Collateral Murder: Wikileaks documenta la strage di Bagdad perpetrata dall’esercito Usa

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Collateral Murder: si intitola così il sito creato da Wikileaks (progetto di cui già si è parlato e che, per la delicatezza dei documenti che pubblica, si è tentato di chiudere in varie riprese) per rendere pubblico il documento video diffuso ieri a proposito della guerra in Iraq:

Il video classificato dell’esercito Usa mostra l’omicidio indiscriminato di una dozzina di persone – tra cui due dello staff dell’agenzia Reuters – in un sobborgo di Bagdad. La Reuters ha provato ai tempi dell’attacco a ottenere il filmato tramite il Freedom of Information Act, ma non ha avuto successo. A sparare è un elicottero Apache dell’esercito Usa e le immagini fanno vedere chiaramente l’immotivato assassinio di un operatore della Reuters ferito e dei suoi soccorritori. Anche due bambini sono rimasti gravemente feriti.

Se ne parla anche su Lsdi, Crimeblog, su Internazionale e sull’Antefatto.

Del video ne esistono due versioni: una breve (17 minuti e 47 secondi) e una più lunga (39 minuti e 14 secondi). Su Collateral Murder è stato reso pubblico anche altro materiale a complemento, come le trascrizioni delle comunicazioni, le foto dell’attacco e la timeline degli eventi. C’è anche una sezione download.

Quando in Italia si era pronti a spararli grossi: una mappa delle basi di missili Jupiter

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Visualizza Basi missili nucleari Jupiter in una mappa di dimensioni maggiori

L’argomento di cui si parla è questo. Nel contesto specifico invece si legge:

Località dove fra il 1960 e il 1963 vennero posizionati 45 missili a testata nucleare Jupiter. Ogni base aveva 3 missili, uno di lancio e 2 di riserva. Dieci basi sono in Italia fra Puglia e Basilicata, e 5 in Turchia. La fiamma indica la posizione delle basi, il cerchio viola i centri di telecomunicazione troposcatter più vicini alle basi, smantellati nel 1994 in tutta Europa e gli aerei le basi aeree: la base Nato di Gioia del Colle, tuttora in funzione, l’aeroporto Belbek in Crimea e la base dell’aeronautica sovietica. Le linee blu segnalano l’orientamento delle basi di lancio. L’obiettivo era Mosca per quasi tutte le basi.

(Via Giovanni Calia. E ormai diverso tempo fa se ne parlava anche su Peacelink)

Il “non detto” del generale Maletti e il “detto” del processo di Brescia

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Dice e non dice, pur parlando molto e innervosendosi anche, il generale Gianadelio Maletti, in questa intervista realizzata per il quarantesimo anniversario della strage di piazza Fontana da Nicola Palma, Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato e prodotta da Francesco Virga e Gianfilippo Pedote per Mir Cinematografica. Il video sopra riportato è il primo di tre parti: qui il secondo e qui invece il terzo. Una porzione del materiale era stata messa online lo scorso 12 dicembre con un’intervista pubblicata sull’Espresso (gli autori sono gli stessi del video) e un breve estratto in voce. Grazie a Ivan Carozzi per la segnalazione del materiale su Youtube.

Per quanto riguarda l’ex direttore del Sid – riparato in Sudafrica trent’anni fa per sfuggire a una condanna per fatti legati alla strage piazza Fontana – probabilmente non verrà in Italia per testimoniare a Brescia, dove è in corso il processo per la bomba di piazza della Loggia. Ma di lui si è parlato negli ultimi giorni su Brescia Oggi: «Un golpe a Campione Buzzi lo sapeva» e Tramonte, il silenzio della «spia qualificata».

A sedici anni dal delitto Alpi-Hrovatin, un rapporto ONU conferma la pista di armi e rifiuti

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Il 20 marzo scorso ricorreva il sedicesimo anniversario dell’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovantin, assassinati a Modagiscio nel 1994. Sul Fatto Quotidiano di oggi, a pagina 15, viene pubblicato un lungo articolo sul rapporto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla Somalia e si sottolinea come l’inchiesta che stava conducendo l’inviata del Tg3, con anni di anticipo, confermasse quanto oggi si scrive al Palazzo di Vetro. Pirateria dei mari, società di contractor, rapporti con l’Italia, il ruolo di Giancarlo Marocchino nella costruzione del porto Eel Ma’an sono alcuni dei passaggi. Ma si torna a parlare anche di armi e rifiuti interrati.

Di tutto questo si tratta nel rapporto, consultabile in formato HTML e pdf (785KB). Cliccando invece sull’immagine sottostante si può leggere l’articolo del Fatto, in cui si spiega anche la possibilità di una revisione del processo al termine del quale è stato condannato Hashi Omar Hassan.

Il rapporto ONU che da' ragione a Ilaria Alpi

Giovannone, il Lawrence d’Arabia nella Beirut palestinese

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Domani di Maurizio ChiericiStefano Giovannone aveva 64 anni quando morì e mezzo secolo della sua vita l’aveva trascorso vestendo abiti militari. Ma alla metà del luglio 1985, quando si spense nella sua abitazione di Roma, la sua carriera – arrestatasi al grado di colonnello – era precipitata ben più in basso rispetto alla considerazione che si era guadagnato in tanti anni di attività sul campo e in particolare dal 1965 al 1981, quando aveva fatto parte dei servizi segreti militari.

Nelle settimane che precedettero la sua morte gli era stata concessa la libertà provvisoria. Per lui, infatti, era stato chiesto (e ottenuto) l’arresto – tramutato poi in domiciliari per ragioni di salute – nell’ambito di un’indagine veneziana e di un’altra romana. Ma non erano le uniche che lo chiamavano direttamente in causa. Andiamo con ordine.

Ai tempo d’oro, il colonnello era noto per un vezzeggiativo, il “Lawrence d’Arabia” italiano, e la sua conoscenza dello scacchiere mediorientale aveva fatto la differenza. Una differenza che ancora in tempi recenti è tornata a emergere. Si pensi per esempio che all’inizio dell’estate 2008, dal carcere parigino di Poissy, dell’ex ufficiale del Sismi parlò il terrorista filopalestinese Ilich Ramirez Sanchez, al secolo Carlos, il venezuelano a capo del gruppo Separat ribattezzato dalla stampa lo “sciacallo” perché, durante una perquisizione, tra i suoi effetti personali venne trovato il quasi omonimo romanzo di Frederick Forsyth.
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Journalists Memorial: tributo a cronisti e operatori uccisi dalla seconda guerra mondiale a oggi

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Journalists Memorial

The Journalists Memorial, iniziativa di Doha Centre for Media Freedom, Reporter Senza Frontiere e della città di Bayeux, Francia:

Dozzine di giornalisti vengono uccisi ogni anno nel mondo. Solo in Iraq, ne sono morti più di 200 dall’inizio dell’occupazione statunitense […]. Rendere omaggio al loro coraggio e alla loro professionalità non è un’idea concepita da alcuni giornalisti per altri giornalisti. È un modo per tenere a mente che la difesa della libertà è una questione rilevante per tutti e non c’è democrazia senza notizie che rispettino le persone e si basino sui fatti. Questa lista messa in rete elenca dunque giornalisti e operatori uccisi nel corso del loro lavoro a partire dalla seconda guerra mondiale dando vita a un database unico per dimensione e scopo. Un luogo per ricordare nel timore di dimenticare. Un tributo alla libertà.

Iniziativa meritoria, dunque, a cui però mancano – ha ragione Giancarlo De Palo – due cronisti nella sezione italiana. Per quanto ufficialmente risultino scomparsi dal 2 settembre 1980, sulla loro sorte ci sono ben pochi dubbi. Sono Graziella De Palo e Italo Toni (per la loro vicenda si veda anche qui).

Piazza della Loggia, a processo si racconta dei documenti che scompaiono

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Riccardo Lenzi mi segnala un articolo uscito ieri sul quotidiano Brescia Oggi. Si intitola «Dall’archivio svaniti i documenti delle stragi» e racconta ciò che Giovanni Flamini ha dichiarato in qualità di consulente un paio di giorni fa alla Corte d’Assise di Brescia dove è in corso il processo per la strage di piazza della Loggia (su Radio Radicale è disponibile la registrazione dell’intera udienza mentre sopra si può ascoltare il singolo intervento di Flamini). Il testo dell’articolo segnalato da Riccardo merita di essere riportato per estero.

Nessun riferimento alla stra­ge di piazza Loggia o alla que­stura di Milano, consumata un anno prima, il 17 maggio ’73. Nelle veline della Divi­sione Affari Riservati non com­pare alcuna nota informativa sull’attentato bresciano. E non è l’unica pagina terroristi­ca a mancare dall’archivio. «Erano proprio i documenti che cercavo con più curiosità, conoscevo bene le carte su piazza Fontana. Ma non c’era nulla, a volte, solo le intestazio­ni». A ricordare con dovizia di dettagli il materiale custodito nel deposito di Circonvallazio­ne Appia è Giovanni Flamini, consulente, chiamato a depor­re dai pm nel terzo processo sulla strage bresciana. Era sta­to incaricato dalla Procura di Milano di esaminare parte de­gli archivi della Dar, nell’inchiesta su piazza Fontana: 36 anni dopo. a Brescia, l’accusa punta a ricostruire luci e ombre dell’attività della Dar per dimostrare che la strage di piazza Loggia maturò in un contesto che vedeva legati a doppio filo estremisti neri e ap­parati statali deviati.

«Dovevamo trovare elemen­ti che riconducessero agli at­tentati di Roma e Milano nel ’69: la documentazione, che andava dal ’61 al ’94, era ripo­sta in 40 scatole di cartone ‑ ri­corda Flamini ‑, ma il materia­le era incomprensibile». Ma nel marasma dei documenti c’era anche un brogliaccio quo­tidiano con la cronologia degli eventi giorno per giorno. « So­no andato all’agosto ’69, quan­do, tra il l’8 e il 9, si consumaro­no 10 attentati ai treni ‑ spiega Flamini ‑, ma al 7 le veline si fermavano, per riprendere so­lo 3 giorni dopo». Stessa cosa per piazza Fontana: « Il mate­riale arrivava fino a dicem­bre, poi niente. L’ipotesi più probabile era che qualcuno lo avesse fatto sparire». Molti i fascicoli sui gruppi di estrema sinistra, ma anche buste inte­state al gruppo padovano ordi­novista di Freda. Ventura e Fa­chini: «ma vuote».
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“Speriamo che trionfi la giustizia liberando gli innocenti e imprigionando i colpevoli”

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Banca Nazionale dell'Agricultura, Piazza Fontana, MilanoClaudia Pinelli, classe 1A, anno scolastico 1972/1973

Tema: “Un fatto di cronaca”

Svolgimento

Erano verso le h. 4 del pomeriggio, a un tratto echeggiò una esplosione, molta gente accorse dove si era sentito il boato; davanti a loro stavano le macerie di una banca distrutta e qua e là corpi straziati. Così avvenne quella che ora definiamo: “La strage di Piazza Fontana”.

La polizia non sapeva dove mettere le mani, così decise di addossare la colpa agli anarchici. Li vennero a prendere per portarli in questura. In quelle tragiche notti perse la vita il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli fermato dalla polizia come tanti altri suoi compagni.

La moglie (Licia Rognigni Pinelli) ora si sta battendo per scoprire la verità sulla morte del marito, perché lei è convinta, come le sue figlie, che Giuseppe Pinelli non si è suicidato, ma sia stato ucciso. La polizia, vedendo la reazione della moglie, si affrettò subito a dire che Pinelli era un bravuomo e che il giorno seguente lo dovevano liberare. Ma alla vedova Pinelli non bastavano le loro rassicurazioni; ora era sola e doveva provvedere al mantenimento delle sue due bambine, Silvia di 8 anni e Claudia di 8.

Intanto per la strage di Piazza Fontana era stato accusato Valpreda.

Sono passati tre anni dalla strage di Piazza Fontana e Valpreda è stato rilasciato in libertà provvisoria senza un vero processo (ben due processi sono stati rinviati).

Speriamo che il terzo processo sia quello che faccia trionfare la giustizia liberando gli innocenti e imprigionando i veri colpevoli.

(Prologo al libro Una storia quasi soltanto mia di Licia Pinelli e Piero Scaramucci, Feltrinelli, 2009)

Santovito: gli anni delle stragi all’ombra dei generali P2

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Domani di Maurizio ChiericiIl suo è un nome legato alla storia recente italiana che continua a tornare. Uno degli ultimi ad aver citato Giuseppe Santovito, direttore del Sismi dal gennaio 1978 all’estate 1981, è stato non molto tempo fa il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, il quale, divenuto collaboratore di giustizia nel 1994, ha raccontato rotte e affondamenti delle navi dei veleni nei mari italiani e in quelli dell’Africa orientale. Ma ci sarebbe anche un altro episodio cardine che, secondo le dichiarazioni del pentito, lo avrebbe visto in azione in prima persona.

Occorre tornare ai cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro, rapito in 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse e ucciso il 9 maggio successivo. Forni, dando la sua versione dai fatti, dice che «tutti sapevano di via Gradoli», inclusi i componenti della banda della Magliana. Lo avrebbe appreso quando fu inviato nella capitale per dare una mano ai democristiani. E sostiene che i servizi segreti non potevano ignorare l’indirizzo della prigione del leader democristiano. In una ricostruzione non difforme da quella di alcuni banditi romani, l’uomo della ‘ndrangheta ricorda di aver riferito al suo boss quanto aveva appreso, ma a quel punto gli fu risposto di lasciare stare, che «a Roma i politici hanno cambiato idea». In questo racconto tutto da verificare, Forni parla anche del defunto generale Santovito, in quel periodo da pochi mesi al vertice dell’intelligence militare, facendo chiaramente intendere che sapeva, ma che non fece nulla nonostante l’allora ministro degli interni Francesco Cossiga lo avesse incluso nel comitato di crisi nato a valle del sequestro.
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“Milano e gli anni del terrorismo”: le vittime raccontano una città di piombo

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Milano e gli anni del terrorismoDopo il documentario Vittime – Gli anni di piombo di cui si parlava un paio di giorni fa, l’Associazione italiana vittime del terrorismo presenta una nuova iniziativa: il libro Milano e gli anni del terrorismo – Ad un passo dalla morte, scritto a quattro mani da Antonio Iosa, il consigliere del direttivo dell’Aiviter gambizzato il 1 aprile 1980, e da Giorgio Paolo Bazzega, il figlio del maresciallo di pubblica sicurezza Sergio Bazzega ucciso il 15 dicembre 1976 a Sesto San Giovanni durante l’irruzione a casa di Walter Alasia (in quell’occasione resterà ucciso, oltre allo stesso Alasia, anche il vicequestore Vittorio Padovan). Tornando al volume, come si legge nell’introduzione scritta da Guido Bertagna, il religioso che dirige il centro culturale San Fedele di Milano, e dalla giornalista Annachiara Valle:

I due autori hanno lavorato insieme, per creare una coscienza di solidarietà verso le vittime, per capire quali siano i problemi e le prospettive attuali e future, per dare un orizzonte di speranza al significato del dolore, alla condivisione della memoria, alle caratteristiche del perdono, del dialogo possibile e della riconciliazione fra ex terroristi e familiari delle vittime. In particolare è emersa l’esigenza, come sfida al futuro, di individuare percorsi didattici di educazione alla legalità e alla non violenza, rivolti agli studenti e allargando l’impegno anche nei confronti di tanti giovani “Figli di Abele”, che vivono nel disagio sociale a causa di vecchie e nuove forme di povertà e di emarginazione.

Infine, come si accennava un po’ di tempo fa, su Facebook è stato creato da Giorgio Bazzega il gruppo In memoria di tutte le vittime di terrorismo e stragi.