Cesare Serviatti: viene da lontano la storia del Landru del Tevere

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«Pensionato, 450 mensile, conoscerebbe signorina con mezzi, preferibilmente conoscenza scopo matrimonio». È il 1931 quando esce questo annuncio. Chissà se l’autore si è ispirato a quanto accadeva in Francia più di quindici anni prima, quando un uomo, Henri Landru, si faceva passare con lo stesso sistema per un vedovo benestante in cerca di moglie. Dieci donne riuscì a irretire o almeno dieci furono le sue vittime, a cui si aggiunse un bambino di 10 anni. Si appropriava dei loro beni e le strangolava facendone a pezzi i corpi per bruciarli infine nel forno della sua villa.

Tutto questo, all’inizio degli anni Trenta, di certo non lo sa Paola Gorietti, Paolina, che ha 39 anni e che il 4 novembre 1931 lascia Roma, dove lavora come domestica, per andarsene con l’autore dell’annuncio a La Spezia senza più dare notizie di sé. L’uomo si chiama Cesare Serviatti e non è di bell’aspetto. Di corporatura robusta, è stempiato e ha baffi neri. Nato nella capitale da genitori ignoti, ha 59 anni ed è sposato, anche se Paolina non sa nemmeno questo. Niente figli e neanche una vera professione.
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Contromafie: agli stati generali dell’antimafia si parla di segreti della Repubblica nelle carte degli archivi italiani

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Contromafie - Stati generali dell'antimafia

Il dibattito è stato inserito nella sezione battezzata Per una domanda di giustizia e verità in programma sabato 25 ottobre a Roma, nell’ambito di Contromafie – Stati generali dell’antimafia 2014. E l’incontro si intitola “I segreti della Repubblica nelle carte degli archivi italiani”, e di questo parla:

La recente iniziativa della Presidenza del Consiglio di rendere pubblici tutti i documenti riguardanti le stragi compiute nel nostro paese (conservati presso gli archivi dei servizi segreti, delle forze di polizia, dei ministeri, dei tribunali, ecc.) ha suscitato grandi speranze e aspettative che da questa documentazione possa giungere un maggiore contributo alla ricerca della verità. Contestualmente però si pone una questione forse più importante della stessa “desecretazione”: la possibilità di esercitare appieno il diritto di ogni cittadino a conoscere gli atti pubblici contenuti negli archivi pubblici. La consultazione per cittadini, studiosi, magistrati spesso risulta difficile se non impossibile. Eppure le applicazioni informatiche potrebbero agevolare l’esercizio di tale diritto. Ma a oggi così non è. L’ipotesi poi di procedere a ricerche trasversali, coordinando le informazioni agli atti dei singoli archivi, è puro miraggio. Occorre capire l’entità e il valore del patrimonio documentale ma soprattutto quali iniziative devono essere messe in campo per restituirlo alla collettività. La “Rete degli archivi per non dimenticare” nasce proprio dall’esigenza di recuperare atti, documenti, testimonianze utili a comprendere quello che è accaduto, in una lettura corale, per identificare quello che vorremmo non accada mai più.

Tutor: Ilaria Moroni, Rete degli archivi per non dimenticare
Relatori:

  • Piera Amendola, ricercatrice già archivista della Camera dei Deputati
  • Enzo Ciconte, storico
  • Elisabetta Cesqui, magistrato
  • Vincenzo Macrì, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Ancona

Interventi:

  • Francesco M. Biscione, storico
  • Michele Di Sivo, archivista, Archivio di stato di Roma
  • Tommaso Nelli, giornalista
  • Maurizio Torrealta, giornalista e scrittore
  • Giulio Marotta, già Consigliere parlamentare

Il programma completo di Contromafie, che inizia il 14 e si conclude il 26 ottobre, è disponibile qui.

“San Basilio, 8 settembre 1974: Fabrizio Ceruso e la lotta per il diritto alla casa”: il racconto del Manifesto in rete

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San Basilio, 1974

Sul sito dell’associazione Il manifesto in rete, a 40 anni di distanza, vengono riportati i fatti di San Basilio, 8 settembre 1974: Fabrizio Ceruso e la lotta per il diritto alla casa:

Il contesto e la dinamica della battaglia determinatasi l’8 settembre 1974 a San Basilio non sono facili da spiegare. Alcuni testimoni di quegli eventi sono morti negli anni successivi, ad esempio il mio amico Roberto di cui parlerò qui; altri ricordano soprattutto la nebbia dei lacrimogeni o mettono in connessione lineare, se non addirittura mitologica, il passato col presente; certi sono diventati “pentiti” negli anni Ottanta e altri ancora hanno cercato di abiurare il proprio passato di militanza politica, ad esempio determinati ex dirigenti di Lotta Continua.

Pochi fra i testimoni rimasti in vita ricordano bene gli avvenimenti dell’8 settembre 1974 a San Basilio e i motivi che ne furono alla base. Esistono però alcuni fatti che, da soli, risultano sufficienti ad aprire o a riaprire le porte di una corretta ricostruzione storica. Il 20 febbraio 1973 l’Istituto Autonomo Case Popolari (Iacp) indisse il concorso per l’assegnazione di alloggi a San Basilio, Pietralata e Tiburtino III, tre borgate della periferia sud orientale di Roma, per un totale di 600 appartamenti, ma fra l’estate e l’autunno di quell’anno si capì meglio che le migliaia di famiglie bisognose di un alloggio non potevano farsi molte illusioni.

Come ha correttamente ricordato Massimo Sestili in “sotto un cielo di piombo. La lotta per la casa in una borgata romana. San Basilio settembre 1974” (saggio pubblicato in Historia magistra, Rivista di storia critica, anno I, n. 1, Franco Angeli editore, 2009) la graduatoria stilata per quel bando pubblico subì una modifica rispetto alla normale prassi seguita in precedenza. A Villa Gordiani e a Tiburtino III dovevano essere demoliti alcuni alloggi dello Iacp e agli abitanti interessati furono assegnati fuori graduatoria più della metà degli appartamenti disponibili. Per concorso furono assegnati “200 alloggi su un totale di 600”.

Il testo lo firma Sandro Padula e per leggerlo in integrale il link è questo.

“Stamina. Una storia italiana”: un libro per andare a fondo della “cura”, del metodo Vannoni e delle responsabilità della vicenda

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Stamina. Una storia italianaPresentato ieri a Roma, il libro Stamina. Una storia italiana di Donata Lenzi e Paola Benedetta Manca (Editori Riuniti) fa il punto su una più che controversa vicenda troppo legata alle speranze di persone affette da malattie gravissime e degenerative. Un’importante occasione, dunque, per muoversi oltre le cronache:

Più di 500 ordinanze della magistratura civile, indagini penali in corso, i Tar, comitati insediati e poi cancellati, sperimentazioni mai partite, leggi che decidono cure, leggi inapplicate, centinaia di ore di trasmissioni televisive. Gli scienziati contro (molti), quelli pro (pochi). Tutti ruotano intorno a un metodo di cura, il cosiddetto “metodo Stamina”, che non si sa cosa sia ma accende molte speranze e molti interessi, e la cui fortuna si deve all’abilità del promotore, il professore di psicologia Davide Vannoni, capace di sfruttare al meglio falle e debolezze del sistema sanitario. Più forte di tutto, la forza della disperazione dei malati e delle loro famiglie che hanno deciso, contro tutti e tutto, di credere. Questa è la storia del metodo Stamina ricostruita da Donata Lenzi, deputata e componente della Commissione affari sociali, e da Paola Benedetta Manca, giornalista. Una storia dove le responsabilità sono molte ma tutti hanno una scusa per non assumersele e dove non si arriva mai alla fine. Una storia molto italiana.

Sul libro se ne può leggere ancora qui.

Trentaquattro anni fa l’omicidio del magistrato romano Mario Amato: indagava sulla destra eversiva e fu lasciato solo tra le minacce

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Trentaquattro anni fa, il 23 giugno 1980, veniva ucciso il magistrato Mario Amato che indagava – nella completa solitudine e sotto minaccia – sulla destra eversiva. Per due volte, tra il marzo di quell’anno e qualche giorno prima di morire, aveva denunciato la preparazione di attività terroristiche affermando che il Paese rischiava di scivolare verso la guerra civile. Gli chiusero la bocca mentre attendeva l’autobus sotto casa, diretto in procura a Roma.

La tredicesima ora (RaiTre, seconda serata): Lucarelli racconta la storia di Cosimo Rega e del carcere visto dall’interno

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Questa sera, sempre in seconda serata e sempre su RaiTre, torna la trasmissione La tredicesima ora di e con Carlo Lucarelli. E questa sera raccontiamo la storia di Cosimo Rega e della vita all’interno del carcere:

La storia di Cosimo Rega è la storia di un uomo che viene condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa: fine pena mai. I suoi crimini hanno lasciato una scia di dolore che farà male per sempre. Ma alla fine questa storia, con fatica, con sofferenza, senza facili attenuanti, si presenta come un romanzo di formazione.

Cosimo Rega – detto anche Sumino ‘o Falco, piccolo boss della Camorra di Angri, in provincia di Salerno – con la sentenza che gli infligge il carcere a vita perde tutto: la patria potestà, la patria maritale, i diritti politici. Dal fondo della sua condanna comincia un lento e duro percorso di consapevolezza. Rega non è più un boss rispettato, non è più Sumino ‘o Falco, non più il padre di due figli, né il marito di una donna coraggiosa che nonostante le enormi difficoltà gli sarà accanto per tutta la vita, è solo un ergastolano che vivrà per sempre lo squallore del carcere. Dopo un lungo e drammatico peregrinare tra i penitenziari italiani approda alla Casa di Reclusione di Rebibbia di Roma, dove grazie all’incontro con alcune persone – volontari e personale del carcere – e attraverso il lavoro, lo studio e il teatro comincia un percorso di consapevolezza e ripensamento della propria esistenza che lo porterà a rifiutare la cultura della malavita organizzata e a fondarsi una nuova identità. Cosimo sarà scelto come uno degli attori protagonisti del film dei fratelli Taviani “Cesare deve morire” – Orso d’oro nel 2012 al Festival di Berlino – che si chiude con una sua frase: “Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione”.

Cossiga, l’omicidio di Giorgiana Masi e le sirene delle ambulanze che dovevano sentirsi ovunque, più di quelle dei carabinieri

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Giorgiana MasiQuesto brano è contenuto nel libro Piccone di Stato – Francesco Cossiga e i segreti della Repubblica, Nutrimenti, 2010

Proviamo allora a ripercorrerla la vicenda che ha portato alla morte – anzi, all’omicidio – di Giorgiana Masi. Era il 12 maggio 1977 e il Partito radicale aveva indetto una manifestazione per celebrare il terzo anniversario del referendum sul divorzio e raccogliere firme per l’abrogazione delle leggi sull’ordine pubblico. Dal 21 aprile 1977, dopo gli scontri e una sparatoria che al termine di una manifestazione portò alla morte dell’agente Settimio Passamonti, ventitré anni, nel Lazio era vietato radunarsi in piazza.

Lo aveva deciso il ministro dell’Interno Francesco Cossiga con il supporto del Partito comunista, e quando i Radicali annunciarono la loro intenzione di scendere per strada il 12 maggio gli si fece notare che esisteva un’unica eccezione prevista dal decreto del Viminale: appartenere all’arco costituzionale. A quel punto si innescò un braccio di ferro per impedire il sit-in e vennero distribuiti sul territorio della capitale circa cinquemila agenti tra polizia e carabinieri. Fu un crescendo di tensione e infine, tra le 19 e le 20, si iniziò a sparare. A restare feriti furono un carabiniere e una ragazza, mentre dalle parti di ponte Garibaldi venne uccisa Giorgiana Masi, che avrebbe compiuto diciannove anni il successivo 6 agosto.
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