Belgrado, Milosevic, il gay pride e l’opposizione del passato recente

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Gay Pride Belgrade

Jasmina Tešanović č un nome che č tornato spesso da queste parti. E anche la notizia dell’annullamento del gay pride di Belgrado č circolata in vari luoghi. Ora, mettendo da un lato che l’autrice di Processo agli scorpioni č serba e dall’altro che raccontare le storie in presa diretta č un pezzo del suo lavoro, si provi a leggere il reportage pubblicato da Peacelink a firma della scrittrice balcanica e tradotto da Giacomo Alessandroni.

Č domenica, sono le 11. In questo momento avremmo dovuto trovarci davanti all’universitŕ per assistere alla seconda Gay Pride Parade di Belgrado. La prima sfilata, nel 2001, č finita nel caos e nella vergogna. Novecento teppisti con la bava alla bocca si sono presentati per insultare e picchiare con quanta violenza possibile i manifestanti gay, in tutto meno di cinquanta.

Due giorni prima, Slobodan Milosevic era stato estradato all’Aia per il suo processo. Lui, di parte e prevenuto, prendeva attivamente posizione contro i “pervertiti”. Tutti i partecipanti che sfilano nel 2001 alla gay parade, subirono ore di umiliazioni e paura. I teppisti erano felicissimi per l’occasione di perseguitarli attivamente. Nella Piazza della Repubblica si respirava un’atmosfera da linciaggio di massa. Un gay č stato gravemente colpito dagli assalitori, come pure un poliziotto che cercava di proteggerlo.

Allora scrissi: “Questa č anche la mia Serbia”, anche se io sono donna, emarginata e femminista. Voglio ritornare a colpire queste persone: dichiararle fuorilegge e insignificanti, loro che conoscono solo la violenza e l’odio.
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Jasmina Tešanović: a un decennio dai bombardamenti della Nato

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NATO bombing during the War in 1999 - Photo by Jaime SilvaJasmina Tešanović, l’autrice (tra l’altro) dello splendido Processo agli scorpioni, racconto tra il giornalistico e il militante sul massacro di Srebrenica del 1995, viene ospitata da BoingBoing.net con il suo 10 years after Nato bombings of Serbia. Che inizia il 26 marzo 1995, alle cinque del pomeriggio, scrivendo:

Spero che sopravviveremo tutti a questa guerra, a queste bombe: i serbi, gli albanesi, i ragazzi cattivi e quelli buoni, coloro che imbracciarono le armi e coloro che invece disertarono, i rifugiati che si aggirano per le foreste del Kosovo e i rifugiati di Belgrado che se ne vanno per le strade tenendo in braccio i loro figli, alla ricerca di ripari che non esistono quando iniziano a suonare gli allarmi antiaerei. Spero che i piloti della Nato non abbandonino mogli e bambini che vedo piangere alla Cnn mentre i loro mariti e padri decollano verso gli obiettivi militari serbi. Spero che sopravviveremo tutti ma non in un mondo del genere. Spero che riusciremo a rompere il muro delle parole che lo chiamano democrazia e dittatura. Quando i membri del Congresso americano stimano 20 mila morti civili tra i serbi dicendo che si tratta di un piccolo prezzo da pagare per la pace in Kosovo o il presidente Clinton dichiara di mirare a un’Europa liberata […] o il presidente serbo Milutinovic annuncia una guerra senza quartiere, penso sempre che tutti questi individui stanno parlando del mio sangue e non del loro.