Le frequenze della criminalità organizzata raccontate nel libro “Telecamorra” di Alessandro De Pascale

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TelecamorraÈ uscita lo scorso giugno, con la prefazione di Amato Lamberti (scomparso poco dopo la pubblicazione) e Giommaria Monti, Telecamorra di Alessandro De Pascale (Lantana Editore), un’inchiesta nata nel 2008 e che, a fronte di ciò che è emerso, ha portato la magistratura ad aprire fascicoli d’indagine:

È una storia di soldi, clan e potere, gli ingredienti di sempre quando si tratta di criminalità organizzata. Quella attiva in Campania è una vera e propria «cricca delle telecomunicazioni». Terza regione d’Italia per numero di licenze, dove si contano 77 tv e 165 radio locali registrate, la criminalità organizzata è andata da tempo all’assalto dell’etere. Dal boss iscritto alla Siae all’editore socio dei Casalesi, dall’agente neomelodico, parente del capoclan, al proprietario di una tv che offre un alibi falso al killer della camorra: nell’etere della Campania circola questo e molto di più. Le trasmissioni radio e tv sono utilizzate dai clan per inviare messaggi agli affiliati o boss durante le dirette, «onde killer» sparate a potenze non consentite o peggio completamente abusive. Frequenze rubate allo Stato, con un danno per la collettività stimato in 500 milioni di euro e rivendute con atti di compravendita falsi.

Antenne usate come armi per minacciare, pubblicità sfruttata dalle cosche per giustificare il racket delle estorsioni. Funzionari ministeriali sotto processo per presunti favoritismi e forze dell’ordine indagate perché ritenute colluse con i malfattori. Piccole tv di quartiere diventate in pochi anni grandi gruppi editoriali regionali, ora accusate di aver fatto il salto di qualità grazie alle rapine. In ballo ci sono contributi pubblici per 12 milioni di euro l’anno, centinaia di spot elettorali utilizzati per ottenere protezioni politiche, ma anche il controllo del settore dell’informazione e la gestione dei posti di lavoro dell’indotto a cui si aggiunge l’esercito di cantanti neomelodici e sedicenti maghi. Un’illegalità diffusa e tollerata per anni nonostante le numerose denunce presentate alla magistratura e oggetto di un’inchiesta.

(Via Vittorio Pasteris)

Il Fatto Quotidiano: l’esercito in Campania, la finanza al nord. Gli affari di “capastorta” Zagaria in Emilia

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Arresto di Michele ZagariaAnche in Emilia Romagna viene considerato il “re del mattone” essendo considerato qui, dalla Dda di Bologna e dai più recenti rapporti di Dia e Dna, un raìs del ciclo del cemento. Ampia la fetta della regione in cui Michele Zagaria, direttamente o per interposta persona, si è mosso. E questa fetta comprende la Romagna per arrivare fino a Modena a Parma. Qui, per esempio, ci si ricorda ancora di quella volta che Capastorta, il soprannome del boss della camorra, doveva acquistare un immobile e, allo scadere dell’orario di apertura delle banche, riuscì a mettere insieme mezzo milione di euro sull’unghia.

Con la città ducale, aveva quasi finito per “uscire a parenti” tanto che il fratello di Michele Zagaria, Pasquale, aveva sposato la figliastra di Sergio Bazzini, un imprenditore emiliano attivo, oltre che nella provincia di Parma, anche in quelle di Milano e Cremona. Condannato a 3 anni e quattro mesi per associazione a delinquere di stampo camorristico (facendo registrare un record: uno dei primi settentrionali a finire nelle maglie della giustizia per 416 bis), era stato ritenuto una testa di ponte in loco. Compito suo sarebbe stato quello curare gli interessi del clan in due regioni strategiche del nord, Emilia Romagna e Lombardia. In particolare si ritiene che qui fossero stati reinvestiti i milioni di euro, frutto di attività illegali come il narcotraffico, le estorsioni e gli appalti.

La vicenda giudiziaria di Bazzini, nata dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Nicola Cangiano, è stata di recente rispolverata dalle cronache dei giornali. È accaduto solo una settimana fa scarsa, il 1 dicembre, quando Michele e il terzo rampollo della famiglia Zagaria, Carmine, entrambi già in carcere, sono stati raggiunti da una nuova ordinanza di custodia cautelare notificata anche al cugino Pasquale Fontana e l’attuale reggente del gruppo, Michele Fontana.

Continua sul Fatto Quotidiano Emilia Romagna dove è stato pubblicato anche Così i soldi da Forlì finivano alla camorra. I pm: “Sapevano bene chi favorivano”.

Mafia padana: le infiltrazioni criminali in Nord Italia raccontate da Francesco De Filippo e Paolo Moretti

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Mafia padanaFrancesco De Filippo e Paolo Moretti sono i due giornalisti che firmano un libro in uscita il prossimo 29 giugno per i tipi di Editori Riuniti (collana Report). Si intitola Mafia padana – Le infiltrazioni criminali in Nord Italia:

Profondo Nord. “Follow the money”. Segui i soldi. E le organizzazioni criminali migrano, inseguendo il denaro. Dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Campania, approdano poi ai ricchi mercati a nord di Roma. I luoghi cambiano, ma i metodi rimangono sempre gli stessi: minacce, attentati, collusioni. Francesco De Filippo e Paolo Moretti firmano questa inchiesta ad ampio respiro, che dalle riviere liguri si sposta lungo la pianura padana fino al Friuli, dipingendo ovunque uno scenario di desolante omertà, che sfocia nella connivenza di chi non denuncia per continuare ad arricchirsi con l’aiuto della ‘ndrangheta e della camorra. Dall’Expo di Milano ai cantieri autostradali, fin dove riescono ad allungarsi i tentacoli delle cosche: una nuova piovra che sta avvolgendo tutta l’Italia, pezzo dopo pezzo.

Una lettura che fa il paio con Le radici della ‘ndrangheta, già segnalata da queste parti.

Il Fatto Quotidiano: rapido 904, “un intreccio tra mafia, camorra e politica”

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La strage del Rapido 904In procura a Napoli ne sono certi. Per i pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Paolo Itri e Sergio Amato e per il procuratore aggiunto Sandro Pennasilico la strage di Natale del 23 dicembre 1984 fu targata cosa nostra. E della solidità del quadro investigativo ne è convinto anche il gip Carlo Modestino, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare notificata questa mattina in carcere al boss Toto Riina, il leader dei corleonesi accusato di essere il mandante di quella strage.

Il cui obiettivo – stando agli inquirenti partenopei – non sarebbe stato quello di “destabilizzare per stabilizzare” lo status quo politico italiano e internazionale, come nel caso della strategia della tensione degli anni Settanta. Ma avrebbe avuto un altro scopo: intimidire Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che, sulla scia del sangue versato con la cosiddetta “seconda guerra di mafia”, avevano iniziato con le attività investigative che avrebbero portato due anni più tardi al maxiprocesso di Palermo, iniziato il 10 febbraio 1986 e conclusosi il 16 dicembre 1987.

I magistrati assassinati nel 1992 non si fecero però impressionare dall’attentato del 1984 tanto che all’apertura delle udienze, nell’aula bunker dell’Ucciardone, portarono 475 imputati sui quali pendevano 438 capi di imputazione (di cui 120 per omicidio). E a sentenza, pronunciata dopo 35 giorni di camera di consiglio (e le cui motivazioni richiesero 8 mesi di lavoro a Pietro Grasso, dal 2005 procuratore nazionale antimafia), vennero comminati 19 ergastoli e migliaia di anni di carcere.
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La selva di Chiaiano, scavare e sversare. Il verbo dell’illegalità

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Ancora a proposito di rifiuti, è online il trailer del documentario La selva di Chiaiano, il parco delle sorprese realizzato da Cecilia Anesi e Giulio Rubino:

La Selva di Chiaiano è l’ultimo grande polmone verde della città di Napoli ed è parte integrante del Parco Metropolitano delle Colline. È caratteristica per la sua particolare conformazione geologica: contiene cinquantatré cave di tufo giallo napoletano, di cui una decina di grandi dimensioni, che sono oggetto dei progetti di riqualificazione ambientale voluti dall’Ente Parco […]. Ma la Selva, come altri luoghi della Campania di simile conformazione, è stata sfruttata dalla camorra prima con attività estrattiva selvaggia e poi, come appurato dalla Sezione Aerea della Guardia di Finanza nel 2008, come ricettacolo di sversamenti illeciti. Come spiega Tommaso Sodano, membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, quello delle cave è sempre stato uno dei business principali […]: si scava e quando non si può più scavare si riempie.

Per leggerne di più, si vedano gli articoli Lasciate ogni speranza (Carta del 9 aprile) e Rifiuti, a rischio l’ultimo polmone verde di Napoli (L’antefatto di 27 aprile).

“Questa corte condanna”: Spartacus, il processo ai casalesi

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Questa corte condannaPrima vennero Gomorra e il suo autore, Roberto Saviano, a concentrare l’attenzione del paese sul clan dei casalesi e sul processo Spartacus. Ora il più importante procedimento contro la camorra – e il secondo per rilevanza contro la criminalità organizzata dopo il maxi processo di Palermo del 1986-1987 – diventa un libro: la Regione Campania, infatti, investe bene il suo denaro questa volta e sostiene la pubblicazione del volume Questa corte condanna curato dai giornalisti Marcello Anselmo e Maurizio Bracci.

I quali prendono le tremilacinquecento pagine della sentenza di primo grado – confermata in appello – e la trasformano in una cronaca che entra nel dettaglio e spiega i meccanismi delle infiltrazioni camorristiche nell’economia legale, traccia profili dei capi cosca, illustra i capi di imputazione e ripercorre le strade seguite di magistrati che hanno lavorato al caso. Come Raffaello Magi, il giudice che ha scritto le motivazioni della sentenza e la cui intervista apre il volume. Il tutto passa attraverso stralci di interrogatori, intercettazioni e documenti originali che trasformano un dibattimento che era percepito – quando era percepito – come lontano e marginale. E non un momento nodale della lotta contro le mafie.
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