“Pentiti di niente”: gli interrogativi su un passaporto inspiegabile

Standard

Carlo SaronioGiunti a un certo punto, verso la metà del 1984, le istituzioni non possono più esimersi dal rispondere alle continue domande sul passaporto concesso a Carlo Fioroni e sulla mancata predisposizione di misure di sorveglianza dell’uomo. A prendere la parola è il sottosegretario agli interni, il democristiano veneto Marino Corder. Il quale prima definisce una “deprecabile assenza” il fatto che Fioroni non si sia presentato al processo. Poi rimbalza la responsabilità addosso a funzionari del ministero di grazia e giustizia che, su parere favorevole di tre magistrati, hanno autorizzato il rilascio di un documento valido per l’espatrio perché al tempo non venne individuata “alcuna causa ostativa”.

Giovanni Spadolini, in questo periodo ministro della difesa, ma capo del governo quando venne concesso il passaporto a Carlo Fioroni, agisce a sua volta e si rivolge al presidente del consiglio Bettino Craxi: il comitato parlamentare per la vigilanza sui servizi di sicurezza deve ricevere informazioni specifiche in merito alle norme varate il 29 marzo 1982 a tutela dei pentiti e coperte dal segreto di Stato. Il leader socialista, alla sua prima esperienza al vertice dell’esecutivo, accetta di far luce sulla vicenda Fioroni al termine di una riunione del CIIS (Comitato interministeriale per l’informazione e la sicurezza).

Ma da questa disponibilità ne scaturirà poco, malgrado le posizioni molto critiche verso il processo espresse dal senatore del garofano Luigi Covatta e da Salvo Andò, responsabile del PSI per i problemi dello Stato, secondo il quale “la sentenza 7 aprile non chiude i conti con gli anni di piombo, ma anzi li esaspera”. Le principali speranze di raccapezzarsi in una vicenda così intricata vengono riposte nella commissione parlamentare per i procedimenti d’accusa che ha aperto un fascicolo per presunte irregolarità dopo la denuncia presentata nell’aprile 1984 da Rossana Rossanda, Carla Mosca e Luigi Ferrajoli ai presidenti di Camera e Senato, Nilde Jotti e Francesco Cossiga.
Continue reading

Wikileaks: Blackwater, business nel Corno d’Africa per contrastare la pirateria dei mari

Standard

La voce delle vociSono datati dicembre 2009 alcuni cablogrammi partiti dall’ambasciata statunitense di Gibuti a proposito della situazione somala. I documenti, classificati come confidenziali e inseriti nella mole di materiale diffuso da Wikileaks alla fine di novembre 2010, citano una società americana comparsa più volte nelle pagine di questo giornale. Si tratta Blackwater Worldwide, multinazionale della sicurezza privata finita nel mirino ancora nel 2007 quando suoi uomini furono coinvolti in una sparatoria a Baghdad che fece diciassette vittime. Questa volta la si ritrova in Somalia, stando ai cablogrammi di Wikileaks, dove opererebbe dal marzo 2010 con l’autorizzazione del governo di Gibuti per contrastare la pirateria.

La dotazione che ha portato con sé comprenderebbe trentatré cittadini americani a cui sono state affidate funzioni varie e che verranno sostituiti ogni sessanta giorni. Diciotto di questi “operatori”, come sono definiti dagli osservatori statunitensi, sono suddivisi in tre squadre armate che a turno sarebbero incaricate della sicurezza dei trasporti navali. La marina di Gibuti, inoltre, garantirebbe alla Blackwater forniture di armi (tra cui cinquanta mitragliatrici calibro .50) e lo scopo, sempre stando ai cablogrammi americani, non sarebbe tanto quello di supportare le forze di polizia nella cattura dei pirati, ma di usare «forze letali contro [di loro], se necessario». Insomma, il messaggio è che non si fanno prigionieri, a differenza per esempio dei francesi, che hanno allestito aree di detenzione per i pirati nella regione nord-orientale del Puntland.
Continue reading

Pentiti di niente: “Un memoriale cosparso di frasi dubitative”

Standard

Carlo SaronioÈ a fine ’79 che in questa vicenda dunque Carlo Fioroni si presenta come protagonista, sulla scia di quanto sta già facendo un altro ex-compagno, Antonio Romito, che ha fatto partire l’indagine padovana. Nei primi giorni del dicembre 1979 Fioroni chiede di poter essere ascoltato nell’ambito dell’indagine “7 aprile” e inizia un racconto che calza a pennello con quanto i magistrati stanno delineando: mette in relazione infatti il nome di Toni Negri con quello di altri 149 militanti della sinistra extraparlamentare, indicati tutti come complici in moltissime azioni che vanno dal sequestro Saronio a una serie di delitti commessi quando Fioroni era già in carcere e che dunque non può conoscere. Almeno non di prima mano. In merito alle accuse che piovono copiose prima e durante il processo di secondo grado per la morte di Carlo Saronio e che vengono credute malgrado l’imprecisione della fonte, scrive in proposito il giornalista e scrittore Pasquino Crupi:

Tutto il memoriale di Fioroni è cosparso e, nei punti delicati, sorretto (diciamo demolito) da sospensioni di memorie, incisi dubitativi, impressioni, opinioni, deduzioni, sensazioni, locuzioni cautelative, allargamenti, estensioni e generalizzazioni. Li trascriviamo, mettendo in parentesi le frequenze d’onda. Non so (6); Non ricordo se (12); se ben ricordo (2); non mi sovviene il nome (1); non ricordo il nome (7); se non ricordo male (1); non ricordo (3); ho il vago ricordo (1); a quanto ricordo (1); di cui non so il nome (1); mi pare (16); mi sembra (8); avevo l’impressione (1); non sono sicuro (1); non sono sicurissimo (1); sono quasi sicuro (1); ritenni (1); ritengo (6); sono intimamente convinto (1); mi convinsi (1); ho sempre ritenuto (1); non escludo (3); se non erro (6); se non m’inganno (1); se non vado errato (7); se non sbaglio (1); mi posso sbagliare (2); mi riferì (7); mi fu riferito (2); che io sappia (1); a quanto seppi (1); a quel che seppi (2); per quanto io ne sappia (1); come seppi (3); da quanto appresi (1); a quanto appresi (2); come m’informò (1); come mi raccontò (1); mi risulta (4); non sono in grado (4); mi domando ancora (1); nessun dubbio (1); non ebbi dubbi (1); mi fece intendere (1); io intesi (1); solo in via d’ipotesi posso pensare (1); mi fece pensare (1); attribuii successivamente nella mia mente (1); trassi il sospetto (1); non posso precisare (1); si può affermare (1); poco prima o poco dopo (1); dopo un giorno o due (1); a mio avviso (1); forse (7); probabilmente (3); quasi sicuramente (1); quasi certamente (2).

Continue reading

Il signor Billionaire: il lato non raccontabile di una testa calda di Cuneo che approda al jet set internazionale

Standard

Il signor BillionaireLe cronache mondane, quelle sportive e talvolta anche quelle giudiziarie tendono a cristallizzare un personaggio nell’istante in cui viene raccontato: lo yatch, l’aereo privato, le scuderie di un gran premio di Formula Uno, il pancione della giovanissima e bellissima compagna in attesa dell’erede. Flavio Briatore, per la maggior parte dei giornali, è sempre stato Flavio Briatore, con i club per ultra-vip sulle coste della Sardegna, il costante trasudamento di denaro anche nelle istantanee che lo ritraggono nelle mise più sgarruppate, gli scandali e scandaletti a suon di favori sessuali e spionaggio industriale in cui ogni tanto lui e il suo entourage sono inciampati.

Ma anche dietro Flavio Briatore c’è un passato non così limpido. Tre giovani giornalisti, già fattisi conoscere per il libro-intervista Piazza Fontana. Noi sapevamo al generale del Sid Gianandelio Maletti, quel passato lo hanno raccontato nel libro Il signor Billionaire. Ascesa, segreti, misteri e ‘coincidenze’ (Aliberti Editore). Avvalendosi dei vecchi e rodati strumenti del mestiere, Andrea Sceresini, Maria Elena Scandaliato e Nicola Palma sono andati a scavare dall’inizio, da dove tutto cominciò. Era la Cuneo degli anni Settanta, dove il “Tribüla”, soprannome di un giovane e iroso Briatore, inizia la sua carriera tra assicurazioni, locali pubblici e acerbe attività imprenditoriali che finiscono male. Ci sono i soci di quegli anni, come Attilio Dutto, morto ammazzato il 21 marzo 1979 dalla sua auto che salta per aria. Un attentato a cui Flavio scampa per il proverbiale miracolo, un ritardo di un quarto d’ora.

Ma ci sono i contatti anche con futuri indagati per fatti di mafia, c’è il gioco d’azzardo che diventa una professione, una specie di “butta dentro” ai tempi in cui Briatore si dava da fare per trovare clienti per i casinò e intascarsi la sua fetta sulle perdite degli sventurati (tra cui il suo stesso socio e amico Dutto). E poi c’è un altro socio in affari, Lorenzo Streri, che sparisce nel nulla e altrettanto nel nulla spariscono i suoi averi mobili, pari a una quindicina di miliardi scomparsi insieme ai trenta già spariti dopo l’auto saltata per aria.
Continue reading

Pentiti di niente: e Toni Negri diventò il nuovo grande inquisito

Standard

Carlo SaronioInsomma su Antonio Negri – che sta via via assumendo i connotati del grande vecchio della sovversione italiana, il manipolatore di giovani menti, il profittatore del patrimonio di militanti fragili e dall’animo travagliato – si addensano due distinti temporali: quello seguito dal pubblico ministero Spataro a Milano e l’altro, quello romano, istruito dal giudice Amato.

Al momento ci sono solo parole, contro di lui, ancora nessuna prova, nessun indizio che lo inchiodi alle responsabilità che gli vengono attribuite. Ma occorre indagare, interrogare. E così il professore padovano che nei primi anni Settanta era stato uno dei leader di Potere Operaio, deve rispondere alle domande dei magistrati. Inizia a raccontare di aver conosciuto Carlo Fioroni nel 1967 a Bologna e i due si erano incrociati negli anni in cui era entrato a far parte di POTOP assumendo a un certo punto l’iniziativa “tutta personale” di instaurare rapporti con Giangiacomo Feltrinelli. E prosegue:

Fioroni era entrato nella logica gappista per molte ragioni, ivi compresa la sua condizione personale e familiare che lo condizionavano notevolmente. Ciò dico per non per attaccare Fioroni, perché si tratta di circostanze assai penose e meritevoli di attenzione piuttosto che di critica malevola, ma perché servono a inquadrare la sua figura e la sua storia personale. Dopo essere stato coinvolto in vicende giudiziarie di notevole gravità, ripresi i contatti col movimento, egli appariva ed era un uomo solo, nel senso che riceveva da un lato poco credito e dall’altro tentava di far valere la sua precedente militanza ed esperienza come unico elemento di qualificazione.

Io ebbi nei confronti del Fioroni un atteggiamento amichevole, umanamente gli fui vicino. Lo aiutai materialmente e in ogni modo che mi fu possibile. Mi venne allora criticata, e mi viene tanto più ora criticata, la ‘debolezza’ dei miei comportamenti nei suoi confronti. Mi trovai nella condizione di doverlo difendere contro tutti anche perché Fioroni giocava contemporaneamente su più tavoli, per esempio tenendo contatti separati fra compagni, organismi, collettivi ed altro (che non avevano relazioni politiche fra di loro), ma presentandosi all’uno come ‘agente’ dell’altro e all’altro come ‘agente’ dell’uno […]. Aggiungo che mi accorsi allora […] che Fioroni […] si stava muovendo alla disperata sulla base di un suo progetto organizzativo.

Continue reading

4 gennaio 1991: Uno bianca, a vent’anni dall’eccidio del Pilastro

Standard

Schieramenti - Commemorazione dell'eccidio del PilastroIl 4 gennaio di vent’anni fa si consumava la strage del Pilastro, tre carabinieri – Mauro Mitilini, Andrea Moneta e Otello Stefanini, ognuno poco più che ventenne – assassinati dalla banda della Uno bianca, anche se nel 1991 ancora non lo si sapeva e le indagini si sarebbero indirizzate sui fratelli Santagata e sui loro presunti complici (poi tutti prosciolti per questi fatti, essendo la responsabilità dei tre Savi, Roberto, Fabio e Alberto). Riccardo Lenzi ha scritto in proposito un articolo pubblicato su Domani di Arcoiris Tv che parte dalle richieste di perdono inviate a più riprese dai criminali ai familiari delle vittime:

Spietato. Quale altro aggettivo per uno Stato che non si fa carico del dolore di queste e di tante altre madri? Come giustificare un ministro della giustizia (Alfano) che, dopo aver annunciato la sua presenza, lo scorso ottobre ha disertato la commemorazione delle vittime della Uno bianca? Chi può negare che le lentezze e gli “errori” della giustizia, l’ipocrisia della politica e le offensive richieste di perdono degli assassini abbiano reso ancora più doloroso il calvario di queste madri?

[…] Storie d’Italia. Storie di vita e di morte, “di amore e di odio”. Terrificanti e commoventi. Il cui ricordo è, dovrebbe essere, un dovere civile. Lo scorso 23 dicembre, nel silenzio dei media, ricorreva il 20° anniversario dell’assalto dei fratelli Savi al campo nomadi della Bolognina, in cui morirono due zingari: Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina. Ma i Rom, si sa, non interessano quasi a nessuno. Perché non votano e non portano voti.

Badate: non è questione di amore o di odio. Quel che manca è la giustizia (terrena). Forse solo l’urlo delle madri può risvegliare dal torpore coloro che si accontentano delle verità ufficiali. Nel caso della Uno bianca, vorrebbero farci credere alla favola degli sbirri cattivi sconfitti dagli sbirri buoni: i buoni arrestano le mele marce e tutti vissero felici e contenti. Purtroppo non è così.

E a proposito degli attacchi ai campi rom, si veda quest’altro articolo di Riccardo, Dicembre 1990: quando a Bologna si sparava agli zingari. E qui lo speciale curato da Repubblica Bologna.

Pentiti di niente: “Hanno buttato lì la proposta di rapire Saronio. Tu che ne pensi?”

Standard

Carlo SaronioQuando si torna a esaminare la “verità Casirati”, il criminale comune non chiarisce ma butta altra legna sul fuoco. Parla infatti di Alceste Campanile, il ragazzo assassinato nella campagna reggiana nel 1975 poco più di due mesi dopo il sequestro, e sostiene che secondo lui assomiglia fin troppo a un giovane che andava in giro con Carlo Fioroni e Franco Prampolini prima che fossero arrestati a Lugano. Inoltre i carcerieri dell’ingegnere gli hanno descritto il ragazzo che accompagnava Fioroni quando questi si presenta nella villa di Garbagnate: dalle loro parole si convince che è proprio Alceste Campanile tanto che – gli dicono – aveva pure la parlata emiliana.

Ribadisce poi che il vertice dell’Organizzazione aveva dato il suo benestare ai sequestri per autofinanziamento e che Gianfranco Pancino, durante un incontro nella Torre Velasca di Milano, gli aveva consegnato una fiala su cui c’era scritto “etere” da utilizzare prima con Vittorio Duina e poi impiegata per Saronio. Infine sostiene che l’Alfetta usata per il trasferimento dell’ostaggio da Garbagnate a Melnate era stata bruciata perché non rimanessero impronte digitali e l’odore di etere era così forte che la polizia avrebbe potuto insospettirsi se l’avessero fermata.

Incalzato dal pubblico ministero Armando Spataro a proposito di una serie di incongruenze che non sono state spiegate, Casirati ammette che tutta la verità non l’ha ancora raccontata. Innanzitutto cova rancore nei confronti di Fioroni che lo accusa subito dopo l’arresto in Svizzera e poi si duole di aver fatto il nome dei carcerieri, che avevano sempre tenuto un comportamento più che corretto verso l’ostaggio. Infine ritratta di nuovo tutto: i finti carabinieri non indossano alcuna divisa ma si limitano a qualificarsi come tali, non è mai esistita alcuna prigione perché Carlo Saronio non muore durante un cambio di covo, ma viene assassinato subito dopo essere stato catturato.
Continue reading

Sisto nero: la storia di un Borbone e dei suoi rapporti con l’eversione in Spagna

Standard

La voce delle vociLa sua morte, avvenuta a Barcellona il 18 agosto scorso, è passata in pratica sotto silenzio, rispetto a quelle più ricordate a mezzo stampa di Giovanni Ventura e Francesco Cossiga. E altrettanto è accaduto con la sua tumulazione, avvenuta qualche giorno più tardi a Parma, nella basilica di Santa Maria della Steccata, dove già alcuni dei suoi avi sono stati sepolti.

Era un personaggio dimenticato della recente storia italiana, Carlo Ugo di Borbone-Parma, una vita trascorsa tra la Francia e soprattutto la Spagna, dove negli anni Sessanta riuscì a inimicarsi il fronte filo-realista dei carlisti, fallì nella gestione dei suoi rapporti con il dittatore iberico Francisco Franco e ruppe con la famiglia per essersi avvicinato a istanze che si ispiravano al socialismo jugoslavo di Tito. Ma nemmeno ci si ricordò che, negli anni Settanta, tornò al carlismo per traghettarlo verso istanze democratiche post-franchiste e che suoi uomini, collaboratori a lui vicino in questo progetto, vennero assassinati il 9 maggio 1976 nel massacro di Montejurra, la cui responsabilità fu addossata all’estrema destra spagnola e ad alcuni neofascisti italiani, tra cui Stefano Delle Chiaie.

I fatti di Montejurra, per con Carlo, rientravano in un conflitto non solo politico, ma anche familiare. Un conflitto che poneva su due fronti opposti lui e suo fratello Sixto, di dieci anni più giovane (nacque nel 1940) e con frequentazioni ben più radicali. Sostenitore del leader francese del Fronte Nazionale, Jean-Marie Le Pen, tra le sue frequentazioni annoverava l’arcivescovo scomunicato da Giovanni Paolo II Marcel Lefebvre e dal 1977, anno della morte del padre, scalzò il fratello assumendo il titolo di “portabandiera della tradizione” e della reazione carlista.
Continue reading

Pentiti di niente: la parola al compagno Casirati, nuovo dissociato

Standard

Carlo SaronioDi politica Carlo Casirati si era sempre occupato poco o nulla fino a quando, all’inizio degli anni Settanta, rinchiuso nel carcere di San Vittore, non sente voci su fantomatiche collaborazioni che stavano nascendo tra politici e comuni. Quello di Oreste Strano è un nome che circola parecchio, in proposito.

Così, quando all’inizio del 1974 Casirati evade, attraverso di lui prende contatto con l’Organizzazione e con Carlo Fioroni. Ma non gli piace, il professorino, gli sembra uno sprovveduto, uno che si fa di troppa teoria, e allora riceve l’autorizzazione ad agire per conto suo, nella più completa indipendenza quando si tratta di scegliere obiettivi e complici degli espropri proletari. D’altro canto i suoi rapporti con Toni Negri sono così disinvolti e talmente poco gerarchici che, dopo una rapina, si rifugia con Alice Carobbio nella casa padovana del docente universitario e ottiene di dormire con lei nel letto matrimoniale di Negri tra i rimbrotti dei compagni e la divertita disponibilità del suo ospite.

Inizia così la dissociazione di Carlo Casirati e inizia così il nuovo racconto che fa degli eventi che hanno portato alla morte di Carlo Saronio. Ma come per Fioroni, anche le sue parole verranno smontate e fatte a pezzi negli anni successivi, frutto di suggestioni ben congegnate che avrebbero dovuto portare – e portarono – in carcere le decine di persone giudicate nel processo “7 aprile”.

Casirati dice di fare lo sbruffone con Negri, ma di esserne anche in qualche modo soggiogato, vittima di una specie di lavaggio del cervello che lo porterà a partecipare a una rapina in uno stabilimento di Marghera per portare via le buste paga, a un’altra alla Montedison di Porto Marghera, a incursioni in ville e appartamenti per arraffare preziosi e argenteria e a trafficare con documenti da falsificare. Descrive se stesso come punto di snodo tra la criminalità politica e comune, passante attraverso cui transitano armi usate dall’una o dall’altra schiera, riferimento per le attività di ricettazione.
Continue reading