Non credo nelle otto del mattino. Però esistono. Le otto del mattino sono l'incontrovertibile prova della presenza del male nel mondo ("Gli ultimi giorni", Andrew Masterson)
Ci fu depistaggio, lo scrivono i giudici. Non solo non sono stati trovati esecutori materiali e mandati degli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994, ma chi doveva assicurare giustizia, e onorare la memoria dei due giornalisti del Tg3, ha invece creato un falso colpevole, Hashi Omar Hassan, oggi libero dopo aver scontato 16 anni di carcere in forza di una condanna per omicidio diventa definitiva. Lo hanno fatto per coprire i veri assassini?
Non si sa, ma ci fu certamente un depistaggio delle indagini da parte di uomini dello Stato – anche se non si può applicare la legge che introduce il reato, fortemente voluta da Paolo Bolognesi, approvata solo lo scorso 2 agosto. È certo che sono corrosive le motivazioni con cui la Corte di Appello di Perugia ha stabilito l’innocenza di Hashi, ma solo dopo che una giornalista, Chiara Cazzaniga di “Chi l’ha visto” è andata in Inghilterra a trovare l’accusatore Ahmed Alì Rage, più noto come Gelle, il quale, davanti al suo microfono, ha ritrattato tutto.
Prima sono andati online i documenti della commissione P2 presieduti da Tina Anselmi, poi quelli della strage di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974) e sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Horivanti (20 marzo 1994). Adesso dal sito Fonti Italia Repubblicana stanno per essere rese disponibili le sentenze della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Il progetto verrà presentato il prossimo 4 dicembre presso l’Archivio di Stato di Milano alla quasi vigilia dei 45 anni dalla bomba piazzata nella filiale della Banca nazionale dell’agricultura. Accadrà nel corso del convegno Nuovi scenari nel trattamento elettronico delle fonti.
Il giornalista della Gazzetta del MezzogiornoFabio Amendolara si è fatto conoscere in passato per il suo lavoro (si veda il libro di fine 2013 Il segreto di Anna, Editrice Edimavi, sulla morte del commissario Anna Esposito e sul legame con il caso di Elisa Claps). E anche per i problemi sorti dalla caparbietà che dimostra lavorando. Ora è appena uscito in ebook un suo nuovo lavoro, Il caso Ilaria Alpi, e di questo parla:
La giornalista Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin, inviati del Tg3, vengono uccisi a Mogadiscio nel marzo 1994. Non è una rapina, ma una brutale esecuzione. Da allora ci si interroga sul movente di questo duplice omicidio. Ilaria aveva sicuramente scoperto qualcosa di indicibile. Una delle piste porta al traffico internazionale di rifiuti, tossici e nucleari, che dall’Italia potrebbero essere finiti in Somalia. Non appena quest’ipotesi acquista peso, però, compaiono sulla scena alcuni discutibili pentiti che dirottano le indagini sulla Basilicata, in particolare sul piccolo centro di Rotondella (Matera), dove si trova un centro di ricerche nucleari dell’Enea. Si rivelano essere dei depistaggi. E c’è da chiedersi: perché qualcuno si è scomodato per portare la magistratura su false piste?
Al libro sono dedicati un account Twitter, uno Facebook e un blog attraverso cui si continua a seguire la vicenda e si pubblicano anche documenti originali (come in questo caso sul Sisde).
Ci sono storie che fanno piangere e fanno arrabbiare e ci sono storie che danno speranza, con un’eccitazione che ti accende della voglia di fare qualcosa. Ci sono storie che ti fanno conoscere un altro mondo e ci sono storie che ti fanno amare qualcuno, di un amore tenero, struggente e profondo. Ci sono storie che fanno tutto questo insieme, e ci sono anche storie che fanno ridere, ma purtroppo non è questo il nostro caso.
Questa è la storia di una giovane donna, una piccola guerriera che odia la guerra, che vive in un mondo di terrore ma che non ha paura, che corre veloce come il vento per raggiungere un sogno, una giovane donna, no, una ragazza, di più, quasi una ragazzina meravigliosa che si chiama Samia. È una storia che non si può non raccontare. Lo hanno fatto altri, lo ha fatto uno scrittore italiano con un libro bellissimo, proviamo a farlo anche no.
Scatto dalla Somalia nel 2011. È stato realizzato nel distretto di Hamar Wayene dal fotoreporter iraniano Hossein Fatemi della britannica Panos Pictures. E lo pubblica Verve Photo.
La forestale dei veleni di Andrea Tornago, Davide Gangale e Silvia Sciorilli Borrelli andrà in onda lunedì prossimo, 28 ottobre, su RaiNews24, e di questo si parlerà:
“La dismissione del nucleo forestale di Brescia. Sulle tracce dei veleni dalla Lombardia alla Calabria. Le inchieste di un pool scomodo”. L’inchiesta avrà come tema il traffico internazionale di rifiuti, mafie, servizi segreti e connessioni tra istituzioni e attività strategiche extralegali.
Cercherà di rispondere a numerose domande. Perché è stato smantellato il nucleo investigativo del Corpo Forestale di Brescia coordinato dal colonnello Rino Martini? Dalla seconda metà degli anni ’80 e lungo tutti gli anni ’90 il suo gruppo ha indagato sui traffici internazionali di rifiuti in cui era coinvolta l’Italia. Gli stessi traffici che interessavano, e in cui forse si erano imbattuti, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Mi cercarono l’anima è un libro inchiesta che racconta la storia di Stefano Cucchi, il giovane romano morto secondo una recente sentenza per malnutrizione, fatto che com’è noto provoca contusioni, ecchimosi e lesioni d’altro genere. Il volume, in uscita il prossimo 22 ottobre, lo pubblica Altreconomia, l’ha scritto Duccio Facchini e viene finanziato attraverso Produzioni dal basso. Abbraccia la ricostruzione dei “vinti” e questa è la storia che racconta:
Stefano Cucchi, geometra trentunenne con la passione per la boxe, muore a Roma il 22 ottobre 2009, nel letto del presidio ospedaliero protetto Sandro Pertini per “presunta morte naturale”. Una settimana prima era stato arrestato per possesso di sostanze stupefacenti. Per 7 giorni resterà nelle mani dello Stato: dai carabinieri alla polizia penitenziaria, dai funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al magistrato che ne convalida il fermo per direttissima, dai medici del carcere di Regina Coeli e dell’ospedale Fatebenefratelli al personale del presidio Pertini. In 7 giorni, prima di morire, perderà quasi 10 kg. La famiglia lo rivedrà solo dopo la morte, dietro a una teca di vetro: sul suo corpo, inequivocabili segni di percosse. Dopo tre anni e mezzo di processo, la recente sentenza commina condanne lievi ai medici, assoluzione per tutti gli altri, compresi i tre agenti di Polizia penitenziaria accusati di aver pestato Cucchi nelle celle di sicurezza del tribunale di piazzale Clodio, in attesa dell’udienza.
Un libro imparziale – ma non neutrale – che ha bisogno del sostegno di chi crede nell’informazione indipendente e dal basso. Altreconomia, cooperativa d’informazione senza padroni politici o commerciali, è un editore tanto forte negli ideali quanto minuto nelle risorse: perciò non si vergogna di chiedere aiuto alle persone e ai gruppi sensibili a questo tema. Ci piacerebbe che questo libro vedesse la luce proprio entro il 22 ottobre 2013, quarto anniversario della morte di Stefano Cucchi.
Per questo il libro lo si prenoti già andando qui.
A Hijacking è un film di Tobias Lindholm (che ne è anche lo sceneggiatore) con Pilou Asbæk, Søren Malling e Dar Salim che racconta di un cargo danese sequestrato dai pirati somali. Per una volta una visione non statunitense di ciò che accade nel Corno d’Africa.
Sono passati 19 anni dalla tragica esecuzione di Mogadiscio: Ilaria Alpi e Miran Hrovatin uccisi con un solo colpo ciascuno sparato alla nuca. Un’esecuzione su commissione: uccisa, insieme a Miran, perché aveva rintracciato […] un gigantesco traffico internazionale di rifiuti tossici e di armi che aveva nella Somalia […] un crocevia importante per traffici illeciti di ogni tipo che solamente organizzazioni criminali, mafia, ‘ndrangheta e camorra possono gestire (come indagini di procure, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia hanno fatto emergere anche di recente). Organizzazioni criminali che possono crescere ed estendere le loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati perché godono di coperture, silenzi e complicità nei servizi di intelligence, nelle strutture di potere pubbliche e private.
In “Toxic Somalia” […] Paul Moreira documenta gli effetti sulla popolazione dei rifiuti tossici scaricati dall’occidente in terra somala, seguendo la strada aperta da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e ricostruendo i rapporti segreti tra il mondo degli affari e quello della criminalità. L’inchiesta valorizza il lavoro intrapreso dalla giovane inviata del TG3 e dal suo operatore mostrando con efficacia come ne abbia segnato la tragica fine perché gli affari sporchi, l’illegalità potesse e possa continuare. Due i fatti che l’anno appena trascorso ci ha consegnato.
Il processo che vedeva imputato per il reato di calunnia Ahmed Ali Rage detto Jelle (testimone d’accusa chiave nei confronti di Hashi Omar Hassan in carcere da oltre dieci anni dopo la condanna definitiva a 26 anni) si è chiuso con una assoluzione le cui motivazioni sono incredibili (“…appare evidente l’impossibilità di pervenire ad un giudizio di colpevolezza…”). Assoluzione in contumacia avendo di fatto accertato che la testimonianza potrebbe essere falsa mentre un cittadino somalo è in carcere forse innocente e di certo due cittadini italiani, Ilaria e Miran, sono stati assassinati quasi vent’anni fa e ancora non hanno avuto giustizia.
La relazione conclusiva della commissione bicamerale d’inchiesta sulle ecomafie sostiene che il capitano Nicola De Grazia è stato avvelenato (riesumata la salma, “la consulenza del professor Arcudi arriva a una conclusione inequivoca: la morte è la conseguenza di una “causa tossica”). Il capitano Natale De Grazia (morto in circostanze misteriose il 13 dicembre 1995 mentre si recava a La Spezia per indagini importanti) è stata figura chiave del pool investigativo coordinato dal procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri che indagava sulle “navi dei veleni” […].
“La morte del capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese”, con queste parole si conclude la relazione della commissione. Due fatti che confermano quanto è avvenuto in questi anni dolenti: depistaggi occultamenti, carte false, testimoni e/o persone informate dei fatti che hanno mentito.
Il video in apertura del post è la versione integrale del documentario Toxic Somalia.