Il giovane Anteo e i ricorsi della storia

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Agganci all’attualità o meno (è poco importante), il blog del circolo Giustizia e Libertà di Sassari ricorda la storia del giovane Anteo, scritta da Dino Taddei e pubblicata qualche anno fa, sul numero di aprile 2001 di A – Rivista anarchica. Ecco che si racconta.

Tra tutti i falliti attentati a Mussolini, la vicenda di Anteo Zamboni è rimasta curiosamente fino ad oggi la meno conosciuta, nonostante quel colpo di pistola esploso a Bologna nel 1926 dal quindicenne Zamboni apre definitivamente le porte alla dittatura: in nome della sicurezza dello stato si demoliscono le residue garanzie dello stato liberale, si reintroduce la pena di morte, inizia a funzionare il Tribunale speciale.

Eppure di questo adolescente che suo malgrado con il suo gesto ha segnato la storia italiana ci viene consegnata una memoria controversa, lacunosa, alle volte mistificatrice. Coperta dalla pietà popolare per quella morte così truce: pugnalato seduta stante dagli squadristi e martoriato in modo bestiale dalla folla inferocita. Memoria altalenante tra eroe anarcoide antifascista (o addirittura come si è scritto “primo partigiano di Bologna”) ed utile strumento di un gioco infinitamente più grande di lui. Di sicuro pensare che “Patata” come era soprannominato in famiglia – non certo per la sua spiccata sagacia – sia l’artefice solitario di un attentato che per la sua dinamica si rivela ben studiato, lascia un po’ perplessi.

Ben venga l’ottimo lavoro della direttrice dell’Istituto della Resistenza di Bologna Brunella Dalla Casa (Attentato al duce. Le molte storie del caso Zamboni, Il Mulino, Bologna, 2000, pagg.291, lire 35.000) che ci aiuta a penetrare le molte mezze verità che hanno contribuito a stritolare il ragazzo ed a rendere inquietante la vicenda; a tal punto che lo stesso tribunale speciale, pur erogando prigione e confino a tutta la famiglia Zamboni, non riuscirà a fornire una spiegazione plausibile o a dimostrare un complotto.

Tra le tante ipotesi tese a spiegare il suo gesto l’autrice senza dare una risposta definitiva ne prende in considerazione diverse: l’azione adolescenziale solitaria di un ragazzo che desidera entrare nel mondo dei grandi attraverso un gesto eclatante, magari ispirato dalla mitologia anarchica annusata in casa attraverso il padre Mammolo appare la meno probabile, dato che Anteo era un balilla convinto. Inoltre lo stupore dei familiari per l’attentato è dovuto al non crederlo capace di architettare da solo un’azione simile…tant’è che i parenti per lungo tempo sosterranno la tesi dell’estraneità di Anteo.

Un complotto anarco-familiare appare altrettanto poco credibile perché il padre Mammolo oramai di anarchico aveva ben poco: egli non era più il tipografo ribelle antimilitarista d’ante guerra. All’epoca dell’attentato godeva grande stima da parte dei fascisti bolognesi cui stampava con entusiasmo i loro fogli di propaganda, aveva finanziato la costruzione della casa del fascio e soprattutto lo legava una profonda amicizia con Leandro Arpinati, capo del fascismo cittadino.

Certo, continuò a definirsi anarchico ma decisamente a modo suo se ancora in prigione dichiarava orgoglioso: “Non ho difficoltà di dire apertamente e lealmente che sono anarchico e Fascista nello stesso tempo” o, senza sapere che cosa gli riserbava il destino da lì a poco, scriveva al figlio Assunto commentando l’attentato dell’anarchico Lucetti: “W il Duce! Le carogne che cianciano contro di lui non sanno che aizzargli contro un povero illuso di un tagliapietra”. D’altronde lo stesso Assunto, fratello maggiore di Anteo, finì per diventare una spia dell’OVRA.

Molto più credibili appaiono gli scenari che prendono in considerazione uno scontro di potere interno al fascismo, tra gli estremisti legati a Farinacci ed il nuovo corso normalizzatore voluto da Mussolini. Complotto maturato tra i duri e puri friulani come un’indagine dei carabinieri lascia intravedere salvo essere bloccata per decisioni superiori forse dello stesso Mussolini che di tutta questa vicenda rimase comunque l’unico beneficiario, trasformando un fallito attentato alla sua persona nell’occasione per chiudere definitivamente la partita con l’antifascismo e contemporaneamente di marginalizzare le frange estreme in seno al partito fascista.

Sicuramente il libro di Brunella Dalla Casa ha il pregio di non serrare le porte ad ulteriori sviluppi in sede storiografica anche se ci aiuta decisamente ad uscire da una memoria pericolosamente stereotipata che si ferma ad Anteo Zamboni, giovane eroe di famiglia anarchica vilmente massacrato dai fascisti. Ma attraverso quali percorsi si sedimenta una memoria collettiva è tutto un altro discorso.

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Circa un mese dopo il presunto attentato furono approvate le Leggi per la difesa dello Stato, le basi su cui fu costruito il totalitarismo fascista. L’opposizione parlamentare venne dichiarata decaduta, la residua stampa non allineata fu messa fuori legge. Fu istituito il Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato, docile strumento repressivo nelle mani del regime. I plotoni d’esecuzione ripresero la loro opera di annientamento.

Nel ‘934 a Leningrado, Sergej Mironovič Kirov, brillante dirigente bolscevico in ascesa nel partito, venne assassinato. Non è chiaro se fu ucciso su ordine di Stalin, è però certo che poco tempo dopo prese avvio il periodo più buio dell’era sovietica, quello delle purghe che decimeranno il vecchio gruppo dirigente del Pcus e consolideranno il potere totalitario di Stalin.

La storia lo insegna. Alle volte gli attentati (e i tentativi di attentato) tornano utili per chi se ne sa servire in modo spregiudicato, con due possibili obiettivi: normalizzare l’opposizione brandendo le armi della repressione; purgare gli avversari interni per rinserrare le fila del proprio schieramento.

Il potere che sente franare le sue fondamenta ha bisogno della violenza per rafforzarsi, qualsiasi atto di violenza fa il suo gioco: ecco perché la violenza non ha alcuna giustificazione politica. Gli strumenti di lotta devono essere esclusivamente quelli della legalità costituzionale (finché è garantita).

Salvo Zedda