, nel 2001, è finita nel caos e nella vergogna. Novecento teppisti con la bava alla bocca si sono presentati per insultare e picchiare con quanta violenza possibile i manifestanti gay, in tutto meno di cinquanta.

Due giorni prima, Slobodan Milosevic era stato estradato all’Aia per il suo processo. Lui, di parte e prevenuto, prendeva attivamente posizione contro i “pervertiti”. Tutti i partecipanti che sfilano nel 2001 alla gay parade, subirono ore di umiliazioni e paura. I teppisti erano felicissimi per l’occasione di perseguitarli attivamente. Nella Piazza della Repubblica si respirava un’atmosfera da linciaggio di massa. Un gay è stato gravemente colpito dagli assalitori, come pure un poliziotto che cercava di proteggerlo.

Allora scrissi: “Questa è anche la mia Serbia”, anche se io sono donna, emarginata e femminista. Voglio ritornare a colpire queste persone: dichiararle fuorilegge e insignificanti, loro che conoscono solo la violenza e l’odio.
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L’unità paramilitare degli Scorpioni condannata per eccidio in Kosovo

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Di questo processo si racconta anche qui e alla fine ci si è riusciti a condannare di nuovo gli Scorpioni, gruppo paramilitare responsabile anche del massacro di Srebrenica di cui varie volte si è scritto. Lo racconta Peacereporter parlando di un eccidio di dieci anni fa:

La Corte serba per i crimini di guerra ha condannato […] a pene fino a venti anni […] i componenti di un’unità speciale, chiamata Scorpioni, che dipendeva dal ministero degli Interni di Belgrado durante il conflitto in Kosovo del 1999. In particolare agli imputati viene addebitata la responsabilità del massacro di Podujevo, in Kosovo, avvenuto nel 1999, quando vennero massacrati 14 albanesi, tra i quali donne e bambini. Zeljko Djukic, Dragan Medic e Dragan Borojevic sono stati condannati a 20 anni di prigione, e Miodrag Solaja a 15, per la motivazione che non aveva ancora 18 anni quando aveva preso parte al massacro. Lo rende noto la televisione serba B92, citando Bruno Vekaric, il portavoce della Corte. Per lo stesso episodio era stato condannato a 20 anni di carcere Sasa Cvjetan, membro della stessa unità. Gli Scorpioni hanno preso parte alle guerre in Croazia (1991-95) e in Bosnia (1992-95), prima di essere inviati nel Kosovo nel 1998-1999. Quattro altri uomini appartenenti all’unità sono stati condannati due anni fa a pene che vanno fino a 20 anni di prigione perché giudicati colpevoli di aver giustiziato sei musulmani nel massacro di Srebrenica, in Bosnia, nel 1995, in cui sono stati uccisi 8 mila musulmani.