Il signor Billionaire: il lato non raccontabile di una testa calda di Cuneo che approda al jet set internazionale

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Il signor BillionaireLe cronache mondane, quelle sportive e talvolta anche quelle giudiziarie tendono a cristallizzare un personaggio nell’istante in cui viene raccontato: lo yatch, l’aereo privato, le scuderie di un gran premio di Formula Uno, il pancione della giovanissima e bellissima compagna in attesa dell’erede. Flavio Briatore, per la maggior parte dei giornali, è sempre stato Flavio Briatore, con i club per ultra-vip sulle coste della Sardegna, il costante trasudamento di denaro anche nelle istantanee che lo ritraggono nelle mise più sgarruppate, gli scandali e scandaletti a suon di favori sessuali e spionaggio industriale in cui ogni tanto lui e il suo entourage sono inciampati.

Ma anche dietro Flavio Briatore c’è un passato non così limpido. Tre giovani giornalisti, già fattisi conoscere per il libro-intervista Piazza Fontana. Noi sapevamo al generale del Sid Gianandelio Maletti, quel passato lo hanno raccontato nel libro Il signor Billionaire. Ascesa, segreti, misteri e ‘coincidenze’ (Aliberti Editore). Avvalendosi dei vecchi e rodati strumenti del mestiere, Andrea Sceresini, Maria Elena Scandaliato e Nicola Palma sono andati a scavare dall’inizio, da dove tutto cominciò. Era la Cuneo degli anni Settanta, dove il “Tribüla”, soprannome di un giovane e iroso Briatore, inizia la sua carriera tra assicurazioni, locali pubblici e acerbe attività imprenditoriali che finiscono male. Ci sono i soci di quegli anni, come Attilio Dutto, morto ammazzato il 21 marzo 1979 dalla sua auto che salta per aria. Un attentato a cui Flavio scampa per il proverbiale miracolo, un ritardo di un quarto d’ora.

Ma ci sono i contatti anche con futuri indagati per fatti di mafia, c’è il gioco d’azzardo che diventa una professione, una specie di “butta dentro” ai tempi in cui Briatore si dava da fare per trovare clienti per i casinò e intascarsi la sua fetta sulle perdite degli sventurati (tra cui il suo stesso socio e amico Dutto). E poi c’è un altro socio in affari, Lorenzo Streri, che sparisce nel nulla e altrettanto nel nulla spariscono i suoi averi mobili, pari a una quindicina di miliardi scomparsi insieme ai trenta già spariti dopo l’auto saltata per aria.
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Piazza Fontana: Vinciguerra prende la parola dopo il libro-intervista al generale Maletti

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Piazza Fontana. Noi sapevamoDopo l’uscita del libro Piazza Fontana. Noi sapevamo scritto da Nicola Palma, Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato (lunga intervista al generale del Sid Gianadelio Maletti, a capo del controspionaggio, di cui era detto qui) qualche reazione si è avuta. La reazione è di Vincenzo Vinciguerra, all’ergastolo per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e gola profonda dell’eversione neofascista italiana (spaziando anche verso Gladio), riportata in due post pubblicati sul blog dell’editore, Aliberti.

Sono Furbi, anzi furbissimi e Il passato che non passa in cui si legge che:

Triste sorte, quella di un Paese dove bisogna attendere la morte degli ultimi delinquenti rimasti in vita per conoscere le malefatte di cui sono stati co-protagonisti in passato. Ma senza bisogno di attendere la morte di Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani, il generale Arnaldo Ferrara, Giorgio Napolitano e altri oggi ottantenni e novantenni disperatamente attaccati alla vita, e spesso anche alla poltrona, possiamo dire che la verità ormai si conosce ma nessuno vuole trarne le doverose conseguenze.

Ma oltre a citare ex e attuali notabili democristiani, il neofascista in carcere fa il nome anche del ministro della difesa in carica, Ignazio La Russa, accostandolo a quanto scrisse il bandito Renato Vallanzasca quando «parlò di un dirigente missino di Milano che pagava la malavita per far mettere bombe e, senza farne il nome, specificò che in quel momento ricopriva un’alta carica istituzionale».