“I ribelli della montagna”: dal 30 aprile in libreria una storia del movimento No Tav

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I ribelli della montagna - Una storia del movimento No TavEsce il prossimo 30 aprile ed è firmato da Adriano Chiarelli, questo libro (304 pagine) pubblicato dalla casa editrice bolognese Odoya. Si intitola I ribelli della montagna – Una storia del movimento No Tav e questa è la sua presentazione:

Nato dai sogni dell’amministratore delegato di FF.SS. Lorenzo Necci nei primi anni Novanta, il progetto Tav inizia ad avere una “biografia” interessante. Adriano Chiarelli, già autore di “Malapolizia” per Newton Compton, evidenzia l’inutilità e la dannosità (non solo per i valsusini) della Grande Opera, ma il suo lavoro per la prima volta non è stato spinto da logiche “di movimento”. Alcuni sviluppi del movimento contro l’Alta Velocità riportati nel volume sono avvenuti da pochissimo tempo: il 27 gennaio 2015 la procura di Torino ha comminato 47 condanne per un totale di 150 anni agli attivisti No Tav per i fatti del luglio 2013; inoltre ha fatto scalpore il recente processo allo scrittore Erri De Luca, indagato per istigazione a delinquere. Non ritrattando (dichiarò «è giusto sabotare la TAV») firma l’accorata prefazione al volume.

L’Aquila, 6 aprile 2009: “Io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto”

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L'Aquila 2009, Casa dello studente

Questo testo è un estratto del capitolo “Immobili, opere pubbliche e altri disastri” contenuto nel libro scritto con Gigi Marcucci Italia. La fabbrica degli scandali (Newton Compton). L’esito processuale per i fondi stanziati dopo il sisma in Campania e Basilicata non impedì invece di continuare a parlare di Irpiniagate. Un caso che Daniele Martini raccontava così:

Solo il 50 per cento dei fondi è andato dove doveva andare, il resto è stato dissipato. Il dopo terremoto è stata una cuccagna sulla quale hanno mangiato tutti: il 20 per cento del denaro è finito in tasca ai politici, un altro 20 per cento è andato ai tecnici della ricostruzione. Camorra, imprese del nord e imprenditori locali si sono mangiati il resto». Una giornalista inglese, Anne Webber, commentò a inizio anni Novanta: «È il più grosso scandalo che si sia mai visto in Europa». Aveva ragione, la cronista anglosassone, ma di certo non fu l’unico perché, oltre che di Irpiniagate, più avanti si sarebbe iniziato a parlare anche di «professionisti delle macerie.

Italia. La fabbrica degli scandaliCorreva l’anno 2010 e si stava indagando sugli interessi nati intorno a un altro terremoto: quello dell’Aquila del 6 aprile 2009, 309 morti, 1600 feriti e 80 mila sfollati. La scossa principale, registrata alle 3.32 di notte, aveva raso al suolo tutto, compresa la città vecchia, edificata nel xiii secolo sul modello di Gerusalemme. Si sbriciolarono chiese e fontane mentre alcuni dei 55 comuni coinvolti furono polverizzati. L’immensa forza distruttiva del sisma provocò danni per 10 miliardi di euro. Ma per qualcuno scarso margine andava concesso al cordoglio e alla commozione, anche nelle primissime fasi della catastrofe.

Nel corso di una conversazione intercettata dopo le prime scosse un costruttore era stato sentito dire al cognato: «Qui bisogna partire in quarta subito. Non è che c’è un terremoto al giorno». Spaventosa la risposta: «Io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto». Insomma, bisognava speculare su vite e città cancellate da una sciagura, non c’era un attimo da perdere. Il moto di agghiacciante allegria ascoltato dagli investigatori era stato innescato dal pensiero del denaro che si sarebbe incassato ricostruendo i centri danneggiati dal sisma. Discorso vecchio, questo, come ha scritto Sergio Rizzo:
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Ambrosoli nelle parole del figlio Umberto: una lezione di etica civile e politica

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Qualunque cosa succedaStefano Casarino mi invia il testo che pubblicato sotto. Segue un incontro che c’è stato lo scorso 23 marzo a Cuneo, incontro organizzato dall’associazione culturale LiberoSpazio e dedicato a Giorgio Ambrosoli, l’avvocato che ebbe il compito di liquidare l’impero finanziario di Michele Sindona e che per questo fu ucciso l’11 luglio 1979. Per discuterne era stato invitato il figlio di Ambrosoli, Umberto, autore del libro Qualunque cosa succeda. Il testo, pubblicato su alcuni giornali locali, è disponibile anche qui, su margutte.com. Ecco quanto scrive Stefano Casarino.

«Se, quando ero bambino, mi avessero ucciso “papà” per la sua attività di integerrimo, incorruttibile funzionario dello Stato e ai suoi funerali non fosse stata presente nessuna autorità pubblica, non credo proprio che parlerei dello Stato italiano come sta facendo ora Umberto Ambrosoli», è quanto pensavo tra me e me ascoltando le sue appassionate parole al Salone d’Onore del Comune di Cuneo. Organizzato dall’Associazione Culturale LiberoSpazio, l’evento ha visto una folta affluenza di pubblico e ha rappresentato un momento forte di riflessione e di condivisione sul tema, sempre drammaticamente attuale e moralmente ineludibile, della “responsabilità civile individuale per rigenerare il Paese” (tale il titolo prescelto per la serata).

Dopo la doppia introduzione di Maria Peano, Presidente dell’Associazione, e dell’on. Mino Taricco, il giornalista Gianni Martini ha letto una lettera, emotivamente molto intensa, di Giorgio Ambrosoli alla moglie. Quattro anni prima del suo assassinio. È importante riprodurne qualche passaggio:
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Trent’anni fa la strage di Pizzolungo: “Sembrava esploso un vulcano”

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Sola con te in un futuro aprileQuesto è “un pezzo che ritorna al suo posto dopo tanto tempo”. Margherita Asta, il 2 aprile 1985, ha 10 anni e 2 fratellini più piccoli, i gemelli Salvatore e Giuseppe, di 6. Sua madre, Barbara Rizzo, è giovane, una trentunenne che vive per i tre figli e per il marito Nunzio, in convalescenza per un intervento al cuore che gli regala un inizio di giornata ritardato rispetto al normale. Così, quando poco dopo le 8 del mattino, sente un’esplosione, l’uomo non ci pensa due volte a salire in macchina pensando al gas che può aver arrecato non pochi danni a una palazzina. Invece quel botto non è un incidente, è un ordigno fatto di tritolo, T4, pentrite e Semtex che ha fatto a pezzi sua moglie e i gemelli, passati casualmente lungo il rettilineo dov’è stata parcheggiata un’autobomba destinata a un’altra persona, il giudice Carlo Palermo.

Da Trento a Trapani: la lotta di Carlo Palermo

Sono trascorsi 30 anni dalla strage di Pizzolungo, provincia di Trapani, e oggi Margherita torna sull’attentato che distrusse la sua famiglia firmando con Michela Gargiulo il libro “Sola con te in un futuro aprile” (Fandango Libri). Quel giorno la mafia entra nella vita della famiglia Asta perché i boss vogliono morto quel magistrato giunto da Trento solo 40 giorni prima prendendo il posto di Giangiacomo Ciaccio Montalto, assassinato il 25 gennaio 1983. Per anni Palermo ha condotto un’inchiesta su traffico di droga e di armi che l’ha portato nel sancta sanctorum di certa politica, quella popolata da piduisti, tangentari, affaristi e faccendieri. È stato un massacro professionale e personale, per il giudice Palermo, bersagliato da procedimenti e da minacce, tante minacce.

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“Nei secoli fedele”: arriva il film di Francesco Menghini e Adriano Chiarelli sulla storia completa di Giuseppe Uva

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Nei secoli fedele è un film che racconta una storia che tutti dovrebbero conoscere, quella di Giuseppe Uva. Con il patrocinio di Amnesty International, è girato Francesco Menghini su soggetto e sceneggiatura di Adriano Chiarelli (autore del libro Malapolizia). Non secondario: realizzato il crowdfunding con il supporto di Produzioni dal basso, può essere guardato in rete, scaricato o si può contribuire, oltre che con una donazione, anche organizzando una proiezione. Ecco come si presenta il film:

Varese, estate 2008: due amici passano una serata come tante in un bar, chiacchere e qualche drink. Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero quella sera divengono, loro malgrado, protagonisti di una tragica quanto assurda vicenda di morte. Prima di rientrare a casa commettono una bravata e spostano alcune transenne in mezzo alla strada. All’arrivo delle forze dell’ordine i fatti degenerano; Giuseppe Uva viene scaraventato in auto, in una seconda macchina viene caricato Alberto Biggiogero, entrambi trasportati presso la caserma di Via Saffi. Tutto quello che è avvenuto dopo rimane ad oggi ancora inspiegato ed inspiegabile. Unica certezza: la morte di Giuseppe Uva, per arresto cardiaco, tre ore dopo il suo trasferimento nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Varese. La sorella Lucia, al mattino, dovendo effettuare il riconoscimento del fratello nell’obitorio dell’ospedale varesino stenta persino a riconoscerlo: bruciature di sigaretta, ecchimosi ed una vistosa macchia di sangue sul cavallo dei pantaloni raccontano una storia diversa da quella fornita da carabinieri e poliziotti presenti in quella notte all’interno della caserma. Inizia così la battaglia di una famiglia, alla ricerca di una giustizia nonostante questa giustizia.

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“I segreti di Tangentopoli”: quella volta in cui Ferrara disse che “il politico dev’essere ricattabile”

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I segreti di TangentopoliQuello che segue è un estratto del libro I segreti di Tangentopoli. 1992: l’anno che ha cambiato l’Italia, scritto con Gigi Marcucci e pubblicato da Newton Compton. Questo estratto è stato pubblicato anche sul FattoQuotidiano.it.

Politici buoni non ne conosco, sono in genere gli stupidi, di politici cattivi ne conosco, ci sono quelli intelligenti e quelli stupidi». Riecco Giuliano Ferrara, direttore del «Foglio», già ministro di Berlusconi per i rapporti con il Parlamento. Squaderna argomenti con logica inappuntabile, almeno per chi ne condivide i presupposti; li espone con una franchezza rude che spesso sconfina in brutalità – dialettica, naturalmente. L’ex comunista approdato alle reti Fininvest e poi alla corte di Berlusconi, usa la formula che l’ha reso riconoscibile dai tempi di Radio Londra: aggredire l’interlocutore, stupire per convincere platee o telespettatori.

Ed eccolo nella redazione di «MicroMega», a dieci anni da Mani pulite, intento a duellare con Piercamillo Davigo, un giudice del pool. Pescando in una ormai lunga esperienza, rivaluta il cinismo della politica. «Una delle cose che credo di aver capito e che vorrei riportare in tutta sincerità, è che in politica non si tratta affatto di avere la capacità di “ricattare” gli altri, di condizionarli ed eventualmente ricattarli, dove il termine va inteso in senso politico, paralegale». Ed ecco l’affondo: «Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile». Il moderatore non è sicuro di aver capito bene e controlla: «Forse vorrai dire che non devi essere ricattabile». E invece ha capito benissimo. «No. Devi essere ricattabile», risponde Ferrara, «per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché […] sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti».
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“Omicidio Francesco Lorusso”: avvenne 38 anni fa, in un libro le voci di ciò che accadde l’11 marzo 1977

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Omicidio Francesco LorussoSono trascorsi oggi 38 anni dalla morte di Francesco Lorusso, lo studente di 24 anni ucciso a Bologna l’11 marzo 1977. E sempre oggi è uscito il libro Omicidio Francesco Lorusso – Una storia di giustizia negata di Franca Menneas. Uno dei valori principali del volume, oltre alla ricostruzione dei fatti e delle indagini, sono le interviste della seconda parte: uno spaccato, visto da diversi punti, di ciò che accadde quel giorno. Ecco la presentazione del libro:

Pier Francesco Lorusso viene ucciso da un colpo di pistola. È il primo e unico morto ammazzato a Bologna in scontri di piazza dai tempi della Liberazione e quel proiettile segna indelebilmente la città imprimendole una ferita ancora oggi non del tutto rimarginata. Questo libro si propone di ricostruire la vita e la morte di quel ragazzo falciato una mattina in cui i giovani del movimento e le forze dell’ordine si affrontano nel pieno centro storico. L’episodio si inserisce in un contesto che vede da una parte le rivendicazioni dei “non garantiti” attanagliati dalla crisi economica e, sul versante opposto, il Partito comunista al governo della città, colpendo entrambi i fronti. Da queste pagine, basate sull’incrocio di atti giudiziari e testimonianze, perizie balistiche e necroscopiche, cronache dei giornali, documentazione letteraria, memorie e interviste, nasce una ricostruzione corale intessuta da voci diverse, talvolta contrapposte. Sono le voci che, messe a confronto, restituiscono il ritratto del movimento del ’77, scavano nell’omicidio Lorusso e – per la prima volta -, ne ricostruiscono la successiva storia giudiziaria, andando alla ricerca delle ragioni per cui quel delitto è stato seguito da un “mancato processo” e quindi da una giustizia negata.

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Il sequestro Sgrena e l’omicidio di Nicola Calipari: a 10 anni di distanza, il racconto di Carlo Lucarelli

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La storia di Nicola Calipari, ucciso a Baghdad dieci anni fa, il 4 marzo 2005, dopo aver liberato la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, abbiamo provato a raccontarla così, in una puntata dell’ultima stagione andata in onda della trasmissione Lucarelliracconta di Carlo Lucarelli.

“Il golpe invisibile” di Giorgio Galli: dagli anni Settanta a oggi, i passaggi per stracciare la Costituzione

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Il libro di cui si parla in questa intervista a Giorgio Galli realizzata da Radio Radicale è uscito nel gennaio 2015 per Kaos Edizioni. E questa è la presentazione del volume Il golpe invisibile:

Il “golpe invisibile” qui ricostruito dal politologo Giorgio Galli ha preso le mosse negli anni Settanta del secolo scorso, si è rafforzato negli anni Ottanta del craxismo, e ha avuto pieno compimento durante il quasi ventennio berlusconiano. È stato attuato dalla borghesia finanziario-speculativa e dai ceti burocratico-parassitari i quali, assunto il pieno controllo delle forze politiche e preso il potere in forma egemonica, hanno potuto saccheggiare l’Italia repubblicana facendo “carta straccia” di molte pagine della Costituzione. Il “golpe invisibile” dei ceti speculativi e parassitari ha generato un debito pubblico astronomico (decenni di evasione fiscale, di ruberie, corruttele e malversazioni), ha vanificato lo stato di diritto e il controllo di legalità della magistratura, ha consolidato il potere della criminalità organizzata (mafie che sono parte integrante dei ceti speculativi e parassitari), e ha alterato l’economia di mercato riducendo in povertà milioni di imprenditori e lavoratori. Soprattutto, il “golpe invisibile” ha impedito che la società italiana superasse il congenito familismo amorale e si dotasse di una cultura civica.