Santovito: gli anni delle stragi all’ombra dei generali P2

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Domani di Maurizio ChiericiIl suo è un nome legato alla storia recente italiana che continua a tornare. Uno degli ultimi ad aver citato Giuseppe Santovito, direttore del Sismi dal gennaio 1978 all’estate 1981, è stato non molto tempo fa il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, il quale, divenuto collaboratore di giustizia nel 1994, ha raccontato rotte e affondamenti delle navi dei veleni nei mari italiani e in quelli dell’Africa orientale. Ma ci sarebbe anche un altro episodio cardine che, secondo le dichiarazioni del pentito, lo avrebbe visto in azione in prima persona.

Occorre tornare ai cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro, rapito in 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse e ucciso il 9 maggio successivo. Forni, dando la sua versione dai fatti, dice che «tutti sapevano di via Gradoli», inclusi i componenti della banda della Magliana. Lo avrebbe appreso quando fu inviato nella capitale per dare una mano ai democristiani. E sostiene che i servizi segreti non potevano ignorare l’indirizzo della prigione del leader democristiano. In una ricostruzione non difforme da quella di alcuni banditi romani, l’uomo della ‘ndrangheta ricorda di aver riferito al suo boss quanto aveva appreso, ma a quel punto gli fu risposto di lasciare stare, che «a Roma i politici hanno cambiato idea». In questo racconto tutto da verificare, Forni parla anche del defunto generale Santovito, in quel periodo da pochi mesi al vertice dell’intelligence militare, facendo chiaramente intendere che sapeva, ma che non fece nulla nonostante l’allora ministro degli interni Francesco Cossiga lo avesse incluso nel comitato di crisi nato a valle del sequestro.
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Quando la professione è quella del depistatore

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Domani di Maurizio ChiericiNegli ultimi anni il nome di Elio Ciolini è finito raramente sui giornali. La comparsa più recente risale all’estate 2005 quando alcuni personaggi legati all’estrema destra italiana sarebbero stati in cerca di contatti a Bruxelles per favorire il finanziamento europeo di non meglio definite attività. E ancora, procedendo a ritroso, nel 2001 l’uomo sembra aver confermato una caratteristica già evidenziata in passato: essere un depistatore. Ex vigile urbano nato a Firenze il 18 agosto 1946, Ciolini dieci anni fa raccontò di essere stato avvicinato in Bolivia da un sedicente estremista di sinistra a caccia di supporto logistico per organizzare alcuni attentati in Italia. Tra gli obiettivi, fece il nome del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e di quattro città, Roma, Milano, Bologna e Venezia. Inoltre disse che lo sconosciuto avrebbe fatto parte di un’organizzazione terroristica in contatto con la sacra corona unita e con narcotrafficanti latino-americani.

Si indagò, all’inizio del precedente decennio, su queste affermazioni, ma non saltò fuori nessun riscontro. E a parte la sortita subito rientrata del 2005, quello di Elio Ciolini è un nome rimasto per lo più nella memoria di chi ha seguito la storia giudiziaria delle stragi in Italia. In particolare della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

A rievocarlo è stata nei giorni scorsi la mail di un giornalista belga che indaga sulla cosiddetta banda di Patrick Haemers, un criminale morto quarantenne nel 1993 dopo una vita di rapine (la prima risale al 1978 e per portarsi via il corrispondente di 235 mila euro prende in ostaggio 28 persone). Negli anni Ottanta, con la complicità di Philippe Lacroix e di Thierry Smars, si specializza in furgoni portavalori e, nel giro di sette colpi, arraffa 5 milioni di euro, ma nel 1985 uccide due persone e viene arrestato di nuovo.
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