L’Aquila, 6 aprile 2009: “Io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto”

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L'Aquila 2009, Casa dello studente

Questo testo è un estratto del capitolo “Immobili, opere pubbliche e altri disastri” contenuto nel libro scritto con Gigi Marcucci Italia. La fabbrica degli scandali (Newton Compton). L’esito processuale per i fondi stanziati dopo il sisma in Campania e Basilicata non impedì invece di continuare a parlare di Irpiniagate. Un caso che Daniele Martini raccontava così:

Solo il 50 per cento dei fondi è andato dove doveva andare, il resto è stato dissipato. Il dopo terremoto è stata una cuccagna sulla quale hanno mangiato tutti: il 20 per cento del denaro è finito in tasca ai politici, un altro 20 per cento è andato ai tecnici della ricostruzione. Camorra, imprese del nord e imprenditori locali si sono mangiati il resto». Una giornalista inglese, Anne Webber, commentò a inizio anni Novanta: «È il più grosso scandalo che si sia mai visto in Europa». Aveva ragione, la cronista anglosassone, ma di certo non fu l’unico perché, oltre che di Irpiniagate, più avanti si sarebbe iniziato a parlare anche di «professionisti delle macerie.

Italia. La fabbrica degli scandaliCorreva l’anno 2010 e si stava indagando sugli interessi nati intorno a un altro terremoto: quello dell’Aquila del 6 aprile 2009, 309 morti, 1600 feriti e 80 mila sfollati. La scossa principale, registrata alle 3.32 di notte, aveva raso al suolo tutto, compresa la città vecchia, edificata nel xiii secolo sul modello di Gerusalemme. Si sbriciolarono chiese e fontane mentre alcuni dei 55 comuni coinvolti furono polverizzati. L’immensa forza distruttiva del sisma provocò danni per 10 miliardi di euro. Ma per qualcuno scarso margine andava concesso al cordoglio e alla commozione, anche nelle primissime fasi della catastrofe.

Nel corso di una conversazione intercettata dopo le prime scosse un costruttore era stato sentito dire al cognato: «Qui bisogna partire in quarta subito. Non è che c’è un terremoto al giorno». Spaventosa la risposta: «Io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto». Insomma, bisognava speculare su vite e città cancellate da una sciagura, non c’era un attimo da perdere. Il moto di agghiacciante allegria ascoltato dagli investigatori era stato innescato dal pensiero del denaro che si sarebbe incassato ricostruendo i centri danneggiati dal sisma. Discorso vecchio, questo, come ha scritto Sergio Rizzo:
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Il Fatto Quotidiano: Porcellum, le Camere potevano essere sciolte. Dialogo con Agostino Cordova

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Ad aprire il corteo anti Jobs Act della Cgil a Bologna giovedì, c’era uno striscione su cui campeggiava una frase chiara: “Il verso giusto è quello dei diritti”. Diritti che, a partire dalla riforma del lavoro e dall’abolizione dell’articolo 18, non sembrano in capo agli interessi di esecutivo e Parlamento. Ma ci sono altri nodi importanti per il Paese, come gli ulteriori previsti tagli al welfare (sanità in primis) o come il pacchetto giustizia che, stando alle recenti anticipazioni di stampa, è “soft” su temi come la reintroduzione del falso il bilancio o la creazione del reato di autoriciclaggio che viene escluso per il godimento personale di patrimoni frutto di attività illecite.

A fronte di tutto ciò, dialogando con un magistrato di lungo corso oggi a riposo come Agostino Cordova, si nota che tra le tante critiche mosse al Parlamento e al governo ce n’è una che sembrava scaduta d’attualità e come tale dimenticata: cioè se fossero organi “illegittimi” perché espressione diretta per il primo e di riflesso per il secondo di una legislatura modificata con una legge elettorale del 2005, il Porcellum, e definita incostituzionale meno di un anno fa. Essendo al di fuori dei partiti, preferisco non esprimere giudizi sull’attività governativa”, dice Cordova, che però fa un’eccezione: “Nonostante abbia illustrato questo aspetto sulla stampa sin dal 2006, nessuno ha inteso affrontarlo. Il 21 dicembre 2005 fu abolito con legge ordinaria il voto di preferenza e ciò in contrasto con gli articoli 56 e 58 della Costituzione, secondo cui i parlamentari devono essere eletti con suffragio universale e diretto. Con quella modifica, invece, la scelta non era più in capo agli elettori, ma ai partiti, che collocavano ai primi posti delle rispettive liste chi volevano fosse nominato. Per tanti anni, così facendo, si creò un contrasto con un altro articolo (il primo) della Costituzione, secondo cui la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti da detta Carta fondamentale. Il risultato? Lo Stato, da democratico, si era trasformato in partitocratico”.

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“Fiom. Viaggio nella base dei metalmeccanici”: un documentario su una lotta sempre più isolata

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Dal Manifesto Bologna. In sostanziale concomitanza alla presentazione del referedum sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – referendum che sta creando reazioni contrastanti anche all’interno delle formazioni di centrosinistra – arriva Fiom. Viaggio nella base dei metalmeccanici:

Il documentario nasce da un progetto di Giuliano Bugani in seguito all’accordo sulle rappresentanze sindacali firmato da Cgil, Cisl, Uil e dalla Confindustria il 28 giugno 2011, e, contro il quale, la base Fion sciopera per la prima volta nella sua storia contro il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. [Il film] attraversa città di tutta Italia nelle voci e nelle immagini di lavoratrici e lavoratori Fiom, Rsu di fabbrica, portando alla luce il disagio e la rabbia degli iscritti sulle conseguenze dell’Accordo del 28 giugno 2011, ma non solo.

Le interviste […] cominciano nel settembre 2011, attraversando fasi cruciali quali la caduta del governo Berlusconi e l’insediamento del governo dei tecnici con le sue riforme e l’innalzamento dell’età pensionabile, la cancellazione dell’articolo 18, e la riforma del welfare, senza che vi sia stata un’ora di sciopero da parte della Cgil. [Inoltre il film] ripropone le fasi della lotta isolata della Fiom, dall'[astensione] nazionale del 9 marzo 2012 a Roma, e di altre assemblee e scioperi articolati di zona continuati nella primavera del 2012.

Il regista, Giuliano Bugani, è un operaio metalmeccanico di Ozzano Emilia (Bologna) che si è trasformato in giornalista e autore di altri documentari sociali. Con lui ha collaborato Daniele Marzeddu, fotografo e videomaker.

I lavoratori ex Coop della Campania: attesa fino a ottobre per la nuova udienza dopo il licenziamento

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Fino al 7 ottobre. Tanto dovranno ancora attendere i 17 ex dipendenti campani di Unicoop Tirreno che, “ceduti” a una società locale nel 2009 insieme ai punti vendita in cui lavoravano, non hanno mai ripreso servizio e che, dopo essere stati licenziati, dell’ultima mensilità e della liquidazione non hanno visto traccia.

Della loro vicenda si sta adesso occupando il tribunale di Napoli in una causa che, partita nell’autunno 2010, non si sta rivelando rapida a giungere a conclusione. Eppure ci sarebbe già una sentenza, anzi due, pronunciate dal tribunale del lavoro di Avellino, che impongono al colosso toscano della grande distribuzione il reintegro di due ex lavoratrici, Lucia Di Maio e Margherita Molinari, fino a due anni fa in forza alla Coop di Solofra.

Ma da Piombino, la cittadina in provincia di Livorno dove ha sede Unicoop Tirreno, si era fatto sapere che a ciascuna delle due donne che “la scrivente cooperativa [non] ha la possibilità di adibirla presso altre unità produttive alle medesime mansioni da quelle […] svolte in precedenza. Non sussiste quindi alcuna
opportunità di […] utile impiego”.

Questa è una storia di disoccupazione nel Mezzogiorno d’Italia. Una storia che ha coinvolto una sessantina di persone, parte delle quali uscita di scena in oltre due anni. E che al momento vede ancora con un destino incerto, segnato dalla percezione di un impossibile impiego futuro, per 17 lavoratori. “Noi rivogliamo solo il nostro posto di lavoro”, dice Carlo Vuolo, delegato a rappresentare gli ormai disoccupati di Nocera Inferiore e i colleghi di altri negozi.
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Pietro Ancona: Pio Latorre, una lotta contro una Sicilia trasformata in portaerei

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Pio LatorreSu Domani un intervento di Pietro Ancona a ventinove anni dall’omicidio di Pio Latorre:

Il 30 aprile era il ventinovesimo anniversario della morte di Pio La Torre che fu segretario del Pci siciliano durante una delle più terribili recrudescenze del dominio mafioso (è stato ucciso per ordine di Totò Riina: voleva punirlo in quanto autore – assieme a Rognoni – della legge che confisca le proprietà di Cosa Nostra. Non era ben visto dai militari italiani e stranieri: aveva guidato l’ occupazione della base di Comiso per protesta contro l’installazione dei missili, ndr). Non è la prima volta che lo rievoco e continuerò a farlo perché il suo ricordo racchiude molte cose che hanno a che fare con l’onestà, la pulizia morale e politica, la passione, la dedizione ad un ideale in cui il partito diventa strumento non di scopi che lo riguardano ma di interessi generali della popolazione e della società. Lo ricordo con affetto perché ebbi l’onore di collaborare con lui da segretario generale della Cgil siciliana e di rendere possibile l’attuazione di tanti dei momenti di lotta che programmava e realizzava con tenacia ed entusiasmo quasi fanciullesco. Mi riferisco alla lotta per la pace e contro i missili a Comiso. Ricordo che mi sostenne tutte le volte che la corrente comunista poneva il problema della mia estromissione dalla direzione della Cgil. Io ero (e sono) socialista . Ero unitario con i comunisti, ma ad alcuni non andavo bene perché ritenuto, come una volta ebbe a dirmi scherzosamente Luigi Colaianni, “unitario ma egemonico”.

Continua qui, mettendo in relazione la figura del sindacalista siciliano con la situazione attuale.