Stefania Limiti indagata perché non rivela la sua fonte, cioè perché fa la giornalista

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Con tutto il rispetto per la collega Stefania Limiti, è incredibile che senza la rivelazione di una sua fonte non sia possibile individuare né processare i mandanti della strage di Capaci, quella in cui il 23 maggio 1992 furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Eppure alla giornalista, autrice del libro Doppio livello, viene contestato proprio questo dai magistrati di Caltanissetta, con buona pace della libertà d’informazione, e la procura di Roma le ha appena notificato un avviso di fine indagine che potrebbe essere l’anticamera del processo.

Proviamo a fare il punto della situazione. La giornalista, per scrivere il libro, entra in contatto con un ex appartenente alla struttura Gladio che le fornisce una serie di informazioni non sulla strage in sé, ma sulle dinamiche che l’hanno generata e sul fatto che all’origine di quel massacro non ci fu solo la mafia. Informazioni che Stefania Limiti raccoglie, valuta, verifica e alla fine inserisce nel suo libro. Insomma, ha fatto il suo lavoro, né più né meno.

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Spuntano le cassette registrate tra Falcone e l’ex estremista Volo

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Ci sono diverse cassette audio delle conversazioni che Giovanni Falcone ebbe con Alberto Stefano Volo, l’ex neofascista che amava definirsi “agente al servizio dello Stato”. Volo, siciliano, oggi in precarie condizioni di salute e indisponibile a qualsiasi tipo di colloquio, rivelò al magistrato ucciso a Capaci il 23 maggio 1992 di aver fatto parte, dal 1967 al 1980, di un’organizzazione segreta che si chiamava Universal Legion, forse un “grappolo” di Gladio. Peraltro Volo parlò di qualcosa di molto simili all’organizzazione militare clandestina, nata ufficialmente per contrastare un’invasione da Est, prima che lo facesse il 24 ottobre 1990 l’allora presidente del consiglio, Giulio Andreotti.

La dichiarazione è nota da tempo, ma solo di recente sono saltate fuori le cassette nell’ambito delle indagini della Procura di Palermo. Si tratterebbe di un pozzo di informazioni, anche se non è possibile per il momento conoscerne il contenuto. Volo suggerì a Falcone una pista? Oppure il magistrato aveva già messo le mani su informazioni preziose e di assoluta novità al tempo? Vedremo.

Intanto bene ha fatto l’avvocato Fabio Repici a opporsi all’archiviazione delle indagini sull’omicidio dell’agente del commissariato San Lorenzo Antonino Agostino, ucciso a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989 insieme alla moglie, Ida Castelluccio, sposata un mese prima e incinta di cinque mesi. Il legale, che rappresenta Augusta e Vincenzo Agostino, i genitori e i suoceri delle vittime, si sta battendo perché non si chiuda il capitolo delle indagini che chiama in causa i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto e l’ex poliziotto Giovanni Aiello, più noto come “faccia di mostro”. Motivo: esistono “acquisizioni sulla sinergia tra [gli indagati] e un blocco criminale individuato tra polizia e servizi segreti”.

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“La tredicesima ora”: a 22 anni da Capaci, il tributo alle vittime delle mafie con la storia di Lea Garofalo e di sua figlia Denise

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Sono trascorsi ventidue anni dalla strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. E non è un caso che stasera, alle 23.05 (Rai3), si torni a parlare di mafie (non cosa nostra in questo caso, ma ‘ndrangheta) e in particolare si parli della vicenda di Lea Garofalo, uccisa a Milano il 24 novembre 2009, e di sua figlia Denise. Che la sua storia e quella di sua madre la racconterà lei stessa in un’intervista in esclusiva rilasciata alla trasmissione La tredicesima ora di Carlo Lucarelli. Ecco come viene presentata la puntata di questa sera:

La storia di due donne coraggiose, una scelta radicale. Due giovani donne, madre e figlia che si sono ribellate alla cultura della mafia: Lea Garofalo e Denise. Lea Garofalo è cresciuta in un contesto criminale. Suo fratello è un boss che gestisce gli affari di una ‘Ndrina a Milano di cui fa parte anche il padre di sua figlia e suo ex compagno, Carlo Cosco. Lea desidera per Denise, che ha avuto a soli 17 anni, una vita diversa dalla sua, senza violenza, menzogna e paura. Nel 2002 decide di collaborare con la giustizia e viene sottoposta, con sua figlia, al regime di protezione.

Lea racconta ai magistrati i loschi affari dell’ex compagno e del suo clan. Dopo aver vissuto in solitudine, sotto false identità, cambiando continuamente residenza, nel 2009 Lea esce definitivamente dal sistema di protezione sfiduciata dalle Istituzioni ed esasperata dalle continue pressioni dei Cosco. Sfugge anche a un tentativo di sequestro ma verrà attirata dal suo ex compagno a Milano con la scusa di voler parlare del futuro della loro figlia Denise.

Il 24 novembre del 2009, dopo essere stata torturata, viene strangolata da Carlo Cosco. Quel che resta del suo corpo, dopo essere stato bruciato, viene sepolto in un terreno vicino Monza. Denise, dopo la scomparsa di Lea, capisce che suo padre, con cui è andata a vivere, le sta mentendo. Con lo stesso coraggio di sua madre si reca da un magistrato rendendo possibile l’apertura delle indagini e il processo contro suo padre e i suoi complici. Da allora continua a vivere sotto protezione.

Lsdi, “L’Ora, Palermo, la mafia”: a vent’anni dalla chiusura del quotidiano, la sua storia raccontata da Carlo Ruta

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L'Ora di PalermoLsdi nei giorni scorsi ha ripreso un articolo uscito sul mensile Narcomafie di Carlo Ruta a vent’anni dalla chiusura del glorioso quotidiano L’Ora di Palermo:

La fine de L’ORA era stata annunciata diverse volte lungo i decenni, perché i problemi, soprattutto economici, in questo piccolo giornale non erano mai mancati. Ma nel 1992 la storia del quotidiano di Palermo era all’ epilogo. In quei momenti i redattori speravano ancora che la loro «fenice» riuscisse a risorgere, prima che le rotative si fermassero. Falliti però tutti i tentativi di accordo tra la cooperativa dei giornalisti, il PDS, proprietario della testata e degli impianti, e il nuovo editore, la NEM, le possibilità erano nulle. L’8 maggio 1992, l’ultimo numero del quotidiano intitolava, in modo significativo, «Arrivederci», e aggiungeva: «Oggi il giornale sospende le pubblicazioni ma non vogliamo dire addio ai nostri lettori».

Nell’editoriale di quel giorno era Michele Perriera a spiegare cosa era stato e cosa aveva reso importante l’esperienza del giornale, ma anche i motivi che lo avevano costretto alla chiusura. Lo scrittore palermitano riteneva che l’errore principale fosse quello «di credere che sarebbe stato il Nord a salvare il Sud, e che quindi non convenisse investire troppo nel Sud caotico e corrotto». E questo errore, a nome di tutta la redazione, l’editorialista lo imputava alla proprietà, cioè al Partito Comunista, cui sarebbe sempre sfuggito che «il destino della democrazia italiana si può riqualificare solo a partire dal riscatto delle sue zone più martoriate e più malsane».

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“Il faccendiere”: il prossimo 2 maggio per “Il Saggiatore” esce la storia di Elio Ciolini, “l’uomo che sapeva tutto”

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Il faccendiereEsce per i tipi della casa editrice Il Saggiatore giovedì prossimo, 2 maggio, il libro Il faccendiere – Storia di Elio Ciolini, l’uomo che sapeva tutto. Il nome di questo personaggio periodicamente torna sulle pagine dei giornali e nelle cronache giudiziarie è ricordato come colui che depistò le indagini sulla strage alla stazione di Bologna. Ma fu anche colui che il 4 marzo 1992 “previde” gli omicidi eccellenti di quell’anno. Il libro in uscita si presenta con queste parole:

Fingere di sapere. Mescolare il falso al vero. Far correre gli investigatori per mezza Europa alla ricerca di riscontri. C’è un uomo in Italia che sa tutto. Questa è la storia di Elio Ciolini, il depistatore dell’inchiesta sulla strage di Bologna. Condannato per calunnia, Ciolini diventa, dieci anni dopo la bomba del 2 agosto 1980, l’anello di congiunzione con la trattativa Stato-mafia.

Servizi segreti, nomi di copertura, bande criminali, viaggi misteriosi in America Latina; questo è il mondo di un personaggio dai contorni sfumati, sul quale grava una sola domanda: chi è il suggeritore? Nelle pagine del libro si ripercorrono le sue gesta, si consultano quarant’anni di carte giudiziarie, si intervistano giudici, carabinieri, testimoni che scelgono di rimanere nell’anonimato, e si traccia il profilo di un uomo incredibile, una macchietta in apparenza, un criminale nei fatti, che ha tessuto una spy story italiana che di romanzesco non ha nulla e che di reale ha vittime in attesa di giustizia.

“Antologia di un ventennio”: nel libro di Beppe Lopez la storia d’Italia basata sul ricatto e la necessità di ripartire dagli anni Settanta

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Antologia di un ventennioGli anni Settanta. Sono quelli la chiave per comprendere gli ultimi lustri della storia repubblicana. Se ne ha conferma a leggere Antologia di un ventennio (1992-2012) del giornalista Beppe Lopez. Tangentopoli, la discesa in campo di Silvio Berlusconi o le fregole presidenziali in vista di un’agognata (e scellerata) modifica istituzionale non nascono negli anni Novanta, con l’arresto di Mario Chiesa o con un messaggio televisivo studiato come neanche un film di Hollywood.

Ricostruire la trasposizione contemporanea delle bibliche piaghe d’Egitto – trasposizione di fatti che hanno portato alla devastazione del Paese fino ai livelli oggi – non può prescindere da ciò che è avvenuto prima. Che siano il delitto Moro, l’occupazione della cosa pubblica da parte della P2, il tramonto dell’ipotesi della solidarietà nazionale con il Pci o, ancora, l’ascesa di Bettino Craxi e del craxismo, nulla dei fatti degli ultimi vent’anni appare casuale. Non lo può essere la più volte tentata riforma della giustizia così come non lo sono tanti altri aspetti, dalla frattura del fronte sindacale al progressivo superamento di concetti politici che facevano la differenza tra uno schieramento e l’altro.

Scrive Beppe Lopez anticipando altri passaggi dell’introduzione del suo libro elettronico:

Negli anni Settanta si giocò una partita mortale: da un parte, istanze insieme di democratizzazione e modernizzazione; dall’altra, istanze di mera “modernizzazione” […] senza democratizzazione (e senza vero sviluppo), inaugurando negli anni Ottanta una pratica politica e un costume che raggiunsero la massima potenza negli anni Novanta e che Mani Pulite mise a nudo in tutta la sua mediocrità etica, morale e politica.

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“Sarajevo novantadue”: un libro di Massimo Vaggi a vent’anni dall’immobilità di un assedio

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Sarajevo novantadueVerrà presentato domani alla libreria Unik Irnerio di Bologna il libro di Massimo Vaggi intitolato Sarajevo novantadue – Un racconto dalla città assediata (Paginauno):

Aprile 1992, città di Sarajevo. Milo ha sedici anni, gioca a pallone, va a scuola e fa la corte a Lana. Suo padre è giornalista, l’allenatore Ibrahim sogna per lui un futuro in una squadra importante e il professor Simo Zivanovic, storico appassionato, tra una lezione e l’altra scrive di Jovan il contadino, rapito nel 1531 dalle milizie di Alibeg per lavorare alla costruzione della moschea del Bey. Ma Sarajevo è città sull’orlo di un baratro, nonostante nessuno se ne renda conto. L’assedio inizia, e scardina da subito le regole di ogni spazio. Granate, esplosioni, niente più scuola e pallone; case dalle imposte chiuse dietro cui nascondersi, vie con lamiere rabberciate tese tra i lampioni, fragile barriera che vuole proteggere i passanti dalla vista dei cecchini, non certo dai loro spari. Milo potrebbe fuggire, con l’aiuto di un sergente del contingente Onu, ma non sa decidersi: cerca il consiglio del professore, ma Simo Zivanovic non è più in grado di immaginare un destino qualunque nemmeno per il suo Jovan, personaggio di carta.

Definito un libro che “fotografa l’immobilità di un assedio che imprigiona il futuro di un’intera incredula popolazione”, la sua descrizione continua qui.

Strage di Ustica: l’associazione Rita Atria chiede che si riaprano le indagini sulla morte del tenente colonnello Sandro Marcucci

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A proposito delle morti sospette legate più o meno direttamente alla strage di Ustica del 27 giugno 1980, c’è anche quella del tenente colonnello dell’aeronautica militare italiana Sandro Marcucci, deceduto il 2 febbraio 1992 in un incidente aereo mentre era in servizio antincendio, quando era anche testimone nell’istruttoria del giudice Rosario Priore. Ora l’associazione antimafie Rita Atria chiede che vengano riaperte le indagini dell’ufficiale dell’Ami esponendo le ragioni in un video. Intanto una sintesi della richiesta è stata pubblicata da ArticoloTre.

“Un orsacchiotto con le batterie”: un libro e un blog per mantenere viva la memoria sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992

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Un orsacchiotto con le batterieNel giorno del ventesimo anniversario della strage di via D’Amelio in cui vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, c’è un libro che merita di essere segnalato. Si intitola Un orsacchiotto con le batterie – Il depistaggio sulla strage di via d’Amelio (Round Robin Editrice), è stato scritto da Elena Invernizzi e Stefano Paolocci e questa la sua sinossi:

Palermo, domenica pomeriggio, cento secondi alle cinque: il sismografo dell’osservatorio geofisico ha un sussulto, mentre fuori già si alza una lama di fumo nero. Vent’anni dopo, un uomo guarda la sua città dalla finestra, assaporando l’aroma persistente di una sigaretta. Sulla scrivania il minuzioso lavoro di ricostruzione che sta portando a termine: la mappa di un depistaggio lungo due decenni attorno alla strage di via D’Amelio.

In un gioco di pesi e contrappesi saranno le voci dei pentiti a dominare la scena: quella dell'”orsacchiotto con le batterie” Vincenzo Scarantino in primis, sulle cui dichiarazioni verranno istruiti i processi; e quella di Gaspare Spatuzza poi, il collaboratore che ha rimesso in discussione le sicurezze acquisite in tanti anni di indagine. Una ricerca di verità e giustizia che condurrà il protagonista a muoversi tra mille piste e sentieri intricati, sino a culminare in un incontro che, alla fine, gli regalerà una nuova prospettiva sulla strage, aiutandolo a mitigare il senso di sconcerto e impotenza.

Per il libro e perché la memoria di questa vicenda rimanga viva, è stato creato anche un blog ad hoc.