“In fuga dalla Siria”: reportage fotografico dalla Valle della Beqaa, il nord del Libano che sta accogliendo i profughi

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In fuga dalla Siria

Internazionale pubblica il reportage fotografico In fuga dalla Siria realizzato per Oxfam da Luca Sola:

Il conflitto in Siria ha raggiunto “livelli di orrore senza precedenti”, secondo l’inviato dell’Onu Lakhdar Brahimi. La dichiarazione di Brahimi, rilasciata il 30 gennaio, è arrivata poche ore dopo il ritrovamento di almeno 71 corpi sul fondo del fiume Quwaiq, ad Aleppo. Dall’inizio del conflitto siriano, secondo l’Onu, ci sono stati almeno 60 mila morti e 700 mila rifugiati.

Il fotografo Luca Sola è andato nella Valle della Beqaa, nel nordest del Libano, per raccontare la vita dei profughi arrivati dalla Siria. Persone che spesso sono state costrette a lasciare i figli e i parenti nel loro paese d’origine.

Sul sito del settimanale c’è l’intero portfolio.

La speranza in fondo al mare: i fantasmi che affogano senza nome e senza patria

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Domani di Maurizio ChiericiUmberto Bossi l’aveva detto nel suo idioma, fuori dalle palle. E lo sono i 250 migranti morti nella notte tra il 5 e il 6 aprile scorsi quando si è rovesciato il barcone con cui stavano cercando di raggiungere le coste italiane. Venivano dal Corno d’Africa. Etiopi, somali e tra loro era rappresentata qualche altra etnia dell’Africa nera. Il nostro governo, però, fa le condoglianze alla Tunisia. Che tanto è lo stesso, una nazionalità vale l’altra. Quasi fossimo tornati ai tempi di una faccia, una razza. Senza quasi, forse. E il rammarico per la nuova sciagura del mare deve essere un en passant dato che intanto il capo del governo annuncia ai suoi ministri che ha cambiato idea. Era stato affrettato nello scegliere su Internet la sua residenza lampedusana, probabilmente troppo vicina all’aeroporto e dunque fastidiosa, con tutto quel lavoro. Aggiunge, ai suoi uomini dell’esecutivo, che ne troverà un’altra e che li terrà informati. Perché qui si lavora, mica storie.

Dall’inizio dell’anno, gli arrivi in Italia sono stati 25.800, afferma il ministero degli Interni. E sono 800 i morti, da gennaio a oggi. Gente senza nome, considerata anche senza dignità. Infestatori delle coste italiane, candidati a infestare anche il resto del territorio. Non importa se stanno in un centro di identificazione oppure se in un campo profughi. Figurarsi poi se affittano una casa, magari in edilizia popolare. Meglio che finiscano in fondo al mare, per l’Italia e il suo governo. E magari anche per l’Europa, che a livello comunitario ogni tanto interviene con proclami di circostanza e a livello giornalistico sorvola sulle vittime.

E un po’ come accade per la (interrotta) “emergenza” fisica generata dagli arrivi, tutto sembra legato all’attualità (solo della penisola). Una notizia d’agenzia o da telegiornale che smette di essere reale una volta terminato il take o il servizio. Eppure, guardando agli ultimi trent’anni, sono stati innumerevoli i fatti assolutamente simili a quelli che si verificano in queste settimane.
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Somalia: i profughi in Kenya visti da Human Rights Watch

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Adotta una crisi dimenticataPer tornare alle crisi dimenticate. Si intitola From Horror to Hopelessness: Kenya’s Forgotten Somali Refugee Crisis (file pdf) ed è datato 30 marzo 2009 il rapporto con cui l’ONG Human Rights Watch fa il punto sulla situazione della popolazione civile in Somalia e sulla fuga dei profughi verso il confinante stato dell’Africa orientale. Lo segnala Peacereporter appena sotto una serie di aggiornamenti dall’Aquila.

Venendo al documento sulla Somalia, si tratta di una serie di interviste fatte nei campi dei rifugiati a Dadaab (dove la popolazione accolta aumenta del 15 per cento all’anno circa), nel nord est del Kenya, con l’ausilio di interpreti, operatori sociali e di organizzazioni non governative del luogo e internazionali. Vi si fa poi un punto sui flussi dei profughi (260 mila solo lungo le linee di confine), che danno luogo a estese emergenze umanitarie, sulle richieste di asilo politico (80 mila dal gennaio 2007, quando il Kenya ha chiuso le frontiere) e sui conflitti che nascono nel momento in cui si tenta di entrare nel paese (dall’inizio dell’anno a oggi ci sono stati vari conflitti a fuoco con la polizia keniota, senza contare le infami condizioni di detenzione per chi viene accusato di immigrazione illegale). Malgrado la lontananza geografica da queste aree, fa notare Peacereporter per quanto riguarda l’Italia:

È stato pubblicato nei giorni scorsi dal Unhcr un report sulle richieste di asilo politico in cui si nota che nel 2008 i richiedenti […] sono più che raddoppiati rispetto all’anno precendente. Un altro dato che emerge […] è che i somali sono al secondo posto […], secondi solo agli iracheni. Circa il 75 per cento delle persone che attraversano il Mediterraneo e arrivano sulle coste italiane chiedono l’asilo politico. La vigente normativa europea prevede che il primo paese raggiunto dal richiedente di asilo ne assuma la responsabilità.

Per ulteriori informazioni si veda ciò che pubblica su CrisiDimenticate.it di Medici senza frontiere e i vari aggiornamenti sul sito istituzionale.