Esattamente trent’anni fa si consumava il disastro di Bhopal: il 3 dicembre 1984 ci fu infatti una fuga di liquido tossico (l’isocianato di metile) per 40 tonnellate che provocò tra i 3.800 (fonti governative) e i 15 mila morti (fonti umanitarie). Per Amnesty International, le vittime furono tre le 7 e le 10 mila e a tanto tempo di distanza la Ong ha pubblicato una petizione per chiedere al primo ministro indiano Narendra Modi la bonifica dell’area (mai avvenuta) e il riconoscimento delle responsabilità delle aziende da cui la sostanza fuoriuscì, la Union Carbide India Limited e la capofila americana Union Carbide. Questo il link per firmare e l’iniziativa fa parte delle campagne #CorriConMe – Wirte for rights.
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“Pardon Bradley Manning”: la campagna di Amnesty International perché i lettori meritano verità e gli informatori protezione
StandardPardon Bradley Manning perché l’opinione pubblica merita la verità e chi fornisce informazione deve avere protezione. È la petizione di Amnesty Internazional rivolta al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Rosarno, storie di braccianti, stranieri e caporali nella ricostruzione via Storify di Terrelibere.org
StandardTerrelibere.org sta seguendo la situazione di Rosarno raccontando la storia di arance, braccianti, stranieri e caporali. Qui una cronaca per immagini e per saperne di più si veda anche l’inchiesta multimediale realizzata sull’argomento.
Amnesty International: appello urgente per Lydia Cacho, la giornalista messicana che difende i diritti umani
StandardLydia Cacho è la giornalista di Cancun, stato messicano del Quintana Roo, che torna a essere al centro di un appello urgente di Amnesty International:
Il 29 luglio Lydia Cacho stava lavorando in casa quando la sua ricetrasmittente portatile, usata solo per le emergenze, si è accesa da sola. Pensando che potesse essere un collega di lavoro, Lydia ha risposto e ha udito una voce maschile che la chiamava per nome dicendole: “Ti abbiamo già avvertito, puttana, non si scherza con noi. È chiaro che non hai imparato dal piccolo avvertimento che hai ricevuto. Quello che succederà è che ti faremo a pezzi, è così che ti manderemo a casa, idiota.” Lydia ha presentato una denuncia formale in merito a tale minaccia al Procuratore generale della Repubblica.
Lydia Cacho ha iniziato a subire minacce e intimidazioni dopo la pubblicazione di un libro nel 2005, nel quale denunciava un circuito di pedopornografia, che operava nonostante politici e uomini d’affari dello stato di Quintana Roo e di Puebla ne fossero a conoscenza e, anzi, con la loro protezione. Dopo essere stata accusata di diffamazione e a seguito di procedimenti giudiziari irregolari, Lydia Cacho è stata arrestata, nel dicembre 2006, stata minacciata e maltrattata.
La giornalista, già meritevole nel 2007 di una nomination al premio Martin Ennals assegnato a chi difende i diritti umani, è l’autrice dei libri usciti anche in italiano I demoni del re, Memorie di un’infamia e Schiave del potere. Una mappa della tratta delle donne e delle bambine nel mondo.
Declaration of Internet freedom: per una rete (e una società) all’insegna di libertà, apertura e innovazione
StandardÈ la declaration of Internet freedom, che nel preambolo esordisce così:
Crediamo che la rete Internet libera e aperta possa portare a un mondo migliore. Per mantenerla tale, chiediamo a comunità, industrie e Paesi di riconoscere questi principi [che] conducano a maggiori creatività, innovazione e apertura sociale.
I principi sono questi:
- Espressione: nessuna censura su Internet
- Accesso: promuovere l’accesso universale a reti veloci e convenienti
- Apertura: mantenere Internet una rete aperta in cui ognuno è libero di connettersi, comunicare, scrivere, leggere, guardare, parlare, ascoltare, imparare, creare e innovare
- Innovazione: proteggere la libertà di innovare e creare senza dover chiedere permessi. Non bloccare le nuove tecnologie e non punire gli innovatori per le azioni dei propri utenti
- Privacy: proteggere la privacy e difendere la capacità di ognuno di controllare come vengono utilizzati i propri dati e i dispositivi in uso
Continua qui, dove ci sono anche le informazioni su come organizzazioni e persone singole possono sottoscrivere la dichiarazione. Lo hanno già fatto molte realtà tra cui American Civil Liberties Union, Amnesty International, Electronic Frontier Foundation, Free Press, Global Voices, Hackers & Founders, Media Literacy Project, Open Knowledge Foundation, Reporters Without Borders e molti altri.
“Pentiti di niente”: gli interrogativi su un passaporto inspiegabile
StandardGiunti a un certo punto, verso la metà del 1984, le istituzioni non possono più esimersi dal rispondere alle continue domande sul passaporto concesso a Carlo Fioroni e sulla mancata predisposizione di misure di sorveglianza dell’uomo. A prendere la parola è il sottosegretario agli interni, il democristiano veneto Marino Corder. Il quale prima definisce una “deprecabile assenza” il fatto che Fioroni non si sia presentato al processo. Poi rimbalza la responsabilità addosso a funzionari del ministero di grazia e giustizia che, su parere favorevole di tre magistrati, hanno autorizzato il rilascio di un documento valido per l’espatrio perché al tempo non venne individuata “alcuna causa ostativa”.
Giovanni Spadolini, in questo periodo ministro della difesa, ma capo del governo quando venne concesso il passaporto a Carlo Fioroni, agisce a sua volta e si rivolge al presidente del consiglio Bettino Craxi: il comitato parlamentare per la vigilanza sui servizi di sicurezza deve ricevere informazioni specifiche in merito alle norme varate il 29 marzo 1982 a tutela dei pentiti e coperte dal segreto di Stato. Il leader socialista, alla sua prima esperienza al vertice dell’esecutivo, accetta di far luce sulla vicenda Fioroni al termine di una riunione del CIIS (Comitato interministeriale per l’informazione e la sicurezza).
Ma da questa disponibilità ne scaturirà poco, malgrado le posizioni molto critiche verso il processo espresse dal senatore del garofano Luigi Covatta e da Salvo Andò, responsabile del PSI per i problemi dello Stato, secondo il quale “la sentenza 7 aprile non chiude i conti con gli anni di piombo, ma anzi li esaspera”. Le principali speranze di raccapezzarsi in una vicenda così intricata vengono riposte nella commissione parlamentare per i procedimenti d’accusa che ha aperto un fascicolo per presunte irregolarità dopo la denuncia presentata nell’aprile 1984 da Rossana Rossanda, Carla Mosca e Luigi Ferrajoli ai presidenti di Camera e Senato, Nilde Jotti e Francesco Cossiga.
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Stéphane Hessel: “Indignatevi!”. Un breve libro per dare vita a un'”insurrezione pacifica” che faccia rete
StandardPer sapere chi sia Stéphan Hessel si dia un’occhiata alla voce che parla di lui su Wikipedia.fr. Lo scorso ottobre è uscito il suo libro Indignez vous! (pubblicato dalle Indigène Editions di Montpellier) che così si presenta:
«Novantatré anni. La fine non è lontana. Che fortuna poter approfittarne per ricordare ciò che innescò il mio impegno politico: il programma elaborato settant’anni fa dal Consiglio Nazionale della Resistenza». Che fortuna potervi nutrire dell’esperienza di questo grande resistente, consolidatosi dopo le esperienze nei campi di Buchenwald e di Dora, co-redattore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1948, diventato ambasciatore di Francia e della medaglia della Legion d’onore. Per Stéphan Hessel, il «motivo di base della Resistenza era l’indignazione». Certo, le ragioni di indignarsi nel mondo complesso di oggi possono sembrare meno nette rispetto a quelle dei tempi del nazismo. Ma «cercare e troverete»: la disuguaglianza crescente tra ricchissimi e poverissimi, lo stato del pianeta, il trattamento riservato agli irregolari, agli immigrati, ai rom, la corsa per avere sempre di più, alla competizione, la dittatura dei mercati finanziari fino alla svendita delle conquiste della Resistenza, le pensioni, la sicurezza sociale… Per essere efficace occorre, oggi come ieri, agire mettendosi in rete: Attac, Amnesty, la Federazione internazionale dei diritti dell’uomo… ne sono la dimostrazione. Dunque si può credere a Stéphan Hessel e incrociare il suo cammino quando chiama a una «insurrezione pacifica» (Sylvie Crossman).
E di come questo breve libro (trentadue le pagine) si sia trasformato in un fenomeno (650 mila le copie vendute) lo si può leggere sul Fatto Quotidiano nell’articolo da Parigi di Alessandro Verani intitolato Indignatevi! E il libretto di un 93enne partigiano francese diventa un caso editoriale:
Hessel un rivoluzionario? Non proprio. E non lo è mai stato. Oggi vicino a Martine Aubry, segretario generale del Partito socialista, Hessel, un anziano monsieur pacato e sorridente, è sempre stato un intellettuale dall’animo libero, di sinistra certo, ma senza «eccessi» […]. Sì, è diventato l’idolo di tanti giovani. E si prende una sorta di rivincita personale. «Ha provocato il risveglio di un popolo, finora molto passivo», ha sottolineato il filosofo Edgar Morin, suo amico. «Ha ricordato alla sinistra che deve essere ribelle, umana e ottimista», ha sottolineato Harlem Désir, numero due del Partito socialista. Che, nel frattempo, si sta dividendo sulla candidatura delle prossime presidenziali, previste nel 2012. E appare così terribilmente lontano dalla sua base. La sinistra francese sarà capace di sfruttare l’effetto Hessel?
Il Nobel (anche) per i migranti rispediti in Libia? Ma facciano il piacere
StandardGiustamente – scrive il blog Giustizia e Libertà di Sassari – alla faccia dei premi Nobel per la pace con la costituzione di comitati ad hoc (peralto esperienza non nuova). E lo scrive riportando il comunicato di Amnesty International dopo i nuovi respingimenti di migranti verso la Libia sottolineando che:
È più che mai urgente che l’Italia si rimetta in linea con il diritto internazionale sui diritti umani, a partire dal rispetto del principio di non refoulement (non respingimento) contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951, che vieta di rinviare “in qualsiasi modo” gli esseri umani verso territori in cui sarebbero a rischio di persecuzione.
Prendere una decisione prima che una qualsiasi procedura di accertamento dello status individuale abbia luogo è una prassi che mette a rischio i richiedenti asilo e si pone in netto contrasto con questo principio. Le centinaia di persone ricondotte in Libia dall’Italia vanno incontro a una sorte incerta e le poche informazioni disponibili sulla loro identità, età e condizioni di salute non fanno che accrescere l’allarme.