Il manifesto dei 101, quando un’altra politica era possibile

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Sul sito di Micromega viene riproposto un articolo di Emilio Carnevali pubblicato sul nono numero del 2006 a proposito del manifesto dei 101. Si intitola I fatti d’Ungheria e il dissenso degli intellettuali di sinistra:

Attraverso documenti e interviste ai firmatari, genesi, diffusione e censure del “Manifesto dei 101”, con cui molti intellettuali di sinistra – la maggior parte iscritti al Pci, come lo stesso Antonio Giolitti – stigmatizzarono i ritardi nella critica allo stalinismo e l’errata analisi della rivolta ungherese, invitando il partito a porsi dalla parte degli insorti. “Un’altra politica era possibile”.

E a proposito di Antonio Giolitti, il blog del circolo sassarese di Giustizia e Libertà racconta di un antifascista e partigiano, a sinistra contro i carristi e contro Craxi.

Marco Damilano: non era l’amicizia che univa vecchi e nuovi premier

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A proposito delle revisioni storico-politiche di questi giorni, è interessante il post che Marco Damilano pubblica sul blog Lost in politics a proposito di quello che unisce Craxi a Berlusconi:

Non è l’amicizia, come ha detto oggi Berlusconi all’uscita di casa del cardinale Ruini. Meglio del Cavaliere lo spiega una pagina del diario di Walter Tobagi, pubblicata nello stupendo libro della figlia Benedetta “Come mi batte forte il tuo cuore” (Einaudi).

«30 ottobre 1979. Il “Corriere” pubblica oggi un’intervista anonima a Craxi. Se l’è scritta Craxi da solo. Pilogallo mi racconta che il testo l’hanno portato Tassan Din e Angelo Rizzoli alle otto e mezzo di sera, i quali l’hanno consegnato a Di Bella. E Di Bella ha ritagliato le risposte, le hanno incollate su altri fogli, scrivendo di suo pugno (meglio: ricopiando) le domande che Craxi s’era fatte da solo. È vergognoso: sia per Craxi che per Di Bella».

Gli editori Bruno Tassan Din, Angelo Rizzoli e il direttore del “Corriere” Franco Di Bella erano iscritti alla loggia P2. Come Berlusconi, data di affiliazione 26 gennaio 1978, tessera numero 1816. E la singolare concezione della libertà di stampa, le autointerviste, non è l’unica cosa che collega Craxi a Berlusconi. Il volantino di rivendicazione dell’omicidio del giornalista fu ritrovato nella valigia di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi. Craxi andò a casa Tobagi a spiegare alla vedova che conosceva importanti documenti sull’assassinio del marito, ma che non poteva produrli per senso di responsabilità. La signora Maristella mise il segretario del Psi alla porta, «poi un pianto dirotto. È stato Craxi a provocarlo. A casa nostra non mise più piede». Per queste pagine Stefania Craxi ha accusato Benedetta Tobagi di «farneticazioni, allucinazioni, incapacità di uscire dal suo ruolo di figlia». Lei ne sa qualcosa.

Walter Tobagi, ricorda Benedetta, era socialista, aveva apprezzato l’elezione di Craxi alla segreteria del Psi nel ‘76, ma le sue speranze si affievolirono ben presto. Fu ucciso sotto casa, da una banda di aspiranti brigatisti il 28 maggio 1980. Il suo assassino Marco Barbone si è pentito, è stato subito scarcerato, è responsabile comunicazione della potente Compagnia delle Opere. A maggio sono trent’anni che siamo stati privati di Tobagi: chissà se anche Walter avrà un messaggio di commemorazione.

Power to the poster: da Adbusters un progetto per diritti umani e ambiente

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Power To The Poster

Il potere ai poster. Si intitola così un progetto lanciato dagli attivisti canadesi della rivista elettronica Adbusters. Con quale scopo? Lo racconta L’Internazionale:

L’idea è quella di liberare l’immaginario collettivo dagli stereotipi di cui è ricco e lanciare delle campagne di comunicazione per sostenere le grandi cause come i diritti umani e la difesa dell’ambiente. Il tutto attraverso un design gratuito e libero dall’idea di profitto. Sul sito della campagna è possibile scaricare gratuitamente decine di poster, pronti per essere stampati e attaccati sui muri, in casa o nelle strade.

Le istruzioni per partecipare sono qui.

Da Radio Radicale le parole di Craxi. Per rileggere il craxismo dalle fonti

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Bettino? Foto di SmeerchA dieci anni dalla morte di Bettino Craxi (l’anniversario ricorrerà il prossimo 19 gennaio), Radio Radicale ha pubblicato uno speciale corredato da tutte le schede audio e video (oltre trecento) nelle quali l’ex leader del PSI prende la parola direttamente.

Un itinerario nel nostro archivio per conoscere direttamente, senza intermediari, la vicenda e le idee di una delle figure più discusse del ‘900 italiano. Dalla sua ascesa, alla sua attività come Capo del Governo, ai suoi rapporti con il Pci e le altri correnti socialiste e i Radicali, passando per la stagione di Mani pulite, al duro scontro sul cambio di nome e simbolo del PSI, alla fuga in Tunisia e le sue accuse al sistema politico negli ultimissimi giorni prima della morte. È qui che i microfoni di Radio Radicale lo raggiungono per due interviste uniche e di straordinaria importanza per il dibattito odierno sulla figura del leader socialista. Tutti i file resteranno disponibili gratuitamente, nell’ambito del servizio pubblico che Radio Radicale svolge anche su internet.

Gratuitamente e con licenza Creative Commons BY, i file messi a disposizione degli utenti. Rispetto ad apologie, tentativi di mistificazioni, intitolazioni di vie e letture più o meno corrette della storia del craxismo, poter pescare direttamente da quegli anni è un utile esercizio da coniugare insieme al senno del poi. E dire che, no, grazie: studiare la storia dell’esponente politico è un conto (doveroso, peraltro), celebrarlo come un eroe della patria un altro e se ne può fare a meno.

Torture della CIA: in italiano la documentazione che le attesta

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memorandum del Dipartimento della giustizia UsaLavoro interessante e meritorio quello effettuato da Lsdi e Giornalismo e democrazia con la pubblicazione integrale (in italiano) dei memorandum sulle torture della CIA reso pubblico da Obama. Dall’introduzione di Raffaele Fiengo in merito all’accesso ai documenti pubblici:

La situazione italiana è pessima. Non solo sui grandi drammi, le stragi e il segreto di Stato. Da una parte la pubblica amministrazione è, quasi per natura, poco trasparente e non ottempera a questi obblighi nemmeno quando ci sono. Se faticosamente si stabilisce che gli uffici stampa pubblici debbono essere coperti da giornalisti neppure allora ciò si traduce immediatamente in un lavoro volto alla conoscenza da parte dei cittadini. La vocazione al ruolo di portavoce è assai forte.

Molti anni fa, dovevo fare per un settimanale una inchiesta sui treni sporchi. Chiesi invano di avere una copia dei capitolati di appalto con gli specifici obblighi delle imprese di pulizia. Un muro, anche se erano ovviamente strapubblici. Finii per rubarne una copia da un cassetto della Stazione Termini. Scoprii così che ogni treno doveva essere pulito da cima a fondo, compresa la lucidatura degli ottoni, prima di ogni partenza. Nella realtà, riscontrata con i miei occhi, le cose funzionavano così: un signore, all’uscita della stazione accanto ai binari, contava le vetture dei treni che passavano in partenza e tutti venivano dati per puliti e lucidati con relativo pagamento milionario. (Questa storia, ahimè, finì miseramente perché l’inchiesta di dodici pagine fu ridotta a tre in tipografia per intervento del proprietario-direttore su richiesta delle Ferrovie). Non si tratta di vicende solo del passato. Un mese fa su un vagone letto di prima classe in arrivo a Milano da Parigi sono state trovate molte zecche.

Il giornalismo italiano è più dedito alle opinioni che ai fatti. E non ha, salvo eccezioni, l’abitudine di lavorare sui documenti. Spesso supplisce, su questo terreno, con qualche magistrato amico, con funzionari e gole profonde e il tutto confluisce normalmente nell’informazione schierata. Le imprese editoriali non coltivano l’indipendenza. Nella migliore delle ipotesi cercano una equidistanza quantitativa. Non chiedono ai loro giornalisti di fornire gli elementi per il processo di formazione dell’opinione pubblica.

Anche per indicare una strada presentiamo questi testi. Sono informazioni materiali, scomode e fastidiose, imbarazzanti. Toccano un campo delicato, la sicurezza nazionale.

Per il download diretto dei documenti, tutti in formato pdf:

La traduzione dei memorandum è stata curata da Valentina Barbieri, Matteo Bosco Bortolaso, Barbara Di Fresco, Andrea Fama e Anna Martini.

Andrea Cabassi e l’analisi della figura politica di Emilio Lussu

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Andrea Cabassi è uno psicoterapeuta di Parma e un saggista nel suo settore, ma le sue competenze esulano anche in altri ambiti. Tempo fa ho letto un suo manoscritto tuttora (purtroppo) inedito in cui crea un dialogo immaginario tra la famiglia Rosselli ed Emilio Lussu. E proprio intorno alla figura del politico sardo ha scritto Lussu Sardus Pater: dio mancato di una nazione mancata?, testo pubblicato sul sito del circolo Giustizia e Libertà di Sassari e anticipato sul relativo blog:

In questo lavoro cercherò di rispondere al quesito: Emilio Lussu può essere considerato il Sardus Pater del popolo sardo? Ha accettato o ha rifiutato di assumere l’onere che questo ruolo comportava? E se lo ha rifiutato perché? C’è differenza tra il Sardus Pater che, come Mosè, conduce il suo popolo alla Terra Promessa di una Nazione Indipendente e il padre di una piccola patria, con le sue tradizioni, con i suoi usi e costumi, con uno statuto autonomo che, però, è parte di una patria più grande? Incunearsi in questa differenza significa tentare di comprendere le ragioni politiche, psicologiche, esistenziali che spinsero Lussu a fare le sue difficili scelte a partire dal ritorno in Sardegna del 1944, per passare alla traumatica scissione del 1948 ed arrivare agli ultimi giorni della sua vita. Significa non avere risposte pre-confezionate, significa confrontarsi con le posizioni anche le più lontane tra di loro.

Come Andrea ha già dimostrato di saper fare, rilegge il passato in una chiave che aiuta a comprendere meglio anche l’attualità politica. E lo fa con molti riferimenti e citazioni che contriscono – anzi, invogliano – all’approfondimento.

Cose di questo mondo, ritratto di una realtà

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«Forse è meno peggio rinunciare a qualche libertà ed essere più sicuri». Parola della giunta di Trenzano a conclusione del consiglio comunale in cui esplicita la propria «contrarietà alla costruzione di moschee e/o centri culturali islamici». Il video qui sopra è tratto dalla puntata di Annozero andata in onda ieri, 17 dicembre, e ci sono metodologie precise per rendere un’immagine rappresentativa di una realtà. Ecco, guardando quelle sequenze e sentendo le relative affermazioni (a parte l’intervista a Zara), spero che il ritratto che ne scaturisce sia rappresentativo solo di una piccola parte della realtà. Spero. Un consiglio comunale, però, di solito viene eletto dalla cittadinanza, non calato dall’alto. Compreso il tizio che sfodera un apparente aquilotto nazista (ma non mi intendo di marchi d’abbigliamento e forse sta a indicare qualcos’altro) sul giubbotto nero e poi rilascia dichiarazioni tutt’altro che concilianti a seduta conclusa.

(Via Metilparaben)

Il giovane Anteo e i ricorsi della storia

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Agganci all’attualità o meno (è poco importante), il blog del circolo Giustizia e Libertà di Sassari ricorda la storia del giovane Anteo, scritta da Dino Taddei e pubblicata qualche anno fa, sul numero di aprile 2001 di A – Rivista anarchica. Ecco che si racconta.

Tra tutti i falliti attentati a Mussolini, la vicenda di Anteo Zamboni è rimasta curiosamente fino ad oggi la meno conosciuta, nonostante quel colpo di pistola esploso a Bologna nel 1926 dal quindicenne Zamboni apre definitivamente le porte alla dittatura: in nome della sicurezza dello stato si demoliscono le residue garanzie dello stato liberale, si reintroduce la pena di morte, inizia a funzionare il Tribunale speciale.

Eppure di questo adolescente che suo malgrado con il suo gesto ha segnato la storia italiana ci viene consegnata una memoria controversa, lacunosa, alle volte mistificatrice. Coperta dalla pietà popolare per quella morte così truce: pugnalato seduta stante dagli squadristi e martoriato in modo bestiale dalla folla inferocita. Memoria altalenante tra eroe anarcoide antifascista (o addirittura come si è scritto “primo partigiano di Bologna”) ed utile strumento di un gioco infinitamente più grande di lui. Di sicuro pensare che “Patata” come era soprannominato in famiglia – non certo per la sua spiccata sagacia – sia l’artefice solitario di un attentato che per la sua dinamica si rivela ben studiato, lascia un po’ perplessi.

Ben venga l’ottimo lavoro della direttrice dell’Istituto della Resistenza di Bologna Brunella Dalla Casa (Attentato al duce. Le molte storie del caso Zamboni, Il Mulino, Bologna, 2000, pagg.291, lire 35.000) che ci aiuta a penetrare le molte mezze verità che hanno contribuito a stritolare il ragazzo ed a rendere inquietante la vicenda; a tal punto che lo stesso tribunale speciale, pur erogando prigione e confino a tutta la famiglia Zamboni, non riuscirà a fornire una spiegazione plausibile o a dimostrare un complotto.
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Radio Radicale: ancora a difesa di un servizio pubblico. E per scrivere una storia collettiva

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Della situazione di Radio Radicale si parlava poco tempo fa. Ma le settimane nel frattempo intercorse non hanno cambiato la situazione, semmai l’hanno solo procrastinata. E di certo se servizio pubblico lo era prima, altrettanto lo è ora (tanto che rimane aperta la raccolta di firme). Per capire cos’è successo in questo intervallo di tempo, arriva una mail di aggiornamento. In cui si legge:

La campagna per la salvezza del servizio pubblico svolto da Radio Radicale va avanti. Al Senato, nonostante l’emendamento sottoscritto da oltre 200 senatori di tutti gli schieramenti, si sono limitati ad accantonare i fondi necessari per soli due anni, rimandando il rinnovo della convenzione a un successivo intervento legislativo. La finanziaria è passata ora all’esame della Camera, dove riproporremo l’obiettivo del rinnovo della convenzione per i prossimi tre anni. La storia di Radio Radicale non ha nulla a che fare con le elargizioni di denaro pubblico in forma di favori e clientele. È la storia, che dura da più di trent’anni, di un servizio pubblico che ha segnato la vita del paese. Come hai voluto testimoniare firmando il nostro appello, e come abbiamo tentato di documentare con questo video.

E un capitolo della storia di Radio Radicale la possono scrivere gli ascoltatori dell’etere e gli utenti del web. Per farlo: Radio Radicale: la tua storia.