“Il cuore occulto del potere”: la vera storia dell’Ufficio Affari Riservati

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Il cuore occulto del potere - Storia dell'ufficio affari riservati del ViminaleL’Ufficio Affari Riservati, struttura dipendente dal ministero dell’Interno, è stato a lungo un enigma. Si sapeva della sua esistenza e si sapeva che colui che ne fu a lungo al vertice, Federico Umberto D’Amato, c’entrasse con alcune delle vicende meno chiare ascrivibili al periodo della strategia della tensione. Ma mancava una ricostruzione che ne tracciasse la storia dall’inizio e cioè da quando, nel 1919, Francesco Saverio Nitti volle ristrutturare i servizi segreti del Viminale creando il Dagr, la divisione affari generali e riservati.

Le fonti che Giacomo Pacini, ricercatore dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’età contemporanea di Grosseto, ha consultato per il suo libro “Il cuore occulto del potere. Storia dell’ufficio affari riservati del Viminale – 1919-1984” (Nutrimenti, 2010, 256 pagine) sono molteplici. Ci sono le carte del giudice istruttore di Venezia, Carlo Mastelloni, ma anche i documenti saltati fuori all’improvviso negli anni Novanta dai faldoni del Viminale. Si incontrano gli atti acquisiti a processo per le stragi di Piazza Fontana e di Piazza della Loggia. Ma c’è anche parecchio materiale che deriva da appunti, in formative e rapporti dello stesso Ufficio affari riservati. Materiale che ha consentito di ricostruire una fittissima rete di informatori, provenienti tanto da destra quanto da sinistra, dall’extraparlamentarismo degli anni Settanta e dalle formazioni politiche ufficiali.
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Graziella De Palo e Italo Toni: a trent’anni dalla scomparsa

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Italo Toni e Graziella De PaloGiovedì prossimo, 2 settembre, saranno passati esattamente trent’anni. Trent’anni in cui loro non solo non sono mai stati ritrovati. Ma anche trent’anni in cui non è stato possibile nemmeno ricostruire nel dettaglio la storia dei loro ultimi giorni di vita e di lavoro in Libano. Questo “grazie” a depistaggi, al segreto di Stato sull’operato di ufficiali dei servizi organici alla P2 e omissis tuttora esistenti (in relazione alle persone in vita. Tuttavia va poi aggiunto che sono oggi numerosissimi i documenti non ancora desecretati su questa vicenda. Per una sua ricostruzione si veda qui).

La storia è quella di Graziella De Palo e Italo Toni, giornalisti, 24 anni lei e 50 lui, spariti nel nulla da Beirut ovest, sotto il controllo palestinese, una mattina di sei lustri fa. E per ricordare questa vicenda, giovedì a Roma ci saranno le manifestazioni “Graziella e Italo – A trent’anni dalla scomparsa”. Su Facebook, per chi è iscritto, è stato pubblicato il dettaglio degli eventi previsti mentre, ad accesso libero, da qui [pdf, 723KB] si può scaricare il programma completo. Che comprende a Villa Gordiani (via Olevano Romano) lo scoprimento di due targhe toponomastiche con cui si intitolano altrettanti viali ai giornalisti italiani.

Infine va introdotta (e da approfondire più avanti) la costituzione in équipe di un gruppo di cronisti che intende rivisitare l’intera vicenda, anche alla luce di quanto il governo avrà il buon cuore di desecretare (e soprattutto rendere accessibile alla stampa. Le due azioni non sono consecutive né automatiche). Si è ancora all’inizio di questo percorso, ma l’intenzione è quella di riuscire a raccontare un pezzo di storia che ha visto cadere Graziella De Palo e Italo Toni, finiti in un mosaico ben più grande, di respiro internazionale.

Bolognesi: “Almeno un minuto di verità, solo questo si dovrebbe osservare”

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Domani di Maurizio ChiericiPaolo Bolognesi si dice sbalordito dalla quantità di parole incensanti pubblicate in questi giorni, dopo la morte di Francesco Cossiga, avvenuta il 18 agosto scorso. Il destino di questi due uomini si è intrecciato su una vicenda che ha segnato la recente storia italiana: la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. L’ex notabile democristiano era capo del governo quando esplose l’ordigno che uccise 85 persone e ne ferì più di duecento e in trent’anni si è pronunciato molte volte a proposito del più grave tra gli attentati terroristici che hanno cadenzato gli ultimi decenni. Pronunciato fino a giungere ad affermazioni incompatibili con le risultanze scientifiche delle indagini.

Con la morte di Francesco Cossiga, quelle affermazioni infondate sulla strage alla stazione di Bologna (l’esplosivo, forse palestinese, saltato per caso, il trasporto lungo l’Italia che non avrebbe dovuto avere conseguenze), potranno essere sfatate una volta per sempre oppure rischiano di rimanere inchiodate nel “si dice” della storia del 2 agosto 1980?

Quelle affermazioni erano già sfatate in partenza. Non dimentichiamo che il primo a tirarle fuori è stato Licio Gelli. Poi, in seguito, quella tesi fu ripresa anche da altri, ma occorre sempre ricordarsi chi l’ha formulata per primo, quale fu l’origine. A sfatare quelle parole del resto è la perizia balistica sull’esplosivo, nella quale si afferma che era inerte e che non poteva saltare per aria senza un innesco. La tesi di Cossiga, di Gelli, della commissione Mitrokhin si basa sul nulla.

Ma perché un uomo politico come Cossiga, con alti incarichi istituzionali, all’indomani della strage punta il dito contro i neri, ma poi cambia idea in modo così drastico arrivando addirittura a “riabilitare” gli esecutori materiali?

Questo non lo so. Si noti però che quando uscì la sentenza d’appello, quella che assolveva i terroristi condannandoli per la banda armata e che la Cassazione cancellò, Cossiga disse che si trattava di una sentenza coraggiosa. Noi gli rispondemmo che ci voleva proprio un bel coraggio a esprimersi in quei termini. Ma al di là di questo, tutte le tesi di cui si parlava prima, quelle che portavano alla pista internazionale e che da lui veniva appoggiate, hanno avuto un grande risalto.
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E K. disse a De Lutiis di quelli della commissione stragi: “Qui solo io e lei conosciamo le cose. Questi non sanno un cazzo”

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Giuseppe De Lutiis, rispondendo a qualche domanda di Simone Ceriotti per il Fatto Quotidiano, ricorda di quella volta che Francesco Cossiga gli disse in sede di commissione stragi che “qui solo io e lei conosciamo le cose. Questi non sanno un cazzo”. Si riferiva alla fine di Aldo Moro e al ruolo giocato dai servizi in diverse vicende. Aggiungendo che:

Lui che conosceva scena e retroscena del caso Moro non poteva ignorare certi incontri avvenuti a Parigi che tirano in ballo Cia e Kgb. Invece si è sempre ostinato a dichiarare che tutto era stato ideato e orchestrato dalle Brigate Rosse. Ma questo era solo un aspetto. Più in generale, il fatto che io avessi scritto una storia dei servizi segreti che metteva l’accento sulle cosiddette “deviazioni”, lo aveva convinto che il mio lavoro fosse dannoso perché lasciavo intendere che questa organizzazione tramasse contro lo Stato. Sicuramente considerava il libro “aggressivo” nei suoi confronti, ma ciò che più gli dava fastidio era che ne uscisse un’immagine negativa per i servizi segreti.

Inoltre, altra lettura interessante è quella pubblicata da Ugo Maria Tassinari, che riprende un testo di Michele Franco, La morte di Kossiga ci ricorda non solo i crimini di stato impuniti ma anche la vergogna di quanti – anche a sinistra – vollero farsi stato!, disponibile anche su Contropiano.

Affaire Pollari-Pompa: magistrati, giornalisti e attivisti si costituiscono parte civile

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Ancora a proposito dei dossieraggi illegali fatti dal tandem spionistico Nicolò Pollari-Pio Pompa, Andrea Cinquegrani, codirettore del mensile La voce delle voci, di ritorno dalle aule di giustizia umbre, ha scritto un testo che viene riportato sotto in forma integrale. Si intitola Il gup di Perugia: la consulta dichiari che non spetta a Berlusconi porre il segreto sul peculato di Pompa e Pollari. Ecco dunque le considerazioni di Andrea.

Non c’è alcun motivo per cui l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e il suo braccio destro Pio Pompa, imputati per peculato nel processo davanti al gup di Perugia, possano invocare il segreto di Stato. È quanto, in sostanza, sostiene il gup Carla Giangamboni la quale, dopo aver ammesso la costituzione di parte civile per 7 parti lese (magistrati, avvocati, politici, giornalisti, più l’associazione internazionale Medel), ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato investendo la Consulta. «Si chiede a codesta Corte – conclude il giudice – di volere dichiarare che non spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri secretare, mediante conferma dell’opposizione del segreto da altri opposto, modi e forme dirette e indirette di finanziamento per la gestione del servizio da parte di Pio Pompa della sede di Sismi di via Nazionale a Roma, allorché il Servizio era retto da Nicolò Pollari».

Secondo i capi d’imputazione, nell’arco di ben cinque anni (dal 2001 al 2005) Pompa, su input di Pollari, avrebbe svolto una minuziosa attività di dossieraggio su una molteplicità di soggetti, accusati di voler delegittimare, con la loro azione, l’attività del premier, allora – come ora – Silvio Berlusconi. Monitorati giuristi (una trentina) facenti capo a Medel; magistrati di punta, come Libero Mancuso (7 procedimenti davanti al Csm in quel periodo), politici scomodi (come Elio Veltri e Cesare Salvi), giornalisti ficcanaso (radunati intorno al gruppo de La Voce delle Voci-La Voce della Campania, descritta da Pompa come una sorta di “Al Quaeda dell’informazione”).
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Piazza Fontana: Vinciguerra prende la parola dopo il libro-intervista al generale Maletti

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Piazza Fontana. Noi sapevamoDopo l’uscita del libro Piazza Fontana. Noi sapevamo scritto da Nicola Palma, Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato (lunga intervista al generale del Sid Gianadelio Maletti, a capo del controspionaggio, di cui era detto qui) qualche reazione si è avuta. La reazione è di Vincenzo Vinciguerra, all’ergastolo per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e gola profonda dell’eversione neofascista italiana (spaziando anche verso Gladio), riportata in due post pubblicati sul blog dell’editore, Aliberti.

Sono Furbi, anzi furbissimi e Il passato che non passa in cui si legge che:

Triste sorte, quella di un Paese dove bisogna attendere la morte degli ultimi delinquenti rimasti in vita per conoscere le malefatte di cui sono stati co-protagonisti in passato. Ma senza bisogno di attendere la morte di Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani, il generale Arnaldo Ferrara, Giorgio Napolitano e altri oggi ottantenni e novantenni disperatamente attaccati alla vita, e spesso anche alla poltrona, possiamo dire che la verità ormai si conosce ma nessuno vuole trarne le doverose conseguenze.

Ma oltre a citare ex e attuali notabili democristiani, il neofascista in carcere fa il nome anche del ministro della difesa in carica, Ignazio La Russa, accostandolo a quanto scrisse il bandito Renato Vallanzasca quando «parlò di un dirigente missino di Milano che pagava la malavita per far mettere bombe e, senza farne il nome, specificò che in quel momento ricopriva un’alta carica istituzionale».

Intercettazioni: mai una parola su quelle illegali. Le considerazioni di Andrea Cinquegrani

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Nel dibattito attuale sulle intercettazioni e sui limiti che a esse si vorrebbe porre, manca sempre un aspetto. Un aspetto che riguarda gli ascolti non autorizzati secondo le attuali procedure investigative. Per questo riporto per esteso un testo scritto da Andrea Cinquegrani, direttore insieme a Rita Pennarola del mensile La voce delle voci. Entrambi sono stati “attenzionati” (e per questo si sono costituiti parte civile al processo di Perugia) nel periodo della centrale d’ascolto di via Nazionale, quella voluta dall’intelligence italiana e affidata da Nicolò Pollari a Pio Pompa. Se ne parlava qui. Tornando al testo di Andrea, si intitola Intercettazioni? Ok, purché a farle siano solo gli 007 del Cavaliere. Nel silenzio dell’opposizione (si fa per dire) parlamentare.

Intercettazioni maledette. All’indice. Da abolire senza se e senza ma. Violano la privacy dei cittadini e mettono a repentaglio le libertà individuali. Su questo Berlusconi e il suo governo ci mettono, ci sbattono la faccia, anche a costo di crisi istituzionali e di mandare a gambe all’aria un paese ormai quasi grecizzato. Riescono nell’ardua impresa di “riunire” il mondo dei media carta-tivvu’ che da sempre prosegue in ordine sparso (e quasi sempre genuflesso). Miracoli del Cavaliere. Peccato che, qualche anno fa, precisamente dal 2001, e fino al 2005, il Berlusconi-pensiero e, soprattutto, opera, fosse diametralmente diverso. Privacy?

Chissenefrega. Diritti di chi opera nel settore dell’informazione? Vaffanculo? Rispetto per chi non la pensa come te? Fottiti. Sì, perché per un bel quinquennio i Servizi capeggiati da Nicolò Pollari (al servizio, evidentemente, dell’esecutivo berlusconiano di allora) eseguirono alla perfezione il compito assegnato: attenzionare i media di opposizione, controllare le voci contro, usare tutti i mezzi – dalle intercettazioni fino al dossieraggio e chissà a quanto altro ancora – per monitorare chi osasse pensare o scrivere in maniera non allineata.

Ad essere controllati – lo ha accertato la magistratura di Roma e poi di Perugia – sono state decine e decine di persone, tra giornalisti, magistrati, attivisti, tutti passati regolarmente ai raggi x per la bellezza di cinque anni, da un’equipe di spioni pagati con i soldi dello Stato e coordinati da Pio Pompa, l’ex braccio destro di Pollari. Tra i super indagati noi della Voce, al vertice – sono le carte di Pollari, Pompa e C. a documentarlo seguendo farneticanti percorsi investigativi – di una piramide che avrebbe compreso di tutto e di più: da Michele Santoro e la sua band, a Giulietto Chiesa e Beppe Giulietti, dal corrispondente di Liberation per l’Italia Eric Jozsef, ai referenti di Reporter sans Frontieres, e poi uno stuolo di magistrati, avvocati e giuristi (nazionali e internazionali), tutti uniti – secondo gli 007 made in Pollari – nella volontà di delegittimare la coalizione alla guida del paese in quegli anni.
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Piazza Fontana: loro sapevano. Le memorie del generale Maletti. E anche quelle di Maggi

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Piazza Fontana. Noi sapevamoA pagina 11 del Fatto Quotidiano di oggi viene pubblicato un articolo intitolato Piazza Fontana. “Quell’arsenale ripulito dai carabinieri” (il link consente di scaricare l’articolo in formato pdf, 794MB). Si riferisce al lavoro fatto da tre giornalisti, Nicola Palma, Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato, che sono andati in Sudafrica a intervistare il generale Gianadelio Maletti. Un primo risultato di quei tre giorni a contatto con l’ex capo del controspionaggio del Sid era l’intervista in video già segnalata qui. Ora invece (e a questo si riferisce l’articolo del Fatto), esce il libro Piazza Fontana. Noi sapevamo – Golpe e stragi di Stato. Le verità del generale Maletti (Aliberti Editore):

Il generale per la prima volta apre i suoi archivi, allungando un’ombra inquietante sulla matrice americana della strage e facendo importanti rivelazioni sull’esplosivo usato a piazza Fontana, sul percorso delle bombe e sul commando («Io so i loro nomi»), composto da elementi legati all’eversione nera veneta. Gli autori dell’intervista sono riusciti a individuare uno di loro, cosa che né la magistratura né la stampa erano mai state in grado di fare.

Maletti riferisce di un coinvolgimento americano anche nel golpe Borghese e nella strage di piazza della Loggia, che sarebbe stata eseguita da neofascisti «della stessa covata di piazza Fontana». Tra coloro che sapevano di questa strategia, figurano i nomi di Giulio Andreotti e del presidente Saragat, insieme ad altri personaggi minori: uno di questi, assicura Maletti, era ministro nel penultimo governo Berlusconi.

Da segnalare anche un’altra uscita, risalente questa volta allo scorso gennaio. È un libro pubblicato dall’Editoriale Chiaravalle che si intitola L’ultima vittima di Piazza Fontana. L’ultima vittima – anche se suona non di poco impudente – dovrebbe essere dunque il suo autore, Carlo Maria Maggi, uno dei leader di Ordine Nuovo del nord-est che, come si viene a sapere dal sottotitolo, “racconta la sua verità”. Per leggere di più a proposito di questa pubblicazione, si può dare un’occhiata qui.

“Mossad base Italia”: i ricordi e le operazioni di Mike Harari all’ombra del Colosseo

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Mossad base ItaliaMossad base Italia. Le azioni, gli intrighi, le verità nascoste è un libro scritto da Eric Salerno e pubblicato da poco dalla casa editrice Il saggiatore. Se già da titolo e sottotitolo si comprende l’argomento, nella descrizione del volume si legge:

Nel 1945, lo stato di Israele non era ancora sorto. Per la sua posizione geografica nel Mediterraneo, l’Italia era il luogo ideale scelto dai fondatori del Mossad – il leggendario Yehuda Arazi, meglio noto col nome in codice “Alon”, impersonato nel film Exodus da Paul Newman, e Mike Harari, l’uomo che ha accettato di svelare all’autore di questo libro i segreti della sua vita di spia – per impiantare la loro rete e diventare così il principale luogo di smistamento dell’immigrazione clandestina di ebrei europei e la base di transito dei militanti delle organizzazioni terroristiche ebraiche. Oltre a quello geografico, il Mossad potè godere in Italia di un altro fattore decisivo: il beneplacito delle autorità politiche, disposte a “chiudere un occhio, e possibilmente due” dinanzi alle operazioni clandestine, che permisero all’esercito israeliano, in pochi anni, di superare la capacità militare di tutti gli eserciti arabi messi insieme. A Roma il quadrilatero intorno a via Veneto sembrava un quartiere della Casablanca di Bogart, pullulante di spie e di agenti segreti con licenza di uccidere: personaggi reali fatti rivivere da Eric Salerno attraverso i ricordi di Mike Harari, che per la prima volta abbandona i suoi nomi in codice e viene allo scoperto.

Del libro se ne può leggere ulteriormente nel post Una inaspettata radio-spia milanese pubblicato sul blog Radiopassioni. Inoltre, per saperne di più su Mike Harari, si dia un’occhiata qui.

Santovito: gli anni delle stragi all’ombra dei generali P2

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Domani di Maurizio ChiericiIl suo è un nome legato alla storia recente italiana che continua a tornare. Uno degli ultimi ad aver citato Giuseppe Santovito, direttore del Sismi dal gennaio 1978 all’estate 1981, è stato non molto tempo fa il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, il quale, divenuto collaboratore di giustizia nel 1994, ha raccontato rotte e affondamenti delle navi dei veleni nei mari italiani e in quelli dell’Africa orientale. Ma ci sarebbe anche un altro episodio cardine che, secondo le dichiarazioni del pentito, lo avrebbe visto in azione in prima persona.

Occorre tornare ai cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro, rapito in 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse e ucciso il 9 maggio successivo. Forni, dando la sua versione dai fatti, dice che «tutti sapevano di via Gradoli», inclusi i componenti della banda della Magliana. Lo avrebbe appreso quando fu inviato nella capitale per dare una mano ai democristiani. E sostiene che i servizi segreti non potevano ignorare l’indirizzo della prigione del leader democristiano. In una ricostruzione non difforme da quella di alcuni banditi romani, l’uomo della ‘ndrangheta ricorda di aver riferito al suo boss quanto aveva appreso, ma a quel punto gli fu risposto di lasciare stare, che «a Roma i politici hanno cambiato idea». In questo racconto tutto da verificare, Forni parla anche del defunto generale Santovito, in quel periodo da pochi mesi al vertice dell’intelligence militare, facendo chiaramente intendere che sapeva, ma che non fece nulla nonostante l’allora ministro degli interni Francesco Cossiga lo avesse incluso nel comitato di crisi nato a valle del sequestro.
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