Belgio: Marcinelle, i suoi mostri e i dossier della gendarmeria

Standard

Tous manipulésUn maniaco isolato o il perno di una rete criminale? In Belgio la domanda sulla reale natura dei crimini commessi da Marc Dutroux, il mostro di Marcinelle, non è nuova. La giustizia, che ci mise otto anni a portare l’uomo davanti alla corte di Arlon (dal 1996, anno in cui venne arrestato, al 2004), ha optato per la prima ipotesi: secondo la sentenza, l’imputato, un elettricista disoccupato, e i suoi complici – la moglie, Michelle Martin, e un “aiutante”, Michel Lelièvre – agirono da soli approfittando della corruzione e della trasandatezza di indagini portate avanti con incompetenza della gendarmeria. Ma questa risposta non ha soddisfatto. Tanto che se fin dall’inizio si parlò di un’associazione ramificata (e sosteneva questa tesi anche la “marcia bianca” del 1996 contro gli errori investigativi commessi), oggi sembra aggiungersi un ulteriore tassello a uno scandalo che arrivò a lambire organi di polizia, le istituzioni e su fino alla casa reale.

Il tassello è la storia di un ex gendarme, Marc Toussaint, che racconta dall’interno i retroscena di un’indagine dai rivoli tutt’altro che nitidi. Lo fa in un libro pubblicato a fine febbraio dalla casa editrice Bernard Gilson che si intitola “Tous manipulés? Avant, pendant et après le cas Dutroux” e che è stato scritto con il giornalista Xavier Rossey. Toussaint, che non ha lavorato solo su un pezzo delle indagini sul mostro (venendo silurato professionalmente), ha un curriculum che comprende anche inchieste su criminalità organizzata e corruzione a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta.
Continue reading

Querelati per gli eserciti privati e condannati da un giudice di cui hanno scritto

Standard

Kitbash Private Military Contractor - Foto di Shaun WongSe scrivi di un magistrato il cui nome compare nell’ambito di un’indagine (e non come inquirente né giudicante), c’è caso che in seguito quello stesso magistrato possa trovartelo di fronte come giudice monocratico. Se in quell’occasione sei imputato del reato di diffamazione, c’è anche caso che – malgrado gli elementi presentati a conferma della correttezza di ciò che hai scritto – finisci condannato. È quello che è accaduto un mese fa a Torre Annunziata ai giornalisti Rita Pennarola e Andrea Cinquegrani della Voce delle Voci. Ed ora due parlamentari chiedono procedure ispettive per verificare che tutto si sia svolto regolarmente. Qui il pezzo, riportato per esteso, di ciò che è accaduto.

Lo scorso 2 marzo i senatori di Italia dei Valori Elio Lannutti e Pancho Pardi hanno presentato un atto di sindacato ispettivo rivolto ai ministri della Giustizia, Angelino Alfano, e dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. Il documento riguarda la vicenda giudiziaria capitata al mensile La Voce delle Voci, i cui direttori Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola erano stati querelati per diffamazione da Giacomo Spartaco Bertoletti, socio di Roberto Gobbi nella IBSA di Genova, la società che aveva addestrato Fabrizio Quattrocchi prima della sua partenza per l’Iraq. L’articolo querelato rientrava in una serie di inchieste giornalistiche, pubblicate dalla Voce dopo la morte di Quattrocchi, che mettevano in luce il fenomeno dei contractor e degli eserciti privati sui luoghi di guerra. «Cinquegrani e Pennarola – ricordano nell’atto ispettivo Lannutti e Pardi – erano stati rinviati a giudizio senza mai essere ascoltati dalla Procura di Torre Annunziata».
Continue reading

Giornalisti spiati, magistratura muta, segreto di stato che seppellisce le indagini

Standard

Domani di Maurizio ChiericiQuesta volta i personaggi di cui si parla lavoravano in coppia. Erano Niccolò Pollari, ex capo del Sismi, e Pio Pompa, il quale, dai suoi uffici capitolini di via Nazionale, aveva confezionato dossier su una serie di persone: magistrati, giornalisti, editori, intellettuali che, a detta loro, si sarebbero distinti per ostilità antigovernative. Per ricostruire questa vicenda, invece di avvalersi di atti giudiziari e documenti, stavolta si cambia ottica e ci si affida alle parole di Andrea Cinquegrani, direttore – insieme a Rita Pennarola – del mensile La Voce delle Voci, conosciuto come La Voce della Campania prima che la testata cambiasse (di poco) nome e diventasse nazionale. Cinquegrani, Pennarola e i loro collaboratori storici sono stati tra gli obiettivi delle osservazioni ravvicinate del servizio segreto militare.

Quando avete saputo di essere stati oggetti di “attenzioni” particolari da parte del Sismi?

L’abbiamo letto su Repubblica il 5 luglio 2007, quando uscirono due pagine sul “Sismigate”. Si raccontava che erano stati attenzionati oltre 200 magistrati, molti giornalisti e politici. In queste due pagine, a firma di Carlo Bonini, c’era anche un organigramma, una sorta di galassia eversivo-terroristica, che comprendeva anche la Voce della Campania, allora ci chiamavamo ancora così. A noi nello specifico era dedicato un paragrafo, “Quella voce da spegnere”, in cui si diceva che eravamo tra i protagonisti di attività anti-Berlusconi e che nostri collaboratori erano legati ad ambienti particolari, dell’eversione. Si parlava non poco di Percy Allum: in quanto docente all’Orientale di Napoli, si insinuava che fosse in contatto anche con cellule del terrorismo islamico. Inoltre, in quanto inglese, sarebbe stato in collegamento con numerosi corrispondenti della stampa estera, in particolare britannica ma non solo, e quindi in grado di influenzare i giornali stranieri. Noi dunque eravamo al centro e fra i protagonisti di questa inesistente cospirazione.
Continue reading

Dall’Ovra alla riforma del 2007: storia di apparati dello Stato

Standard

Come funzionano i servizi segreti di Aldo GiannuliDi certo Aldo Giannuli un effetto lo ottiene, con il libro Come funzionano i servizi segreti – Dalla tradizione dello spionaggio alle guerre non convenzionali del prossimo futuro, pubblicato poche settimane fa per Ponte alle Grazie. L’effetto primo è quello di sfogliare le pagine dei giornali e guardare il piccolo schermo televisivo con (se possibile) maggior scetticismo di prima.

Il motivo è presto detto e lo spiega bene l’autore nelle pagine del volume: il peso che gli apparati di intelligence hanno avuto e hanno tutt’oggi sul sistema dell’informazione mainstream è molto più esteso di quanto non si possa pensare. Che questo peso sia però poco recepito a livello di opinione pubblica trova una duplice spiegazione: da un lato, si deve guardare nell’intrinseca natura di un struttura di sicurezza, che deve far parlare poco di sé; dall’altro, invece, l’azione dei servizi segreti rimane un ambito poco sondato perché gli storici e gli accademici se ne sono occupati in via marginale.

Sbagliando, precisa Giannuli. È infatti opinione diffusa che non sia possibile conoscere modalità operative e analitiche dei servizi proprio per la loro compartimentazione rispetto al resto della società. Ma questa impenetrabilità è solo apparente: se la pubblicistica è infatti poco fitta (un’opera di analogo spessore è I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda Repubblica di Giuseppe de Lutiis, uscita per Editori Riuniti nel 1998 e non più in commercio), c’è altra documentazione che si può studiare. In primis gli atti giudiziari che, ripercorrendo singole vicende, come lo stragismo degli anni di piombo, indicano in modo piuttosto dettagliato come i servizi abbiano giocato il proprio ruolo. Un ruolo non sempre a garanzia dei cittadini.
Continue reading

Alberto Muraro, la vittima “preventiva” di piazza Fontana

Standard

Alberto Muraro, la vittima preventiva di piazza FontanaAlle 7 del mattino, nello stabile di piazza dell’Insurrezione, a Padova, l’attività della coppia di custodi è già iniziata e a quell’ora le pulizie dovrebbe essere concluse. Eppure il 13 settembre 1969 la signora Onorina non ha ancora visto il marito far rientro in guardiola. Strano, deve aver pensato. E così lascia il piccolo locale che affaccia sul portone e va a controllare che sia tutto a posto. Esce, dunque, e l’altra stranezza che nota è la pattumiera, abbandonata all’ingresso. Suo marito, invece, quando spazzava e i pavimenti dell’edificio, se ne portava dietro due, sempre insieme.

Pochi passi ancora e la signora Onorina trasecola. Alberto Muraro, suo marito, ex carabiniere e poi portinaio di quello stabile, giace in fondo alla tromba dell’ascensore. E la donna capisce subito che è morto dopo essere volato da chissà quanti metri. «Ecco, è successo, Alberto l’aveva detto». È vero. La morte di Alberto Muraro è una profezia che si avvera. Solo qualche giorno prima si era confidato con un amico. «Va a finire che mi troverete precipitato dentro la tromba dell’ascensore o delle scale dopo che mi hanno dato una legnata in testa». Anche la legnata fa parte della profezia avveratasi perché la botta c’è davvero e non nel punto in cui il capo ha impattato con il pavimento.

Ma chi può voler morto un uomo tranquillo che, congedatosi dalla vita militare, si ritira a fare un lavoro certo faticoso, ma in genere privo di avventure? Alberto Muraro non è solo un portinaio, è anche un testimone. L’unico testimone di un fatto all’apparenza banale, ma che avrebbe forse potuto cambiare il corso degli anni a seguire, quelli che vanno sotto la definizione di strategia della tensione.

Due giorni dopo la sua morte, il 15 settembre 1969, avrebbe infatti dovuto presentarsi al procuratore della Repubblica di Padova, Aldo Fais, per raccontare di nuovo l’episodio a cui aveva assistito. Risaliva al 16 giugno precedente. Verso le 7 di sera, mentre Muraro era seduto in guardiola, di fronte a lui era passato un giovane. Entrava e con fare disinvolto, come se conoscesse l’edificio, si era diretto verso i piani superiori. Proprio perché sembrava conoscere la sua destinazione, il portinaio non l’aveva fermato e forse non si sarebbe nemmeno ricordato di lui se non fosse stato per la camicia a fiori che il ragazzo indossava senza giacca. Tre quarti d’ora dopo circa lo aveva visto di nuovo. Stava uscendo, questa volta, e in mano teneva un pacco avvolto nella carta.
Continue reading

Nato, colpito e affondato: la fine del Francesco Padre

Standard

Nato: colpito e affondatoLa storia raccontata è quella di cinque uomini, un cane e un peschereccio che il 4 novembre 1994 finiscono in fondo al mar Adriatico. Ancora oggi (con l’eccezione del corpo di un solo membro dell’equipaggio) giacciono sul fondale, a 247 metri di profondità, ma andare a recuperarne i resti risulterebbe troppo costoso per la collettività, dicono i magistrati, e dunque occorre accontentarsi. Gli inquirenti si sono fatti bastare perizie discutibili, smentite da successive valutazioni. Si deve allora accettare l’archiviazione del caso?

Sulla sorte del motopesca Francesco Padre e del suo equipaggio, partiti da Molfetta e mai più tornati, c’è chi ha deciso di continuare a parlare. Lo fa il giornalista Gianni Lannes, direttore del sito Italia Terra Nostra, nel libro fresco di stampa Nato: colpito e affondato (Edizioni La Meridiana, collana Passaggi. Clicca qui per sfogliare il libro) che esce con prefazione di Andrea Purgatori.

Lannes, che a lungo ha lavorato su questa vicenda scrivendone per L’Unità e La Stampa, smonta la versione ufficiale, secondo la quale sull’imbarcazione era stato portato dell’esplosivo. Lo fa raccogliendo documentazione, testimonianze e interviste in base alle quali si profila un’ipotesi da Ustica bis: un’azione di guerra partita dalle navi Nato che solcavano (e solcano) i mari italiani.
Continue reading

Uno bianca: una ferita che a cicli costanti si riapre

Standard

Monumento in memoria delle vittime della banda della Uno biancaIl 13 ottobre è il giorno in cui vengono ricordate le vittime delle banda della Uno Bianca. Oggi, alle 15.30, presso i giardini bolognesi di via Lenin-Populonia, ci sarà la cerimonia di commemorazione. In merito alla recente vicenda di Fabio Savi, lo sciopero della fame iniziato a fine agosto è stato interrotto qualche giorno fa, dopo il trasferimento dall’ospedale di Voghera a un nosocomio di Milano.

Nell’agosto 2006, a pochi giorni dall’indulto, un ergastolano, Roberto Savi, chiese la grazia. Aveva scontato meno di 12 anni per l’omicidio di 24 persone e il ferimento di 102. Poche settimane fa un altro ergastolano, Fabio Savi, fratello di Roberto, ha chiesto una cella singola, il trasferimento a Firenze per avvicinarsi alla moglie e la detenzione in un carcere non di massima sicurezza. Per raggiungere il suo scopo, inizia lo sciopero della fame ed è ricoverato in via prudenziale all’ospedale di Voghera, la città presso cui si trova l’istituto di pena nel quale è rinchiuso.

Per quanto meno clamorose rispetto alle pretese di Roberto Savi, anche quelle di Fabio hanno suscitato polemiche perché riportano l’attenzione su una delle più sanguinarie vicende criminali di questo Paese: quella della banda della Uno bianca. Per comprenderne si inizi dai numeri. C’è una banda composta da sei persone: Roberto, Fabio e Alberto Savi, Luca Vallicelli, Marino Occhipinti e Pietro Gugliotta, scarcerato per fine pena nell’agosto 2008. Cinque sono poliziotti e compiono 103 incursioni, ma tante le volte in cui i banditi tornano a casa a mani vuote.

Anni di errori e depistaggi

Oggi è certo che in quegli anni ci fu chi non seppe guardare nella direzione corretta: ci fu chi indagò su clan di catanesi, bande delle Regate e delle Coop o neonate organizzazioni criminali, come l’inesistente quinta mafia bolognese. Non mancarono nemmeno conflitti di competenza, difetti di coordinamento tra procure, personalismi e carrierismo.
Continue reading

Bizzarri “Valori” che avvicinano cappucci e compagni

Standard

P2 walk this wayRoberto Vignoli, collaboratore di Micromega online e ancor prima mente di InformationGuerrilla.org (mente così pungente da “aggiudicarsi” prima gli strali di Edward Luttwak e poi la schedatura del Sismi ai tempi di Pio Pompa, insieme ad alcune altre realtà dell’informazione italiana, come Nuovi Mondi Media e La Voce delle Voci), non perde il vizio di segnalare fattacci della politica italiana. Come questo, rapido resoconto dell’amicizia tra Oliviero Diliberto e Giancarlo Elia Valori, che è corretto – seppur riduttivo – definire piduista (si dia un po’ un’occhiata a questo articolo prima che diventi illegale e/o che l’oblio sia imposto per legge).

I distesi rapporti tra i due erano fatto noto già da un po’ di tempo, almeno fin dall’esplusione di Marco Rizzo dal suo partito, decretata ufficialmente per aver tenuto “comportamenti ostili” all’interno del Pdci in favore dell’Italia dei Valori. Di fatto, Rizzo aveva anche fatto altro. Come indire una conferenza stampa in cui diceva (in pdf) chiaro che qualche piduista era tra loro. E se in questo fatto non ci sarebbe oggi nulla di penalmente rilevante (anche perché Luigi De Magistris non da potuto finire con Why Not e dunque nemmeno con Valori), sta di fatto che l’etica in politica non è – o non dovrebbe essere – argomento che riguarda sempre e solo gli altri. Si veda infatti un ritratto del personaggio di cui sopra, L’ultimo potere forte, tracciato da Gianni Barbacetto nel 2000 per il Diario della Settimana e riproposto da Società Civile.

I rifiuti campani raccontati dalla “Voce delle voci”

Standard

La Vittoria con Letizia raccontata da Rita Pennarola del mensile La voce delle voci. Che, a fronte di questo nuovo articolo, non solo i giornalisti della rivista napoletana a tiratura nazionale se la devono vedere con le citazioni in sede penale e civile, ma tornano pure ai tempi bui delle intimidazioni telefoniche per aver scritto che:

Nessuno ha saputo spiegare dove siano poi finite le tonnellate di spazzatura rimosse con le ruspe come dopo un terremoto. Di sicuro si sa che l’intero settore in Campania e’ da tempo monopolio di imprese subappaltatrici controllate dai clan. Gia’, la camorra. E stato detto che la Napoli in fiamme di inizio 2008 era l’ultimo atto del bracco di ferro fra i poteri criminalita le popolazioni quanto si vuole, ma di sicuro sta gia’ sottraendo alla malavita organizzata buona parte di quel business da 600 milioni l’anno. Quale fu il prezzo vero della resa? Chi conosce quelle logiche, oggi vede fra le righe del risultato elettorale il patto segreto sotteso alla “magica” sparizione dei rifiuti dalle strade. Un anno dopo l’epocale “operazione pulizia” messa in campo a Napoli, il centrodestra passa e raccoglie il plebiscito, in Campania come altrove, conquista quindici Province, piazza amministratori fidati nei gangli della cosa pubblica locale.