Piombo fuso: immagini da una guerra riprese da un freelance

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Su Peacereporter è stata pubblicata una lunga intervista realizzata da Nicola Falcinella a Stefano Savona (che già aveva girato Primavera in Kurdistan), autore del documentario Piombo fuso sull’attacco a Gaza del dicembre 2008.

Le dinamiche che nascono sono le peggiori, come nei lager e leggere I sommersi e i salvati di Primo Levi mi ha aiutato. Non si può dare la colpa a tutti i palestinesi per i discorsi e la politica di Hamas. Di certo la guerra non ha fatto che aumentare il consenso per gli estremisti […]. Per la prima volta nessuno mi ha detto di non filmare qualcosa. Sono sempre stato libero di riprendere. In giro c’ero solo io con la videocamera, è stata una guerra poco mediatizzata, la gente capiva che ero là a mie spese e a mio pericolo. All’inizio avevo qualche timore a filmare le donne velate perché so che non amano essere riprese, poi ho notato che anche loro facevano segni di vittoria con le dita e mi sono sentito più sicuro a riprenderle. Con Hamas ufficialmente non ho mai avuto nessun contatto, non mi hanno contattato né detto nulla.

Già presentato al Festival di Locarno, una versione di 52 minuti del documentario verrà mandata in onda all’interno di Doc3 giovedì 17 settembre. In rete invece non c’è ancora un trailer ufficiale, ma qualche immagine si può vedere da un servizio del Tg3.

Unknown Soldier: l’Uganda raccontata in una serie a fumetti

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Unknown SoldierSu Internazionale viene segnalata la guerra dei bambini soldato in un libro a fumetti:

Non sono molti i libri a fumetti che vengono stampati con un glossario, scrive il New York Times. Ma non sono neppure molti i libri a fumetti recensiti sul New York Times. È il caso di Unknown Soldier. La nuova serie, scritta da Joshua Dysart e disegnata da Alberto Ponticelli, raccoglie l’eredità della saga della DC Comics Universe e l’ambienta in Uganda i nostri giorni.

Il protagonista è un medico ugandese, Moses Lwanga, che torna nel suo paese devastato dalla guerra civile e deve affrontare il dramma dei bambini soldato, delle bambine ridotte in schiavitù e della crudeltà dei gruppi armati. L’undicesimo capitolo della saga, pubblicata da Vertigo, uscirà il 26 agosto negli Stati Uniti, insieme alla raccolta delle prime sei puntate. Per un prodotto ritenuto inizialmente di nicchia, le 7.500 copie vendute a giugno fanno ben sperare.

Qui il sito dedicato al fumetto, qui invece la scheda della serie e qui la pagina su Amazon. Infine una lunga recensione si può leggere su Peacereporter. Intanto, per vedere cinque tavole a titolo di anteprima, si vada su Newsarama.

Dossier di Osservatorio Balcani a un anno dal conflitto Georgia-Russia

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Un anno fa il conflitto tra Georgia e Russia. Osservatorio Balcani ripropone in un unico dossier servizi e reportage realizzati in quei giorni:

Il Caucaso dopo il 7 agosto: la crisi umanitaria, il nuovo scenario regionale e internazionale e il rischio di un confronto Russia-Stati Uniti. In questa sezione tutti i nostri articoli, interviste e analisi sul conflitto insieme alle traduzioni con il punto di vista della stampa della regione.

La fuga dalla Somalia verso uno Yemen in difficoltà

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Dalla Somalia allo Yemen, lasciandosi alle spalle un paese sempre più sprofondato nei conflitti dei signori della guerra (e probabilmente anche di altri). La storia la racconta Christian Elia (qui le sue corrispondenze per Carta) su Peacereporter. E intanto la comunità internazionale guarda (il che, considerando i risultati di Restore Hope, potrebbe essere il meno peggio, almeno se si vuole intervenire in quei termini):

L’Unione europea attende, gli Usa si dicono vigili rispetto alla situazione, l’Unione africana manda truppe di pace ma è divisa al suo interno. Nel mentre la Somalia è un inferno, dal quale migliaia di civili tentano la fuga attraverso il golfo di Aden. Le sue acque sono infestati dai pirati, ma sono questi ultimi che gestiscono il racket dei viaggi dei disperati verso la penisola arabica e non li fermeranno certo loro.

Scatti dalla Grande Guerra: e ora si cerca di ricostruirne la storia su web

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Foto dalla prima guerra mondialeIl quotidiano inglese The Indipendent pubblica un’esclusiva che arriva dagli anni della prima guerra mondiale: quasi trecento fotografie scattate a Warloy-Baillon, in Francia, probabilmente da un amatore e ritrovate poco tempo fa. Nel lungo articolo che accompagna le immagini, si racconta che probabilmente quello fu l’ultimo scatto per la maggior parte di loro: a una quindicina di chilometri dal paese, che si trova nel dipartimento della Somme, c’era il fronte che vedeva i soldati di alcune nazioni della Triplice Intesa contrapporsi agli eserciti degli imperi centrali. Una linea di fuoco che nel giro di pochi mesi – dal luglio al novembre 1916 – causò un milione di morti tra i diversi schieramenti.

Le immagini sono state conservate da due abitanti della Somme: Bernard Gardin, sessantenne con la passione per la fotografia, e Dominique Zanardi, un ristoratore della zona. I quali, ritrovate per caso le lastre, le hanno fatte restaurare e ne hanno fatto una copia digitale. Ma non hanno molte delle risposte alle domande che quelle fotografie hanno sollecitato. Neanche dopo che sono state sottoposte all’analisi di storici specializzati in quel periodo. Per esempio non si sa come si chiamasse nessuno degli uomini ritratti, sono tutti sconosciuti, e altrettanto sconosciuti sono i civili che in alcuni casi compaiono accanto a loro: bambini, a volte, oppure donne dallo sguardo intimidito. E così un redattore del giornale britannico, Jack Riley, si è rivolto ai lettori e alla rete per chiedere aiuto nel ricostruire la storia delle fotografie e dei suoi personaggi.

Afghanistan: una terra in guerra raccontata tra fotografie e fumetto

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The PhotographerFotografia e fumetto, una accanto all’altro, per raccontare la guerra. Accade nel volume uscito in questi giorni per i tipi di First Second Books dal titolo The Photographer: Into war-torn Afghanistan with Doctors Without Borders. Realizzato con le illustrazioni di Emmanuel Guibert su ispirazione delle fotografie di Didier Lefèvre, il volume viene presentato con queste parole:

Nel 1986 il fotoreporter francese accompagnò un gruppo di Medici Senza Frontiere (MSF) in un viaggio nell’Afghanistan della guerra contro l’Unione Sovietica. [Lefèvre] era al suo primo incarico e documentò con i suoi scatti il loro percorso da Peshawar, in Pakistan, attraverso la catena montuosa dell’Hindu Kush. La carovana si componeva di centoventi muli, venti cavalli e quaranta guardie armate. Un mulo cadde nel ghiaccio e venne salvato; uno stalliere fu più sfortunato e si perse durante una marcia notturna. Quando arrivarono a destinazione, nella valle di Yaftal, nell’Afghanistan settentrionale, MSF insediò qui un ospedale con un porticato antistante che serviva come moschea e pronto soccorso. Il primo paziente fu un ragazzino con un’ustione al piede causata dal forno per il pane con cui lavorava, una ferita comune in Afghanistan.

Online è possibile trovare un estratto di sedici pagine del libro mentre qui il sito ufficiale del reportage (in francese) e qui invece l’evento realizzato con la collaborazione di Medici Senza Frontiere.

Somalia: i profughi in Kenya visti da Human Rights Watch

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Adotta una crisi dimenticataPer tornare alle crisi dimenticate. Si intitola From Horror to Hopelessness: Kenya’s Forgotten Somali Refugee Crisis (file pdf) ed è datato 30 marzo 2009 il rapporto con cui l’ONG Human Rights Watch fa il punto sulla situazione della popolazione civile in Somalia e sulla fuga dei profughi verso il confinante stato dell’Africa orientale. Lo segnala Peacereporter appena sotto una serie di aggiornamenti dall’Aquila.

Venendo al documento sulla Somalia, si tratta di una serie di interviste fatte nei campi dei rifugiati a Dadaab (dove la popolazione accolta aumenta del 15 per cento all’anno circa), nel nord est del Kenya, con l’ausilio di interpreti, operatori sociali e di organizzazioni non governative del luogo e internazionali. Vi si fa poi un punto sui flussi dei profughi (260 mila solo lungo le linee di confine), che danno luogo a estese emergenze umanitarie, sulle richieste di asilo politico (80 mila dal gennaio 2007, quando il Kenya ha chiuso le frontiere) e sui conflitti che nascono nel momento in cui si tenta di entrare nel paese (dall’inizio dell’anno a oggi ci sono stati vari conflitti a fuoco con la polizia keniota, senza contare le infami condizioni di detenzione per chi viene accusato di immigrazione illegale). Malgrado la lontananza geografica da queste aree, fa notare Peacereporter per quanto riguarda l’Italia:

È stato pubblicato nei giorni scorsi dal Unhcr un report sulle richieste di asilo politico in cui si nota che nel 2008 i richiedenti […] sono più che raddoppiati rispetto all’anno precendente. Un altro dato che emerge […] è che i somali sono al secondo posto […], secondi solo agli iracheni. Circa il 75 per cento delle persone che attraversano il Mediterraneo e arrivano sulle coste italiane chiedono l’asilo politico. La vigente normativa europea prevede che il primo paese raggiunto dal richiedente di asilo ne assuma la responsabilità.

Per ulteriori informazioni si veda ciò che pubblica su CrisiDimenticate.it di Medici senza frontiere e i vari aggiornamenti sul sito istituzionale.

Jasmina Tešanović: a un decennio dai bombardamenti della Nato

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NATO bombing during the War in 1999 - Photo by Jaime SilvaJasmina Tešanović, l’autrice (tra l’altro) dello splendido Processo agli scorpioni, racconto tra il giornalistico e il militante sul massacro di Srebrenica del 1995, viene ospitata da BoingBoing.net con il suo 10 years after Nato bombings of Serbia. Che inizia il 26 marzo 1995, alle cinque del pomeriggio, scrivendo:

Spero che sopravviveremo tutti a questa guerra, a queste bombe: i serbi, gli albanesi, i ragazzi cattivi e quelli buoni, coloro che imbracciarono le armi e coloro che invece disertarono, i rifugiati che si aggirano per le foreste del Kosovo e i rifugiati di Belgrado che se ne vanno per le strade tenendo in braccio i loro figli, alla ricerca di ripari che non esistono quando iniziano a suonare gli allarmi antiaerei. Spero che i piloti della Nato non abbandonino mogli e bambini che vedo piangere alla Cnn mentre i loro mariti e padri decollano verso gli obiettivi militari serbi. Spero che sopravviveremo tutti ma non in un mondo del genere. Spero che riusciremo a rompere il muro delle parole che lo chiamano democrazia e dittatura. Quando i membri del Congresso americano stimano 20 mila morti civili tra i serbi dicendo che si tratta di un piccolo prezzo da pagare per la pace in Kosovo o il presidente Clinton dichiara di mirare a un’Europa liberata […] o il presidente serbo Milutinovic annuncia una guerra senza quartiere, penso sempre che tutti questi individui stanno parlando del mio sangue e non del loro.

Dalla Serbia un horror tra fantasia e realtà dei disastri ecologici

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Zone of the DeadRispetto a quanto scritto spesso e con l’eccezione del film La Polveriera di Goran Paskaljevic, una notizia giunge via Horror – Riflessi di paura a proposito della produzione di Zone of the Dead (“Zona mrtvih” il titolo originale), pellicola in sapore di creature che tornano realizzata da due registi balcanici, Milan Konjevic e Milan Todorovic. Nelle sale ci sarà a partire dal prossimo 22 febbraio e da qualche giorno su Youtube in forma di trailer, questa la presentazione del film:

Nella cittadina industriale di Pancevo, dopo un incidente alla stazione ferroviaria, una pericolosissima tossina biochimica si disperde nell’aria nel mezzo della notte, avvelenando gli abitanti del posto e ricoprendo presto l’intera città. Nel frattempo gli agenti dell’Interpol Mortimer Reyes e Mina Milius stanno supervisionando il trasporto armato di un pericoloso criminale insieme a Dragan Vukovic, un esperto detective diretto a Belgrado per ricoprire un innocuo incarico d’ufficio. Il loro convoglio si ritrova a passare per Pancevo, dove incontrerà un disastro ecologico di enormi dimensioni e decine di migliaia di abitanti infetti ormai tramutati in zombie affamati di carne umana. Sopraffatti dal numero dei loro aggressori e disperatamente alla ricerca di un modo per fuggire ancora vivi dalla città, a Mortimer Mina e Dragan non resterà che allearsi col criminale che stanno scortando, l’unico che sembra poterli aiutare.

Sarà interessante mettere a confronto la città a pochi chilometri da Belgrado ritratta in questo film con quella raccontata per esempio da Aleksandar Zograf, giornalista e fumettista serbo che Pancevo e la Serbia l’ha narrata spesso nei suoi libri, dalle colonne di Vreme o sulle strisce tradotte e pubblicate da Osservatorio Balcani. Una città, Pancevo, che il disastro ecologico – e non per finta – lo conosce bene così come diverse altre località della ex Jugoslavia (si veda per esempio il caso della Zastava a Kragujevac). Tornando al film, sono stati pubblicati tre video con il backstage: qui 1, 2 e 3.

“Se mi trovassi a New York non fumerei, ma tanto qui tutto uccide”

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Il problema è questo: nessuno ricorda niente. Mi pare chiaro che avete bisogno di un’altra guerra.

Da La polveriera (titolo originale Bure baruta) di Goran Paskaljevic:

La polveriera è una delle poche pellicole che si siano occupate della situazione della Serbia di questi anni. Il film acquista un significato ulteriore alla luce dei recenti avvenimenti, possiede una carica molto forte che lascia il segno negli spettatori. Si tratta di brevi storie, più o meno violente e concatenate fra loro, tutte di scena a Belgrado, in una sola metaforica notte che non accenna ancora a terminare. Secchi, taglienti, esplosivi sono gli incroci furenti de La polveriera, che celebra sarcasticamente il vuoto pneumatico di una Belgrado satura di profughi, prosciugata dal regime di Milosevic, dall’embargo, dalle tensioni etniche e politiche, dalla Bosnia e dal Kosovo e dagli effetti della guerra e dei suoi profittatori. Paskaljevic, mette in scena le eccentriche traiettorie di personaggi sfuggiti ad ogni controllo: volti ghignanti, ringhiosi o tristi che brindano alla violenza crudele dell’instabilità a colpi di humour nero. Pensare che Belgrado, una volta, era la città più attiva culturalmente, tra quelle della ex Jugoslavia.