La storia che non passa secondo Sandra Bonsanti: “Dallo scandalo P2 a Renzi: la lunga marcia anti magistrati”

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Dallo scandalo P2 a Renzi: la lunga marcia anti magistrati. Lo scrive Sandra Bonsanti sul Fatto Quotidiano e ripresa da Micromega online:

Fu nel dibattito che precedeva la fiducia al primo governo laico della storia repubblicana, il 10 luglio 1981, che un pezzo del mondo politico, Psi, Psdi e mezza Dc iniziarono in Parlamento i processi alla magistratura italiana. Spadolini, incaricato da Sandro Pertini, aveva annunciato la sua determinazione a sciogliere la loggia P2, chiedendo uno “sforzo comune di rinnovamento e di pulizia morale”. Ma Longo, Piccoli e Craxi spiegano subito che le loro preoccupazioni riguardano non l’ansia di verità, ma la sorte di Roberto Calvi e degli altri iscritti alla P2. Il segretario del Psdi (affiliato con tessera n. 2223) accenna nel suo intervento a un “accordo” preciso che Spadolini avrebbe ignorato: un accordo, guarda caso, sulla “riparazione” degli errori giudiziari e su una “radicale revisione delle funzioni del Pm”.

Poi si scatenò Craxi e attaccò i magistrati per aver messo le manette a Calvi che aveva cercato (o finto) di suicidarsi. Una reazione “prevedibile” sottolinea Craxi “quando si mettono le manette a finanzieri che rappresentano gruppi che contano per quasi metà del listino di Borsa”. Flaminio Piccoli, segretario della Dc, accusa il Pm di “appropriarsi di un processo come di un bottino, con iniziative frenetiche e spesso irresponsabili”. Chiede che siano dati al ministro di Grazia e Giustizia “poteri di indirizzo e di orientare l’attività”.

A rivederla oggi, quella pagina di storia politica, dopo le dichiarazioni sprezzanti contro la magistratura pronunciate non da un segretario di partito e basta (come erano Craxi, Piccoli e Longo) ma da uno che è anche presidente del Consiglio si direbbe che niente è cambiato, se non peggiorato. Allora almeno ci fu chi dal Pci protestò e chiese conto di quei presunti accordi segreti. Si alzò Ingrao e disse: “Vogliamo veramente sapere come stanno le cose sulla giustizia perché quelle proposte di Longo non ci piacciono affatto”. Bei tempi, si fa per dire, quegli Anni 80 perché almeno non erano tutti o quasi tutti d’accordo, e comunque, i parlamentari dissenzienti dalla linea dei loro segretari votavano come volevano e non venivano chiamati “gufi” e “rosiconi”. Non ricordo che venisse tollerata una politica dell’irrisione. E quando si ricorse al governo laico non destò scalpore il fatto che il partito di Spadolini avesse allora il 3 per cento.

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Dal divorzio all’acqua pubblica, 62 referendum abrogativi dal ’74 a oggi

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Referendum 2011Sul sito del Fatto Quotidiano si racconta che ci sono stati dal divorzio all’acqua pubblica, 62 referendum abrogativi dal ’74 ad oggi. Ecco di seguito nel pezzo integrale quali sono. Utile promemoria in vista del 12 e 13 giugno.

Dal divorzio alla modifica della parte II della Costituzione. Dal 12 maggio del 1974 al 25 giugno 2006. In mezzo, 62 referendum abrogativi sui quali gli italiani sono stati chiamati a esprimere un parere. Al centro le grandi battaglie sui diritti civili come la legalizzazione di divorzio e aborto, l’obiezione di coscienza, il voto ai diciottenni, lo stop alle centrali nucleari, la riforma del sistema elettorale in senso maggioritario, la depenalizzazione dell’uso personale di droghe leggere, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la chiusura dei manicomi e l’affermazione dei diritti dei transessuali. Il quorum viene raggiunto 35 volte, il “no” vince 16 volte, il “sì” 19.

Il divorzio. Previsto dall’articolo 75 della Costituzione con soli tre casi di inammissibilità, l’istituto referendario è stato introdotto in Italia solo nel 1970 su richiesta del Vaticano che spingeva per abolire la legge sul divorzio (la Fortuna-Baslini) approvata grazie alla campagna dei radicali. Il 12 e 13 maggio 1974 quasi 38 milioni di italiani sono chiamati a votare. Votano “no” il 59,1 per cento degli italiani. Il risultato è dirompente. L’Unità titola: “Grande vittoria della libertà: il popolo italiano fa prevalere la ragione, il diritto, la civiltà”. L’editoriale affidato al segretario del Pci Enrico Berlinguer saluta “un’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”. Non la vittoria di un singolo partito, ma il contributo di “un larghissimo schieramento di forze politiche, sociali, culturali diverse” hanno portato il no alla vittoria.

La ragione del successo sta nel rifiuto di gran parte dell’elettorato Dc di seguire l’indicazione di voto e la linea politica della segreteria dello Scudo crociato. Insomma, milioni di elettori cattolici avevano voltato le spalle ai Gabrio Lombardi e ai Fanfani schierandosi per il “no”.
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