Belgrado, Milosevic, il gay pride e l’opposizione del passato recente

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Gay Pride Belgrade

Jasmina Tešanović è un nome che è tornato spesso da queste parti. E anche la notizia dell’annullamento del gay pride di Belgrado è circolata in vari luoghi. Ora, mettendo da un lato che l’autrice di Processo agli scorpioni è serba e dall’altro che raccontare le storie in presa diretta è un pezzo del suo lavoro, si provi a leggere il reportage pubblicato da Peacelink a firma della scrittrice balcanica e tradotto da Giacomo Alessandroni.

È domenica, sono le 11. In questo momento avremmo dovuto trovarci davanti all’università per assistere alla seconda Gay Pride Parade di Belgrado. La prima sfilata, nel 2001, è finita nel caos e nella vergogna. Novecento teppisti con la bava alla bocca si sono presentati per insultare e picchiare con quanta violenza possibile i manifestanti gay, in tutto meno di cinquanta.

Due giorni prima, Slobodan Milosevic era stato estradato all’Aia per il suo processo. Lui, di parte e prevenuto, prendeva attivamente posizione contro i “pervertiti”. Tutti i partecipanti che sfilano nel 2001 alla gay parade, subirono ore di umiliazioni e paura. I teppisti erano felicissimi per l’occasione di perseguitarli attivamente. Nella Piazza della Repubblica si respirava un’atmosfera da linciaggio di massa. Un gay è stato gravemente colpito dagli assalitori, come pure un poliziotto che cercava di proteggerlo.

Allora scrissi: “Questa è anche la mia Serbia”, anche se io sono donna, emarginata e femminista. Voglio ritornare a colpire queste persone: dichiararle fuorilegge e insignificanti, loro che conoscono solo la violenza e l’odio.

Ebbene, oggi, 8 anni dopo, abbiamo proclamato un altro gay pride e la polizia ha coraggiosamente detto che avrebbero protetto e difeso tutti noi. Ha sostenuto che il gay pride era un evento ad alto rischio – il più alto che si possa immaginare oggi in Serbia – e che era inopportuno per la politica interna serba. I diritti degli omosessuali, dunque, vengono rappresentati come una questione “troppo prematura” per la Serbia, ma “troppo prematura” lo è stata per centinaia di anni.

Tuttavia, alcune dimostrazioni ufficiali di tolleranza verso i gay potrebbero migliorare l’immagine della Serbia agli occhio della Comunità Europea.

I teppisti la pensavano diversamente ed erano in uno stato d’animo particolarmente irrequieto recentemente. In questi ultimi mesi, la città di Belgrado è stato sfregiata con graffiti recenti la scritta “pericolo di morte”, opera di estremisti e paramilitari che concentravano la loro rabbia contro i gay. Questi gruppi nazionalisti sostengono che la popolazione gay all’interno della Serbia dovrebbe essere sterminata o – almeno – tenuta lontano dalle strade e confinata dentro le loro case fino a “guarigione completa”.

Nei giorni prima del gay pride, la campagna anti-omosessuali ha raggiunto livelli da isterismo di guerra: i gruppi di destra hanno scritto ai mass-media per chiedere fotografie di attivisti gay da poter utilizzare sui siti estremisti. Hanno affermato che quest’azione è per il bene comune, per allertare i genitori preoccupati. In realtà l’operazione ha lo scopo di creare una lista di bersagli da colpire. La destra serba sta rapidamente diventando sempre più esperta nell’uso della rete. Ha inoltre annunciato una brigata internazionale composta da picchiatori omofobi provenienti da altre nazioni. Dunque se da un lato il governo serbo si protende verso l’Europa civile, dall’altro continua a esistere una Serbia clandestina che si muove, grazie anche la permeabilità delle frontiere, verso il fascismo europeo.

La destra ha anche discusso con entusiasmo dei tipi di armi e di strategie da impiegare contro i manifestanti e la polizia, oltre alle tattiche violente per “curare” l’omosessualità “antiserba”. Alleata con la destra clandestina, come sempre, la Chiesa Ortodossa Serba, che ha lanciato un attacco pubblico definendolo una “parata della vergogna”, roba da “Sodoma e Gomorra”.

Infiammata da questi entusiasmi, una banda di farabutti ha assaltato un gruppo di tifosi francesi due giorni prima della marcia gay. Un cittadino francese è stato picchiato quasi a morte in un locale pubblico perché era venuto da Tolosa a sostenere una squadra occidentale e aveva avuto la temerarietà di parlare nella sua lingua. Questo è stato motivo di grave imbarazzo politico per la Serbia, normalmente amica della Francia. Sensibile al cambiamento del clima, la polizia ha dichiarato di essere in grado di proteggere i manifestanti gay. E questa è stata quindi vietata de facto il giorno prima che avesse luogo.

La non-manifestazione non rappresenta una pietra miliare per la democrazia serba: il ministro della polizia ha annunciato in televisione che proteggerà le persone gay. Al Parlamento è stato chiesto di dichiarare un sostegno per i diritti civili gay, come pure al presidente della Serbia. Tutti provano un po’ d’imbarazzo per questo, con richieste, con tormenti, con obblighi, con pressioni dalle ambasciate straniere, ONG ed istituzioni politiche. Può sembrare poco, ma non era mai accaduto prima.

Nei giorni scorsi, la stampa accreditata per assistere al gay pride era tantissima. Celebrità locali, attori e registi hanno dichiarato la loro adesione alla marcia. Un corteo gay può rivelarsi un mezzo plausibile per dimostrare tolleranza e democrazia. Stampa e blog sono stati sul punto di esplodere a causa delle polemiche che questo evento ha scatenato.

La questione gay ha messo in ombra le questioni locali di etnia e religione. Anche l’indipendenza del Kosovo è scivolata in secondo piano, ma , al momento di tirare le fila, i manifestanti, lo Stato, la polizia sono capitolati di fronte alle minacce della destra. In un impeto di retorica su costi/benefici, chi controllava la maggior parte delle pubbliche relazioni ha preferito allontanare il rischio che questa una marcia costituiva.

Anni fa, durante il regno di Milosevic, la polizia si oppose ai manifestanti, tuttavia abbiamo marciato comunque. Pochi e testardi agli inizi, abbiamo ottenuto la massa critica per far cadere Milosevic il 5 ottobre del 2000. La cultura della guerra attorno alle questioni gay e lesbiche non sconvolgono la popolazione, come le guerre perse, l’iperinflazione e la pulizia etnica. È un fenomeno nuovo, diverso.

Le cose sono cambiate dopo che Milosevic è stato rovesciato e ora stanno cambiando in modo nuovo. Oggi, alle 11 in piazza Repubblica di Belgrado, un gruppo determinato di 500 persone con l’aperto sostegno delle forze di polizia e un’amichevole copertura mediatica a livello globale, ha intimidito e dispersi i paramilitari, che – nelle condizioni attuali – sono in diminuzione. Per di più anche l’Europa fascista rimprovera i locali, definendoli teppistelli invece di potenti gang criminali dei Balcani. Alla fine dell’incontro a sostegno della causa omosessuale, ci siamo lasciati chiedendoci chi governa il paese: i democratici, i media, la Chiesa, i teppisti, la polizia segreta, i criminali di guerra? Tutti insieme ora, forse, lentamente compattati dal morbido potere dell’Unione Europea.

Lo stato è da brivido e lo sappiamo tutti. Ma non abbiamo rinunciato e anche i pacifici gay e lesbiche non rimangono impotenti come vittime di un altro Stato fallito in Serbia. Rifiutando la vita in un armadio, i gay serbi hanno aperto la porta ai problemi generali della libertà d’espressione e di vita civile in Serbia. Alcune minoranze devono farlo, e questa è una minoranza attiva e istruita che – nella vecchia Jugoslavia – non ha ancora sussurrato il proprio nome.

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