Gaza, l’ipotesi del fosforo bianco e i precedenti

Standard
  • Sheera Frenkel e Michael Evans su Carmilla, Il Times: Israele bombarda Gaza con fosforo bianco. La BBC: lo fece già in Libano:

    Riportiamo due articoli e un video. Il primo articolo è la traduzione della notizia data oggi dal Times, secondo cui bombe al fosforo bianco sono state utilizzate a Gaza City. L’ipotesi, basata su un’analisi di immagini dell’attuale guerra mossa da Israele su Gaza, appare in queste ore sui media di tutto il mondo. Non si tratta di un’ipotesi peregrina, se consideriamo il secondo articolo che pubblichiamo in traduzione: si tratta della notizia data dalla BBC sull’ammissione da parte di Israele, la prima nella sua storia, di avere utilizzato fosforo bianco nella guerra in Libano (qui la versione video della notizia data da “Democracy Now!”). La notizia, che ebbe risalto internazionale, non sortì il medesimo clamore in Italia. Il video proposto in calce, infine, surrogherebbe l’ipotesi dell’utilizzo di fosforo bianco a Gaza. Il fosforo bianco è bandito come arma in luoghi popolati dal Trattato di Ginevra. Qui, una descrizione dei suoi devastanti effetti.

Global Voices e il racconto dei fatti mediorientali

Standard

Global Voices OnlineDel ruolo che Global Voices si sta sempre più guadagnando ne ha parlato a più riprese Bernardo Parrella. E se di ulteriore conferma ce ne fosse bisogno, è sufficiente dare un’occhiata alla copertura del progetto di giornalismo partecipativo a proposto dei recenti accadimenti che hanno riguardato Palestina e Israele. Lo stesso dicasi per la versione localizzata in italiano di GV, di cui Bernardo è coordinatore. Per rimanere aggiornato con (anche) ciò che viene scritto da voci al di fuori dei grandi network o dalle testate d’informazione, dunque, si può seguire la sezione Medioriente e Nord Africa e i feed del progetto.

Serbia, il grande malato d’Europa nelle parole di Peacereporter

Standard

Mentre in Medioriente la sproporzione è la misura e la Somalia precipita ancora, e mentre a fine gennaio sarà in libreria e in rete un libro in tema a cui tengo moltissimo – Processo agli scorpioni di Jasmina Tesanovic -, PeaceReporter pubblica un reportage di Christian Elia sul grande malato d’Europa. Sarebbe a dire la Serbia, un paese del quale si cerca di comprenderne il presente e intuirne il futuro in un momento in cui l’attenzione verso i Balcani è più focalizzata sul processo di indipendenza del Kosovo.

Le foglie cadono, nel gelo che c’è fuori. “A mio avviso gli anni di Tito possono essere paragonati a un film di Fellini”, osserva Blaz, che veglia sulla tomba del maresciallo. “Se uno non ha gli strumenti culturali per leggere l’aspetto più profondo del film del grande maestro italiano, ne coglierà solo l’aspetto esteriore, a tratti incomprensibile. Ma è nel senso profondo che bisogna perdersi, se si vuole cogliere davvero l’idea del maresciallo: eliminare le divisioni lavorando tutti verso uno stesso progetto. Costruire una società nuova e un uomo nuovo. Non è andata così, anche per colpe dello stesso Tito. Ma quando arriva il 4 maggio, anniversario della sua morte, qui vengono tanti ragazzi, alcuni ancora a piedi, come si usava un tempo. Rendono omaggio a un uomo che, con tutte le sue contraddizioni, è riuscito a tenere assieme quello che è andato distrutto”.
Continue reading

L’architettura della decolonizzazione: un progetto e una mostra

Standard

Decolonizing ArchitectureDecolonizing Architecture è una mostra che si tiene fino al prossimo 4 aprile a Bruxelles presso il Bozar Expo, ma è anche un progetto multidisciplinare che, partendo da teatri di guerra, come i territori occupati, si pone una domanda: come convertire le strutture create a fini bellici per scopi sociali e di utilizzo civile? Wordchanging ne fa un panoramica approfondita mentre qui c’è la guida della mostra (attenzione: file pdf da 19 MB) con fotografie, progetti, plastici e attività operative in loco.

Shooting War: graphic novel sull’Iraq tradotta in italiano

Standard

Shooting WarQualche mese fa si era parlato dell’uscita negli Stati Uniti del romanzo a fumetti Shooting War, nato in rete (guadagnandosi in questa veste una nomination all’Eisner Award) dalla penna di Anthony Lappé e Dan Goldman e diventato un libro per i tipi della Grand Central Publishing.

Poche settimane più tardi (in ottobre), nella traduzione di Massimo Gardella, la graphic novel è diventata anche un volume in italiano edito da ISBN Edizioni. Qui la scheda del libro, che racconta di conflitti, estremismi su tutti i fronti in lotta e web:

Agosto 2011, Stati Uniti: l’America di McCain è sotto assedio, gli attacchi terroristici si moltiplicano, la guerra in Iraq non accenna a finire. I media sono assetati di sangue, la caccia all’esclusiva è sempre più brutale. Un blogger di sinistra viene arruolato da un’emittente tv e diventa corrispondente embedded a Bagdhad, dove sta emergendo una nuova formazione terroristica riformista: anticapitalista, antiamericana ma anche contraria al terrorismo islamico tradizionale, considerato “reazionario”. Un suo filmato di una spietata esecuzione di una donna inerme finirà su youtube e cambierà il corso della storia americana. La guerra ti risucchia, la morte ti insegue e non capisci più se sei tu a cercare la notizia o è lei a perseguitarti. Un reportage a fumetti dal prossimissimo futuro che non vorremmo mai vedere.

Efficace nelle immagini (che mescolano illustrazioni con scatti fotografici), incalzante nel ritmo, è sicuramente una lettura che aiuta a guardare da un’ulteriore prospettiva gli scontri armati che si consumano in Medio Oriente e le conseguenti manipolazioni delle informazioni.

AestOvest: storia, memoria e attualità di un’area di confine

Standard

AestOvestAestOvest – Storia, memoria e attualità di un’area di confine è un progetto didattico (online e su DVD) ideato dal laboratorio culturale e informativo Osservatorio Balcani per presentare quanto avvenuto lungo una linea divisoria che nel tempo si è spostata. Tre i moduli su cui si struttura questo lavoro: storico, che va dal XIX secolo ai giorni nostri; geografico, che comprende anche i luoghi della memoria dell’alto Adriatico; demografico, che ricostruisce il mosaico umano e linguistico di una zona più che eterogenea, da questo punto di vista. Accanto al progetto didattico, poi, è stata creata un’omonima sezione del sito in quattro lingue (oltre che italiano, si trovano le traduzioni in inglese, sloveno e croato) che si presenta in questi termini:

Promuovere una memoria condivisa sui drammatici eventi avvenuti lungo il precedente confine italo-jugoslavo significa stabilire insieme ai nuovi e ai futuri stati membri dell’UE uno spazio culturale e politico comune, basato su una cittadinanza europea inclusiva preparata a un futuro transnazionale comune.

Democracy now: sistemi non convenzionali di interrogare in Iraq

Standard

How to Break a TerroristHow to Break a Terrorist: The U.S. Interrogators Who Used Brains, Not Brutality, to Take Down the Deadliest Man in Iraq è un libro segnatato da Democracy now (ripreso poi da BoingBoing) e scritto da Matthew Alexander, pseudonimo sotto cui si firma un ex “addetto” agli interrogatori dell’esercito statunitense, e dallo studioso di storia militare John Bruning per raccontare la caccia e l’eliminazione di Abu Musab Al Zarqawi. Definita una “stranger-than-fiction story of the intelligence operation”, la vicenda, uscita all’inizio di questo mese per Free Press di Simon & Schuster, viene presentata in questi termini dal Time:

It’s a claustrophobic read. Alexander didn’t do anything for months but eat, sleep and interrogate prisoners. Many of the book’s scenes take place in interview booths—Alexander, his partner, an interpreter and the bad guy. It’s often gripping, as the participants volley back and forth with verbal attacks, strategies and approaches, making for a surprisingly cerebral war book. That tight focus does, however, leave large gaps. Alexander scarcely discusses the theories behind his interrogation strategy, its derivation or whether the U.S. military continues to use it. Such things are forgotten as the book winds down into a tense one-on-one with the man who can potentially hand over al-Zarqawi, but a fuller epilogue could have broadened the story beyond this single set of circumstances.

Oltre all’intervista di Democracy now, qui si può ascoltare l’mp3 con l’intervista ad Alexander messa online da Antiwar Radio.

Trasferimenti di sospetti terroristi: un’indagine su patto Aznar-Bush

Standard
  • Peacereporter, Aperta inchiesta su ‘patto’ tra Aznar e Cia sui voli segreti:

    Il governo socialista spagnolo e l’Audiencia Nacional (tribunale speciale antiterrorismo) apriranno un’inchiesta sul patto segreto raggiunto nel 2002 dall’ex premier José María Aznar con il presidente uscente degli Stati Uniti, George Bush, per il trasferimento di presunti terroristi nella base militare Usa di Guantanamo, a Cuba. Lo ha annunciato ieri il ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos, in seguito alla pubblicazione sul quotidiano “El Pais” dei documenti relativi all’accordo tra Aznar e Bush. “Stiamo indagando sull’intera vicenda”, ha affermato Moratinos, negando di essere a conoscenza dei documenti pubblicati ieri, “e al termine dell’inchiesta offriremo alla giustizia e all’Audiencia nacional tutta la nostra collaborazione”. Un portavoce degli Esteri, nel frattempo, ha segnalato che ancora non sarebbe stato individuato il rapporto incriminato in cui il direttore generale della Politica estera per l’America del Nord, Miguel Aguirre de Carcer, racconta dell’incontro avvenuto nel gennaio 2002 tra l’allora ministro, Josep Piqué, e il consigliere politico-militare dell’ambasciata Usa. Durante quell’incontro, il funzionario statunitense aveva chiesto a Piqué l’autorizzazione ad utilizzare scali militari spagnoli per il trasferimento dei presunti terroristi dall’Afghanistan a Guantanamo. Il partito di estrema sinistra “Izquierda Unida”, da parte sua, ha chiesto invece che Moratinos e l’attuale ministra della Difesa, Carme Chacòn, rispondano dell’intera vicenda alla Camera dei deputati insieme al direttore dell’intelligence, Alberto Saiz.

Le immagine perdute di Hiroshima e il racconto della guerra

Standard

Hiroshima: The Lost PhotographsLe foto perdute di Hiroshima che ritraggono gli effetti del dopo bombardamento atomico del 6 agosto 1945. Ne riferisce nel pezzo Hiroshima: The Lost Photographs lo scrittore e documentarista Adam Harrison Levy su DesignObserver.com (che riprende un precedente articolo più breve apparso su Guardian Weekend Magazine) raccontando in partenza del ritrovamento: stipate dentro valigie che erano state buttate via come roba vecchia e scoperte da un uomo che portava il cane a fare un giretto. Detta così, sembra una storia inventata. Eppure – sostiene l’autore dell’articolo – quell’uomo esiste, è quasi un suo omonimo (si chiama Don Levy, anche se – precisa – non ci sono parentele), gestisce con la moglie una tavola calda a Watertown, un sobborgo di Boston, e con lei si chiede che fare di quelle immagini, su cui era stato scritto a mano “Hiro”. All’inizio i due coniugi non fanno nulla, ma poi decidono di seguire il consiglio di una cliente: contattare un gallerista di New York che le trasforma in una mostra senza però destare quella volta alcuna attenzione.

La storia delle immagini, prima e dopo il ritrovamento, prosegue come se fosse un’avventura che si conclude all’International Center of Photography dove sono riunite nella collezione “Hiroshima: The United States Strategic Bombing Survey Archive”. Qualunque sia, comunque, l’esatto percorso delle fotografie, scattate da un team di scienziati statunitensi nella seconda metà del settembre 1945, sei settimane dopo il bombardamento, commenta Levy (lo scrittore, non il ristoratore di Boston):

Since the invention of the camera in 1839, photography has marched in lockstep with death, especially death experienced in war. Starting with Alexander Gardener‘s and Matthew Brady‘s images of the American dead at Gettysburg, through Robert Capa‘s visceral images of the Spanish Civil War (made more immediate as a result of the camera having been freed from the restraints of the tripod), images of death and destruction have served to document war’s brutality.

Infine, sempre a proposito di immagini (questa volta di un documentario, visibile qui) sono segnalate da Luigi Milani nel post sui fatti del 18 novembre 1978 che posero fine alla confessione del Tempio del popolo, fondata dal pastore protestante James Warren Jones.

Srebrenica: novanta minuti per ricostruire un crimine di massa

Standard

A proposito di ciò che accadde a Srebrenica nel 1995 alla popolazione di religione musulmana, passata per le armi da militari e paramilitari serbo-bosniaci giudicati poi in quello che è diventato un libro intitolato Processo agli Scorpioni di Jasmina Tesanovic, Thirteen/Wnet New York ha realizzato un documentario. Si intitola Srebrenica: a cry from the grave (il video sopra è solo la prima parte), dura novanta minuti e racconta che:

In July 1995, the world’s first UN Safe Area became the site of Europe’s worst massacre since World War II. That month, the Bosnian Serb army staged a brutal takeover of the village of Srebrenica and its surrounding region, while a Dutch peacekeeping battalion of United Nations forces helplessly looked on. In the course of the destruction, Bosnian Serb soldiers separated Muslim families and systematically slaughtered more than 7,000 Muslim men in the fields and factories around the town.

As investigators continue to exhume the bodies from mass graves and the details of the tragedy continue to unfold, the killings lead us to urgent, fundamental questions. How can genocide occur, despite the presence of multiple diplomatic agencies intended to prevent such barbarity? How should the international justice system deal with this brutality? Can the horror of these despicable crimes ever be healed?