Sotto l’espressione «primavera araba» va una serie di insurrezioni che hanno riguardato il Maghreb, il Vicino e il Medio Oriente. I Paesi che sono stati più o meno attraversati da movimenti per la difesa delle libertà civili e politiche comprendono l’Algeria, il Bahrein, l’Egitto, la Tunisia, lo Yemen, la Giordania, Gibuti, la Libia e la Siria. Poi si sono registrati eventi più episodici anche in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Iraq, Marocco e Kuwait. Addirittura una nazione martoriata da più di vent’anni di guerra civile come la Somalia ha dimostrato qualche sussulto «primaverile», soprattutto nell’ostilità contro i fronti islamici più bellicosi, come quelli rappresentati da Al Shabaab.
Iniziati nel dicembre 2010, i movimenti rivoluzionari hanno preso le mosse da alcune istanze comuni, per quanto poi le differenze si siano evidenziate nella declinazione nazionale delle rivolte. Tra queste, la lotta contro corruzione, disoccupazione, violazione dei diritti umani, miseria, regimi dispotici e sanguinari, penuria alimentare generata dalla nuova crisi e i cui effetti si devono aggiungere alla precedente, articolatasi tra il 2007 e il 2008, oltre a fenomeni di globalizzazione che hanno incrementato la povertà in loco e lo sfruttamento di manodopera sottopagata.
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