Nicotri: il 7 aprile, i teoremi e i pseudoracconti in tempi di affarismo

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Spettacolare post di Pino Nicotri sul blog Arruotalibera. Il testo si intitola 7 aprile 1979, la lezione è ancora valida: troppo spesso il giornalismo è servile, specie quando mancano gli editori puri e abbondano invece quelli affaristi e sostanzialmente suggerisce un’evoluzione – o una nuova età – della strategia della tensione attraverso l’uso dei media. Se in questo post il processo 7 aprile è predominante non solo per questioni di anniversari (domani saranno trascorsi esattamente trent’anni), ma anche perché il giornalista ci venne tirato dentro con l’accusa di essere il telefonista delle Brigate Rosse (“confondendolo” però con Valerio Morucci), Nicotri fa anche altri esempi: quello raccontato in modo ottimo in questo libro (peraltro finito ieri: aiuta a ben comprendere quelle che sono state balle e omissioni spacciate in tutti questi anni sul caso di Emanuela Orlandi) ma anche ciò che si legge ogni giorno sui giornali, emergenze varie comprese. O, aggiungerei, la non verifica della veridicità di determinati allarmi, per i quali ci si accontenta delle denunce penali e degli epiteti istituzionali (salvo poi, in caso di disastro ricredersi o far finta di nulla). Infine racconta anche un’epoca straordinaria in cui, se un giornalista veniva accusato di reati pur gravissimi, trovava la solidarietà di (almeno) alcuni degli editori suoi committenti che scendevano in campo per primi. Ha ragione Nicotri, oggi sarebbe impensabile.

E in chiusura alcuni passaggi del post uscito su Arruotalibera

Ma veniamo ora al vero problema, che si ripete sempre: il caso 7 aprile fu in realtà un sequestro e un processo di massa a mezzo stampa. A tenere gli imputati in galera era il baccano dei mass media, che avvaloravano man mano le balle più colossali rifilate dagli inquirenti che non sapevano più come tenere in piedi una montatura tanto mostruosa quanto vacua […]. Il giornalismo pessimo, però, non quello degno del nome […].

Appena quattro anni dopo il 7 aprile ’79, lo stesso uso vergognoso dei mass media è dilagato alla grande con il caso della scomparsa della cittadina vaticana Emanuele Orlandi, che ancora oggi, a 25 anni di distanza, si insiste a dire sia stato un rapimento, quando invece perfino il giudice Severino Santiapichi, lo stesso che a Roma ha presieduto il collegio giudicante del caso 7 aprile e poi anche del caso Moro, ha dichiarato a più riprese che si è tratto di un “rapimento mediatico”: cioè di balle rifilate ai mass media e da questi ingordamente avvalorate per nascondere i veri motivi della scomparsa della ragazza. Motivi che nulla hanno di politico, ma molto devono avere a che vedere con gli obbrobbri del Vaticano se dobbiamo giudicare dalla ostinata e documentatissima volontà della “Santa Sede” di tacere e sabotare l’inchiesta dei magistrati italiani. Il culmine dell’uso violento e politicamente finalizzato dei mass media è stato senza dubbio l’invasione dell’Iraq, avvenuta grazie alla campagna di stampa a base di panzane sulle “bombe atomiche” e altre armi di distruzione di massa […].

La strategia e l’uso del capro espiatorio è vecchia più del cucco, ma ha sempre funzionato. La gestione del potere costituito e di quello arrembante per perpetuarsi, per poter fare e giustificare le guerre, ha bisogno di costruire società percorse dalla paura e dalle paure. Che portano immancabilmente alla costruzione del capro espiatorio di turno, per scoprire solo dopo che si trattava di un nemico è fasullo.

G20: G20Voice racconta il vertice con la voce dei blogger

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G20VoiceGlobal Voices parla del Progetto ‘G20Voice’ per seguire il vertice di Londra:

Come parte del progetto G20Voice [in], 50 blogger provenienti da varie parti del mondo si sono radunati a Londra per agire come nostri “occhi e orecchie” in occasione dell’incontro dell’altro giorno, 2 aprile, tra i leader mondiali al vertice del G20 [in]. I blogger provengono “da 22 diversi Paesi e rappresentano tutti insieme un pubblico globale di oltre 14 milioni di lettori e partecipanti online”.

Global Voices è uno dei partner [in] del progetto, insieme a Oxfam Great Britain [in], Save the Children [in], One [in] e Blue State Digital [in].

Per seguire lo speciale dedicato a G20Voice, basta visitare il sito http://www.whitebandaction.org/en/g20voice [in].

Center for Public Integrity: come fare giornalismo investigativo

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Luca De Biase segnala come esempio di giornalismo investigativo Tobacco Underground sul contrabbando internazionale di sigarette, dossier curato da Marina Walker Guevara e realizzato da un nutrito team. Di fatto tutto il progetto che ospita questa inchiesta è un esempio da setacciare in profondità: si tratta del Center for Public Integrity, organizzazione non profit che si propone una serie di obiettivi:

  • generare reportage investigativi di ala qualità e accessibili, basi di dati e analisi di questioni di importanza pubblica
  • diffondere lavori di giornalisti, analisti, studiosi e cittadini usando un mix di media digitali, elettronici e cartacei
  • educare, coinvolgere e rendere i cittadini più consapevoli con strumenti e competenze di cui hanno bisogno per compenetrare decisioni del governo e di altre istituzioni
  • organizzare e supportare giornalisti investigativi nel mondo che applicano i valori del Centro, la sua missione e gli standard dei progetti oltre confine
  • rimanere indipendenti costruendo una base finanziaria solida e sostenibile che includa una comunità di individui impegnati e fondazioni

Chi finanzia le singole inchieste è elencato in ciascuna mentre qui viene spiegato come supportare. Accanto a tutto ciò un blog racconta novità ed evoluzioni del progetto.

Il programma di Gelli: dalla spaccatura dei sindacati alla conclusione

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Il programma di Licio Gelli

Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della cisl e maggioritari della uil, per poi agevolare la fusione con gli autonomi in una libera confederazione, oppure, senza toccare gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederali allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti.
(Piano di rinascita democratica, procedimenti, articolo 3)

Le cronache degli ultimi mesi del 2008 hanno mostrato poi un aspetto di particolare evidenza nella vita politica del paese: la spaccatura del fronte sindacale. È accaduto in settembre per il caso Alitalia durante le trattative per cedere la “good company” alla Cai (Compagnia Aerea Italiana): da un lato ci sono la Cgil di Guglielmo Epifani e i sindacati autonomi, dall’altro la Cisl di Raffaele Bonanni e la Uil di Luigi Angeletti. A scindere in due le maestranze è in quest’occasione l’accordo sui lavoratori della compagnia aerea. Il mese successivo accade qualcosa di molto simile per i tagli alla scuola pubblica e in novembre sui modelli contrattuali e sul pacchetto anticrisi da attuare per sorreggere economia reale, imprese e famiglie di fronte al crollo di mercati valutari, istituti finanziari e colossi assicurativi.

E questo nonostante Epifani stesso abbia voluto assumersi un ruolo propositivo inviando al ministro dell’economia Giulio Tremonti una piattaforma di lavoro che però, agli occhi dell’esecutivo, contiene un peccato originale insormontabile: se si applicassero anche solo alcuni dei punti contenuti, come la detassazione delle tredicesime, si minerebbe la triennale legge finanziaria che l’esecutivo ha varato. Intanto Bonanni e Angeletti partecipano a meeting riservati a esponenti del governo e di Confindustria, prendono le distanze da scioperi e manifestazioni di piazza e sperano, forse, si vedersi attribuire il merito di qualche riforma andata in porto.

La strategia ad excludendum del fronte sindacale, nemmeno questa, però, è un fatto nuovo. Se si fa un balzo indietro al 2002, ci si imbatte in una situazione analoga, anche se forse allora era più esacerbata di quanto non sia al momento la spaccatura del 2008 (ma, come per la giustizia, anche l’affaire sindacato è ancora in evoluzione). Ai tempi infatti erano due gli scontri in corso: quello sul “patto per l’Italia” e l’altro sulla proposta di revisionare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
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Jasmina Tešanović: a un decennio dai bombardamenti della Nato

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NATO bombing during the War in 1999 - Photo by Jaime SilvaJasmina Tešanović, l’autrice (tra l’altro) dello splendido Processo agli scorpioni, racconto tra il giornalistico e il militante sul massacro di Srebrenica del 1995, viene ospitata da BoingBoing.net con il suo 10 years after Nato bombings of Serbia. Che inizia il 26 marzo 1995, alle cinque del pomeriggio, scrivendo:

Spero che sopravviveremo tutti a questa guerra, a queste bombe: i serbi, gli albanesi, i ragazzi cattivi e quelli buoni, coloro che imbracciarono le armi e coloro che invece disertarono, i rifugiati che si aggirano per le foreste del Kosovo e i rifugiati di Belgrado che se ne vanno per le strade tenendo in braccio i loro figli, alla ricerca di ripari che non esistono quando iniziano a suonare gli allarmi antiaerei. Spero che i piloti della Nato non abbandonino mogli e bambini che vedo piangere alla Cnn mentre i loro mariti e padri decollano verso gli obiettivi militari serbi. Spero che sopravviveremo tutti ma non in un mondo del genere. Spero che riusciremo a rompere il muro delle parole che lo chiamano democrazia e dittatura. Quando i membri del Congresso americano stimano 20 mila morti civili tra i serbi dicendo che si tratta di un piccolo prezzo da pagare per la pace in Kosovo o il presidente Clinton dichiara di mirare a un’Europa liberata […] o il presidente serbo Milutinovic annuncia una guerra senza quartiere, penso sempre che tutti questi individui stanno parlando del mio sangue e non del loro.

Processo 7 aprile: un libro a trent’anni di distanza

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Processo 7 aprileA distanza di trent’anni dall’inizio dei fatti, dal 3 al 7 aprile prossimi ci sarà a Padova una serie incontri per raccontare quello che fu il processo 7 aprile, giustamente definito da Emilio Vesce il “prototipo dell’emergenza” giudiziaria. Per il dettaglio degli eventi, si veda quanto pubblicato da Radio Sherwood, ma qui invece ci si vuole soffermare sul libro collettivo attorno a cui ruota la tre giorni veneta, pubblicato dal Manifesto Libri e in uscita proprio nel giorno del trentesimo anniversario: si tratta di Padova trent’anni dopo: processo 7 aprile, voci della città degna nella cui prefazione si legge:

La piccola sperimentazione che abbiamo condotto per produrre questo testo […] ci dice che il tempo è relativo rispetto a principi basilari, fondati su un’idea di mondo che, allora come ora, non coincide per niente con quella che ci viene imposta. Non troverete capitoli titolati in questo testo, ma tanti nomi di persone. I loro nomi, il loro racconto orale trascritto o lo scambio epistolare, sono la forma che abbiamo scelto. Sono i nomi di uomini e donne che, in forme diverse, sono stati attraversati, segnati profondamente, nel corpo e nella mente, da quegli avvenimenti. Sfidando il tempo e la storia ve li consegnamo trasformandoli da imputati, accusati, arrestati, toccati a vario titolo, in testimoni d’accusa contro la rimozione e la falsificazione delle tante storie che ci appartengono. Le loro voci compongono il tessuto di una “città degna” che esiste, oggi come ieri.

“Il Mattino di Padova” a libro ed eventi ha dedicato un articolo ripreso da Global Project. Inoltre all’interno del volume ci sono le testimonianze di e su alcuni dei (loro malgrado) protagonisti di questa lunghissima vicenda giudiziaria, per la quale si mobilitò nei primi anni ottanta anche Amnesty International e non una sola volta. Altra fonte su questa storia è il lavoro di Luca Barbieri che viene pubblicato a puntate a Carmilla, “I giornali a processo: il caso 7 aprile”, e riunito all’interno della sezione Controinformazione. Ciò che accadde prima, a partire dal 1975, dopo il sequestro di Carlo Saronio – involontaria scintilla che contribuirà a innescare anni più tardi il processo 7 aprile attraverso false accuse contro gli ex militanti di Potere Operaio – viene invece narrato in Pentiti di niente (qui per il download del libro).

Mobilitazioni per cause discutibili e per altre invece doverose

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L'alternativa del copyleftNon dovrebbe nemmeno essere in discussione l’idea che uno scrittore scrive perché le sue storie siano lette il più ampiamente possibile. Creative Commons è una sistema ottimale perché questo avvenga nel rispetto delle libertà di tutti. Per questo c’è da augurarsi che nessuno scrittore italiano aderisca a questo appello per una class action contro la digitalizzazione e la messa online dei libri. Non per nulla, questo invito sarebbe stato inviato a tutti gli associati Siae.

Se poi proprio le class action – o qualcosa di logicamente affine – si vogliono fare, ci sono cause che meritano di più. Come per esempio quella a favore del cronista Pino Maniaci (cliccando si arriva sulla petizione a suo sostegno), minacciato dalla mafia per il suo lavoro a Telejato e paradossalmente rinviato a giudizio perché accusato di esercizio abusivo della professione non essendo iscritto all’ordine dei giornalisti. Se ne legga per qualche informazione ulteriore qui e qui.

“Governare con la paura”: dal G8 di Genova ai decreti sicurezza

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Dopo o, meglio, insieme al documentario G8/2001 – Fare un golpe e farla franca di cui s’era parlato un po’ di tempo fa, uscirà tra una ventina di giorni per Melampo Editore il cofanetto Governare con la paura. Prove tecniche di colpo di Stato:

Un libro e due dvd, raccolti in un cofanetto, raccontano la storia degli abusi del potere in Italia dal G8 di Genova ai giorni nostri. Il titolo, “Governare con la paura”, si riferisce alla strategia sperimentata nel luglio del 2001 per le strade del capoluogo ligure invase dai manifestanti no global. Finì in tragedia. Oggi gli stessi modi di operare vengono riproposti dai vari decreti sicurezza approvati dal governo Berlusconi. Mano dura contro i più deboli, gli extracomunitari, contro chi protesta e non si adatta alle regole imposte dall’alto. Sicurezza è la parola d’ordine in base alla quale l’opinione pubblica deve accettare nuove regole che limitano la libertà e i diritti dei singoli. “Attenzione – avverte però il senatore Furio Colombo in un passo del film – sicurezza è il termine che ha spianato la via ai dittatori da Mussolini a Hitler, ed oggi a Putin”.

Ius sanguinis: la Calabria delle donne raccontata da Paola Bottero

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Ius SanguinisCittà del sole è una casa editrice che mi piace perché è coraggiosa. È coraggiosa perché è piccola, perché pubblica libri di denuncia (come questo e questo) e perché lo fa in una terra non facile, la Calabria. Lo dimostra ancora una volta con un nuovo volume, Ius Sanguinis di Paola Bottero il cui sottotitolo, “rabbia, impotenza e speranza nella punta dello stivale”, aggiunge già qualche elemento ulteriore sui suoi contenuti. Va detto poi che questo libro è un corpus che si compone di quattro vicende di donne che, per versi differenti, finiscono per impattare contro una mentalità e una realtà scandite da sessismo e omertà. Infatti:

Alice è una sedicenne di Reggio Calabria costretta a confrontarsi con la violenza cieca e ignorante del suo ex fidanzato. Roberta è la sorella di Gianluca Congiusta, imprenditore trantaduenne ucciso dalla ‘ndrangheta a Siderno, nella Locride. Federica Monteleone è la ragazzina ricoverata nell’ospedale di Vibo Valentia per una banale operazione di appendicite e morta per anossia cerebrale. Lisa rappresenta le domande, le risposte, la rassegnazione. O forse la scelta consapevole del baratto: il silenzio in cambio di piccoli privilegi. Un romanzo al femminile, immerso in una cultura maschile e maschilista. Un romanzo della rabbia e della speranza, ritratto di una Calabria folle e sanguigna, ma animata ancora dalla forza di chi ha imparato a non arrendersi.

Accanto al libro sono stati creati anche un sito e un blog dove l’autrice ha iniziato a tenere traccia delle reazioni e delle osservazioni dei lettori.

Il programma di Licio Gelli: la magistratura, quel grande nemico

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Il programma di Licio Gelli

Ordinamento giudiziario: le modifiche più urgenti investono:
– la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;
– il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;
– la normativa per l’accesso in carriera (esami psico-attitudinali preliminari);
– la modifica delle norme in tema di facoltà di libertà provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche tentata – nei confronti dello Stato e della Costituzione, nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico, di rapina a mano armata, si sequestro di persona e di violenza in generale.
(Piano di rinascita democratica, programmi, articolo a1)

La storia dell’impero editoriale raccontata in precedenza non è stata lineare né tranquilla. Di questioni aperte ce ne sono moltissime: lodo Mondadori, affaire Rete4, processo imi-sir con le condanne a Cesare Previti, indagini antimafia su Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. Oltre all'”uso criminoso” della televisione pubblica che, ripete a pie’ sospinto il premier, sarebbe in mano alla sinistra, c’è anche la magistratura.

Berlusconi ha di recente ribadito tutto il suo disprezzo per la categoria proprio come fecero diversi suoi predecessori. Nel luglio 1981, per esempio, Bettino Craxi commenta il suicidio del tenente colonnello delle fiamme gialle Luciano Rossi, fresco di interrogatorio perché un suo rapporto su Licio Gelli non aveva seguito l’iter previsto in caso di indagine giudiziaria, ma era stato ritrovato nel corso della perquisizioni dell’81 di Villa Wanda, la residenza aretina del venerabile. La storia andò in sostanza così: nel 1974 erano diversi gli uffici investigativi che volevano vederci chiaro sul patrimonio di Gelli e sulle sponde politiche di cui poteva godere. Così il colonnello Salvatore Florio, comandante dell’Ufficio I della guardia di finanza, incaricò Rossi e altri ufficiali di dare un’occhiata, incurante dei dissidi che si sarebbero creati con i suoi superiori, i già citati generale Raffaele Giudice e colonnello Donato Lo Prete, che lo avevano peraltro invitato a iscriversi alla loggia (Florio rifiuterà e morirà nel luglio 1978 in un incidente stradale in Veneto dalla dinamica mai del tutto accertata).

Quando il ritrovamento del rapporto Rossi diventa di pubblico dominio, nella tarda primavera del 1981, l’ufficiale si spara con la pistola d’ordinanza mentre si trova nel suo ufficio presso il nucleo centrale di polizia tributaria. Nonostante i dubbi su questa versione avanzati a più riprese da Massimo Teodori, membro della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, la tesi del suicidio rimane quella più accreditata e Craxi accusa in una seduta a Montecitorio quelle “azioni giudiziarie che presentano aspetti scriteriati [e] generale furia accusatoria [che] ha fatto delle vittime, coinvolgendo persone che io continuo a considerare in buona fede, spingendo molti alla disperazione”.
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