Davide Cervia: il ministero della Difesa condannato per aver negato il diritto alla verità

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Davide Cervia

Ancora una volta, dobbiamo tornare molto indietro nel tempo per raccontare la storia di Davide Cervia. Era il 12 settembre 1990, intorno alle 17, quando l’uomo uscì dal lavoro presso la Enertecnel Sud di Ariccia, provincia di Roma salutò un collega, e si mise in macchina, una Volkswagen Golf bianca, per scomparire per sempre.

A casa, una villetta alla periferia di Velletri, ad attenderlo c’erano la moglie, Marisa Gentile, e i due figli, Erika, 6 anni, e Daniele, 4. Soprattutto Erika lo aspettava con particolare ansia perché proprio quel giorno aveva imparato ad andare in bicicletta senza le rotelle e non vedeva l’ora di dimostrarlo a suo padre.

Ma di Davide Cervia nessuna traccia. Non negli ospedali, a casa di amici e colleghi e nemmeno altrove. E allora, fin dal giorno successivo, dopo l’arrivo di una telefonata muta verso l’ora di pranzo e un’altra, identica, il 14 settembre 1990, ecco che iniziarono a essere visti sotto un’altra luce episodi verificatisi nei mesi precedenti. Non vere e proprie intimidazioni. Ma Davide Cervia, ex sergente della marina militare, aveva manifestato l’intenzione di acquistare un fucile adducendo ragioni di sicurezza personale e familiare, dato che abitavano in una zona di campagna isolata.
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Lea Garofalo: ergastolo in primo grado ai sei accusati del delitto della testimone di giustizia

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Lea Garofalo

Dal sito del Fatto quotidiano, sei ergastoli per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone sciolta nell’acido:

Sei ergastoli per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata a Milano nel 2009, poi uccisa e sciolta nell’acido in un terreno di Monza. Lo ha deciso la Corte d’Assise di Milano che oggi ha condannato al carcere a vita l’ex compagno della donna, Carlo Cosco, e gli altri 5 imputati. Accolte integralmente le richieste del pm Marcello Tatangelo.

I giudici della Prima corte d’Assise hanno condannato Carlo Cosco e il fratello Vito a 2 anni di isolamento diurno, mentre Giuseppe Cosco, Carmine Venturino, Rosario Curcio e Massimo Sabatino a un anno di isolamento diurno. I danni patiti dalle parti civili, hanno stabilito i giudici, verranno determinati in separata sede. Come provvisionale, però, gli imputati dovranno risarcire la figlia della vittima, Denise Cosco, per 200 mila euro, e il Comune di Milano per 25 mila.

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Querelati per gli eserciti privati e condannati da un giudice di cui hanno scritto

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Kitbash Private Military Contractor - Foto di Shaun WongSe scrivi di un magistrato il cui nome compare nell’ambito di un’indagine (e non come inquirente né giudicante), c’è caso che in seguito quello stesso magistrato possa trovartelo di fronte come giudice monocratico. Se in quell’occasione sei imputato del reato di diffamazione, c’è anche caso che – malgrado gli elementi presentati a conferma della correttezza di ciò che hai scritto – finisci condannato. È quello che è accaduto un mese fa a Torre Annunziata ai giornalisti Rita Pennarola e Andrea Cinquegrani della Voce delle Voci. Ed ora due parlamentari chiedono procedure ispettive per verificare che tutto si sia svolto regolarmente. Qui il pezzo, riportato per esteso, di ciò che è accaduto.

Lo scorso 2 marzo i senatori di Italia dei Valori Elio Lannutti e Pancho Pardi hanno presentato un atto di sindacato ispettivo rivolto ai ministri della Giustizia, Angelino Alfano, e dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. Il documento riguarda la vicenda giudiziaria capitata al mensile La Voce delle Voci, i cui direttori Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola erano stati querelati per diffamazione da Giacomo Spartaco Bertoletti, socio di Roberto Gobbi nella IBSA di Genova, la società che aveva addestrato Fabrizio Quattrocchi prima della sua partenza per l’Iraq. L’articolo querelato rientrava in una serie di inchieste giornalistiche, pubblicate dalla Voce dopo la morte di Quattrocchi, che mettevano in luce il fenomeno dei contractor e degli eserciti privati sui luoghi di guerra. «Cinquegrani e Pennarola – ricordano nell’atto ispettivo Lannutti e Pardi – erano stati rinviati a giudizio senza mai essere ascoltati dalla Procura di Torre Annunziata».
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