I libri all’indice, “essenziale prodotto della cultura moderna”

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Segnalazione interessante a proposito di Chiesa e libri, 500 anni di censure di Michele Martelli su Micromega Online:

La 47a edizione della Mostra Antiquaria di Cortona (Arezzo), aperta dal 22 agosto al 6 settembre, quest’anno contiene una chicca, la sezione sui “Libri proibiti dal 1500 al 1900”: 40 libri in preziosi edizioni d’epoca, di proprietà della Libreria antiquaria di Londra Quartich e della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Proibiti da chi? Manco a dirlo! Ma dalla Chiesa cattolica romana, soprattutto, in bella compagnia con governi e Stati illiberali europei del passato. I 40 libri esposti a Cortona sono solo una minuscola parte dell’Index librorum prohibitorum, allestito sin dal 1564 dalla Chiesa romana per ordine del papa controriformista Pio IV.

Questo Indice è diventato, forse per uno scherzo divino, contro la volontà dei suoi sacri compilatori porporati, un indice propagandistico di quanto di essenziale prodotto dalla cultura moderna. Basta scorrerlo velocemente per trovarvi, nelle montagne di nomi e di titoli proibiti, quelli più rappresentativi del mondo moderno, da Galilei a Darwin, da Kant a Sartre. E pressoché tutti gli autori illuministi. Ma anche Dante, Boccaccio e Ariosto. Cioè poeti e scrittori tra i primi a svincolarsi dalle catene del teologismo papale medioevale. «La santa chiesa avrìa più bisogno che per molti anni non vi fusse stampa», aveva detto un rappresentante vaticano nel 1575. Da allora i “molti anni” auspicati sono diventati quattro secoli. Quattro secoli di repressione papale della libertà di parola, di pensiero, di espressione, di stampa.

È venuto il tempo del ritorno a Bassavilla di Danilo Arona

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Ritorno a BassavillaDi Bassavilla s’è parlato non tanto di rado da queste parti. Così come del suo autore, Danilo Arona, forse lo scrittore più citato qui dentro. Così alla notizia che sta uscendo un suo nuovo romanzo, Ritorno a Bassavilla, pubblicato dalle XII Edizioni, cresce la voglia di avercelo tra le mani e sotto gli occhi. Per arrivare a leggere quanto preannunciato nella sinossi del libro:

“Ritorno a Bassavilla” ci riporta tra le nebbie della più spettrale tra le città della nostra letteratura, e che era tempo si vedesse dedicare un intero libro: Bassavilla. Uno sguardo oltre l’apparenza confortante delle cose, tra storie – vere? – di fantasmi, resoconti dell’insolita attività investigativa dell’autore, e inquietanti fatti di cronaca nera. O nerissima. Spaccati che oscillano in equilibrio quantomai precario sul filo sottilissimo che separa la realtà (o quella che riteniamo tale) dall’Immaginario più disturbante. E dietro sogghigna e prende forma – solo per poi prenderne un’altra – lei: Bassavilla.

Se la prefazione è stata affidata a Daniele Bonfanti, del romanzo scrive Valerio Evangelisti:

Verità? Invenzione? Tutte e due, probabilmente. Con un rigoroso filo logico che conduce dall’una all’altra, e le confonde. Danilo Arona è un seminatore di inquietudini, autore di un genere proprio, che spezza i confini del quotidiano e ci sposta sull’orlo di abissi vertiginosi, popolati da fantasmi e infestati da strane entità. Sulla base di coincidenze, di prove, di analogie, di episodi tanto insoliti quanto documentati. Arona è un Charles Fort moderno o uno dei migliori autori fantastici che abbiamo in Italia? Tra i mille dubbi che lascia nel lettore, questo è forse il più insondabile.

E intanto, partendo proprio dalle Cronache di Bassavilla, in edicola fino a fine agosto, per la Epix-Mondadori, c’è un’antologia curata da Danilo Arona. Si intitola Bad Prisma e riprende il personaggio della fantomatica Melissa riletta da altri autori.

Vendetta: la storia di una guerra clandestina senza vincitori

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VendettaC’è un amico che può essere un personaggio senz’altro discutibile sotto diversi punti di vista, ma quando questo personaggio dà un consiglio di lettura c’è di che fidarsi. Lo dimostra – ultimo di una serie – anche il libro Vendetta. La vera storia della caccia ai terroristi delle Olimpiadi di Monaco 1972 dello scrittore d’origine ungherese George Jonas, il romanzo da cui è stato tratto il film di Steven Spielberg Munich. Per primo ho visto il film (fornito dallo stesso personaggio) e l’ho trovato notevole. Così sempre lui mi ha portato il volume: oltre quattrocento pagine per una storia che sui giornali non viene mai raccontata.

È quella di una caccia. Della caccia di un gruppo di sicari che si muove per l’Europa occidentale alla ricerca di undici capi del terrorismo palestinese da eliminare per infliggere – almeno nelle intenzioni – una battuta d’arresto agli attentati che all’inizio degli anni settenta si sono abbattuti contro obiettivi israeliani. Il gruppo però non è un’organizzazione di giustizieri sciolti, ma una squadra messa insieme dal Mossad con il beneplacito del primo ministro Golda Meir. I componenti, prima di partire per due anni e mezzo di corse per il vecchio continente, firmano una lettera di dimissioni dal servizio segreto israeliano in modo da non essere direttamente riconducibili a esso. E poi rincorrono le notizie che passa loro una rete di informatori che va da ambienti vicino alla banda Baader-Meinhof a mercenari che non si sa bene per chi lavorino e perché, come il parigino Le Group. Alla fine della missione, che si conclude con l’assassinio di nove terroristi (o presunti tali) ricorrendo ai sistemi più vari (dalle rivoltellate di calibro 22 a ingegnosi ordigni progettati per esplodere colpendo solo gli obiettivi e limitando le “vittime collaterali”, anche se non sempre ci si riesce), c’è qualcuno che ne esce – per coloro che ne escono vivi – allucinato. O consapevole.

È l’agente Avner, la sedicente gola profonda di Jonas, che gli racconta quanto fece con i suoi quattro colleghi. Senza voler redimersi né dimostrare pentimento per le eliminazioni a cui ha collaborato, Avner vuole che si sappia cos’è accaduto dietro le quinte della guerra fredda e dello scontro tra Israele e Palestina. Uno scontro che è andato ben oltre la guerra dei sei giorni o quella dello Yom Kippur. Una guerra caldissima che vedeva contrapposto un sentimento di conservazione reso ancora bruciante dalla recente Shoa a una difesa dei propri territori ben oltre le armi della diplomazia, della politica e del confronto tra stati. Chi ne esce vincitore, da questo conflitto, non si sa. Il terrorismo non si arresta così come non si arrestano gli scontri tra eserciti regolari. E a un certo punto, nel romanzo di Jonas, si legge:

Il fatto di essere richiamati in patria senza aver ultimato la missione, anche se nessuno li avrebbe rimproverati, significava un fallimento. Su questo erano tutti d’accordo: non ci fu bisogno di discuterne. Esser costretti a lasciare un incarico a metà, e soprattutto dover tornare senza aver beccato Salameh, per tutti loro equivaleva a una sconfitta. Non rientrava nelle tradizioni di Israele. Era preferibile la morte, o persino disobbedire a un preciso ordine di ripiegamento, anche se ciò sarebbe stato difficile se il Mossad tagliava loro i viveri […]. In seguito, Avner avrebbe ammesso che, almeno in questo senso, erano in tutto e per tutto fanatici come i mechablim [terroristi].

L’estate di Montebuio: quando il fantastico incrocia la realtà

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L’estate di Montebuio di Danilo AronaQuando si dice che le parole possono ferire, non si sta affermando un’ovvietà. E il fatto che nel romanzo L’estate di Montebuio il male che ferisce e uccide si concentri intorno a una macchina da scrivere, una Continental nera, è il trait d’union tra un’estate del 1962 (un anno maledetto, per Danilo Arona) e un inverno di oggi, tra un bambino affascinato dai suoi meccanismi e uno scrittore ormai avviato alla maturità che per affrontare ricordi ed errori sceglie il suicidio come forma per saltare indietro. E anche tra un carabiniere e un anatomopatologo che indagano sul ritrovamento del corpo intatto di una ragazzina scomparsa da oltre quarant’anni e una comunità montana trincerata dietro un’apparente tranquillità.

Sono questi alcuni degli elementi che si ritrovano nel libro, a cui vanno aggiunti la musica rock (immancabile nei libri di Arona), la superstizione, la contaminazione delle credenze, un satana che non è mai il simbolo cristiano ma un caleidoscopico filtro per un male più complesso, e la violenza quotidiana, che sia consumata all’interno di un carcere o a pochi passi da un sentiero d’alta quota. L’estate di Montebuio è un crocicchio dove si intersecano alcuni dei temi più ricorrenti dell’autore, che più che uno scrittore è un ricercatore, uno che setaccia le tre dimensioni note e alcune altre meno tangibili. Le sue, come le definisce lui stesso, sono “storie ai confini della realtà” che rievocano la Twilight Zone di Rod Serling, Richard Matheson e Ray Bradbury proprio perché dal reale partono.
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C’erano bei cani ma molto seri, la storia di Giovanni Spampinato

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C'erano bei cani ma molto seriGiovanni Spampinato, quando venne assassinato, il 27 ottobre 1972, non aveva ancora venticinque anni, ma il giornalista per L’Ora di Palermo lo faceva già da un po’ e in quel periodo stava seguendo due storie: la prima riguardava Angelo Tumino, un imprenditore ammazzato qualche mese prima, e la seconda si focalizzava sull’eversione nera in Sicilia. A un certo punto le due storie iniziarono ad avere i primi punti di contatto e si fusero arrivando a comprendere mafia e istituzioni. Poco più di un mese fa, è uscito per la casa editrice Ponte delle Grazie il libro C’erano bei cani ma molto seri, scritto dal fratello di Giovanni, Alberto Spampinato, che ripercorre sia dal punto di vista personale che professionale la vita del cronista ucciso:

“C’era un campo di girasoli, e mangiavamo i semi ancora verdi. C’erano le mucche, e la sera facevano la ricotta… Il padrone di casa, o un suo figlio, era cacciatore. C’erano bei cani, ma molto seri. Un giorno legarono un cane in cortile, e stette lì forse per due giorni. Il cane ululava, si lamentava, era straziante. Ci dissero di non avvicinarci, aveva la rabbia. Poi lo abbatterono a fucilate. Ricordo l’odore della terra bagnata dagli acquazzoni estivi. Quell’odore mi inebriava”. Così, ricordando la propria infanzia, scriveva nel 1971 il giovane giornalista ragusano Giovanni Spampinato, in una tragica e involontaria profezia: fu ucciso poco tempo dopo in circostanze ancora non chiarite. Come corrispondente dell'”Ora” di Palermo indagava su un omicidio e aveva cominciato a rivelare un perverso intreccio fra mafia, eversione nera e servizi segreti. Il fratello minore Alberto, anche lui giornalista, affida oggi a queste pagine un toccante e inquieto ritratto della sua famiglia di origine e un’inchiesta sulle vere cause della morte di Giovanni; ma al contempo vi raccoglie un’indagine personale e profonda sulla storia culturale e sociale della sua terra, la Sicilia, e del nostro Paese: dalla seconda guerra mondiale all’impegno del padre per l’ideale comunista, dal regno incontrastato della cultura contadina alle nuove stagioni dell’industrializzazione e della contestazione, fino all’emergere dei poteri oscuri della reazione e della criminalità.

Una lunga recensione del libro è stata pubblicata da AprileOnline con il titolo di Alle volte le inchieste giornalistiche possono uccidere. Un articolo che tocca i vari punti narrati da Alberto Spampinato: dall’omicidio dell’imprenditore siciliano alla comparsa sullo scenario di Stefano delle Chiaie. Ma a proposito di suo fratello, dice a Leo Sansone, autore della recensione:

Io avrei dovuto fare l’ingegnere, ma dopo l’omicidio di mio fratello rimasi scosso. Lasciai gli studi di ingegneria e decisi di fare il giornalista per continuare il suo lavoro […]. Sento il bisogno di parlare della morte di mio fratello con la stessa forza con cui, fino a qualche tempo fa, non riuscivo assolutamente a parlarne.

Da Pino Maniaci a “Federalismo criminale” per raccontare la realtà

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Mafia spaghetti with seafood and tomato sauce - Foto di Wm JasDi Pino Maniaci – si raccontava un po’ di tempo fa – dicevano che esercitasse abusivamente la professione di giornalista perché non iscritto all’ordine, malgrado la solidarietà dei colleghi di tesserino. Non importava che facesse informazione antimafia che ci sarebbe da imparare e per la quale qualcuno si innervosiva. Ora, da Articolo21, fanno sapere che è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Infatti:

Il giudice Giacomo Barbarino ha fatto valere da una parte l’articolo 21 della Costituzione che sancisce la libertà di espressione e, dall’altra, la consistenza del raggio d’azione, piuttosto contenuto, dell’emittente di Maniaci. Un caso questo che già l’ordine dei giornalisti prevede tra quelli che consentono di fare informazione anche senza iscrizione all’albo.

Federalismo criminaleSempre in tema, ma su estensione nazionale, si dia poi un’occhiata al libro Federalismo criminale. Viaggio nei comuni in cui le mafie governano (Nutrimenti, 2009) del giovane cronista Federalismo criminale. Dalla postfazione del giornalista Roberto Morrione (per questo di nuovo grazie a Paola Esposito):

Le mafie che vivono sotto casa, che depredano le risorse pubbliche, che riducono a deserto i territori. Il federalismo criminale come sistema politico che governa intere parti del nostro territorio. Le storie dei comuni sciolti per mafia raccolte in questo libro raccontano le mani della piovra nelle aule comunali tra omertà, mattanze ed eroi isolati. Tra appalti truccati, centri commerciali, alta velocità, assunzioni e contributi sociali in mano a mafie e politica criminale. Una situazione di indecenza democratica dove la legalità, la sicurezza pubblica, la civile convivenza lasciano il posto alla barbarie, al feudo, a vecchi e nuovi podestà. Le mafie divorano le istituzioni nel silenzio della politica e dell’informazione. Federalismo criminale è la denuncia, eccezionalmente documentata, di come anche nei comuni sciolti per mafia nulla cambi, di come le mafie riescano a ritornare ogni volta padrone. Con i nomi e i cognomi dei protagonisti del malaffare di ieri e di oggi, tra scandali, devastazione ambientale e latitanze dorate.

Che, come argomento e in chiave altrettanto disincantata, si ricollega al libro di Massimiliano Virgilio di cui si parlava qualche giorno fa.

Libri insoliti e curiosi: Wilde redivivo e Napoli anche (forse)

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Due libri ricevuti in regalo (e da leggere quanto prima. E speriamo che le vacanze arrivino preso. E io adoro quando mi regalano dei libri):

  • Oscar Wilde e i delitti a lume di candelaOscar Wilde e i delitti a lume di candela di Gyles Brandreth (Sperling & Kupfer, 2009):

    Il corpo di un sedicenne macabramente ucciso viene trovato in una stanza in Cowley Street. È l’agosto del 1889. Il giovane si chiama Billy Wood, ed è un ragazzo di strada come tanti, e colui che lo ritrova – con la gola tagliata da un orecchio all’altro e circondato da candele ardenti – è nientemeno che il celebre scrittore Oscar Wilde, che il giorno dopo decide di denunciare il fatto a Scotland Yard. Solo che dell’orribile crimine è scomparsa qualsiasi traccia. Aiutato dall’amico Robert Sherard, lo scrittore decide di condurre le sue indagine da solo, incarnando suo malgrado quel personaggio di Sherlock Holmes che tanto ammira e calandosi nell’inquietante Londra nei cui vicoli risuonano ancora i passi di Jack lo Squartatore. Con questo romanzo nasce un nuovo investigatore: Oscar Wilde. Ammiratore di Arthur Conan Doyle e del suo impareggiabile Sherlock Holmes, l’ironico e arguto Wilde si rivela anche un abile detective dalla logica affilata come un lama.

    Di queste operazioni letterarie mi incuriosisce come si fa interagire un personaggio realmente esistito con una storia frutto della fantasia.

  • Porno ogni giornoPorno ogni giorno. Viaggio nei corpi di Napoli di Massimiliano Virgilio (Laterza, 2009):

    C’è una città che meglio di altre rappresenta cosa sta diventando il nostro paese. Tra cocaina che scorre a fiumi, centri commerciali ipertrofici, cantanti neomelodici, ragazzi obesi che vestono come i tronisti di Maria De Filippi e tonnellate di spazzatura in decomposizione, oggi Napoli è la capitale pornografica della nazione, laboratorio di un capitalismo fallimentare. La verità è che, sotto gli occhi di tutti, Napoli sta deteriorandosi, dissipando il suo patrimonio culturale, rovinando il suo dialetto, abitata com’è da masse quotidianamente pornografiche, abbrutite dalla “tivvù”, cui spesso mancano gli strumenti basilari della comunicazione. “Quando parlo di città quotidianamente pornografica non mi riferisco all’etimo greco della parola pornografia. Mi riferisco alla manifestazione esplicita e di routine da parte di masse di napoletani – non necessariamente di atti sessuali, né di nudità – di comportamenti sociali corrivi, che ammiccano all’atto sessuale e alla nudità, senza distinzione di genere. Quando è iniziato tutto ciò? Quando Napoli ha iniziato a essere un luogo di mille pornografie di contorno alla monnezza e alla criminalità, considerate i principali film a luci rosse che da decenni vengono proiettati in città? Quando abbiamo iniziato a separare il nostro immaginario da quello del resto del paese? Ripenso a tutto e nonostante mi sforzi di trovare una risposta complessa mi viene da pensare che Napoli, in fondo, è una città semplice”.

    In questo caso invece rientra in una sorta di pre-documentazione per uno dei prossimi libri che avrà Napoli e i suoi angoli più criminosi al centro della storia.

Memorie a perdere, tredici racconti di sottile ostilità

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Memorie a perdere di Luigi MilaniA proposito dell’infaticabile Luigi Milani, in questi giorni sta uscendo una sua raccolta, Memorie a perdere. Racconti di ordinarie allucinazioni (Associazione Akkuaria, Catania), ritratti su carta di varia umanità:

dalla denuncia politica – è il caso di “Abu Ghraib”, ambientato nella famigerata prigione – al grottesco, come accade in “Real TV”, che mostra i possibili esiti di certa televisione. Ma il volume contiene anche storie di uomini e donne qualunque, alle prese con situazioni che, quasi senza che se rendano conto, sfuggono loro di mano, con esiti imprevedibili – non sempre piacevoli, quasi mai consolatori.

La prefazione è stata firmata dal giornalista e comunicatore politico Francesco Costa che del libro tra l’altro scrive:

Nella definizione di questi lavori è un dettaglio non secondario, parlando di uno scrittore di sesso maschile, la capacità di Luigi Milani di descrivere le donne. I suoi personaggi femminili agiscono come se non fossero concepiti da un uomo e vivono di vita propria perché sagacemente illuminati dall’interno. E la prevalente tragicità del tono d’insieme si stempera all’occorrenza in un’ironia non priva di crudeltà […]. Smarrimenti improvvisi, latenti inquietudini, un senso di vulnerabilità di fronte all’ignoto, e un paesaggio che, frastornante o silenzioso, si configura spesso come una scena estranea, sottilmente ostile, su cui gli eroi di Luigi Milani muovono i loro passi: ecco da che cosa nasce il palpito che ti prende a leggere questi tredici (e il numero non è causale) viaggi nell’assurdo, di questi tredici sismografi tesi a registrare sotto i nostri piedi i sommovimenti di cui abbiamo paura e che forse ci faranno inciampare di qui a poco.

Se ne può leggere anche su Peacelink con un post a firma di Giacomo Alessandroni.

L’horror di Danilo Arona in chiave anticlericale e di satira letteraria

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L’estate di Montebuio di Danilo AronaDanilo Arona torna con un nuovo incubo cartaceo. Incubo che, come spesso accaduto con i suoi libri precedenti, si annuncia come l’ennesima poesia in veste horror (del resto, da queste parti, mai s’è fatto mistero della passione per le avventure letterarie di aroniana matrice). Il libro si intitola L’estate di Montebuio, è pubblicato da Gargoyle Books, sarà in libreria a partire dal 25 giugno prossimo e contiene la prefazione della sceneggiatrice Susanna Raule. Questa la sua presentazione:

In una notte del dicembre 2007, alle tre in punto, lo scrittore horror Morgan Perdinka si toglie la vita nel suo loft di Milano. Il 9 gennaio del 2008 il cadaverino mummificato di una ragazzina scomparsa quarantacinque anni prima riaffiora dalle acque gelide di un torrente sulla cima del Monte Buio, nell’Appennino Ligure. Eventi all’apparenza estranei l’uno all’altro. Ma quando un carabiniere e un anatomopatologo scoprono che il dodicenne Morgan trascorse le vacanze estive del 1962 sotto il Monte Buio, vivendo un tenero e infantile amore nei confronti della bambina destinata a essere inghiottita dal nulla l’estate successiva, una mostruosa verità inizia a farsi strada, trascinando i due uomini in un abisso inconcepibile dove regnano il Male puro e i suoi più insospettabili adepti. Cosa lega una vecchia colonia in rovina alle inquietanti preveggenze dei libri scritti da Morgan? Chi è la Vergine Crocefissa? Che cosa è la sostanza nera e fosforescente che da decenni prolifera sulle propaggini della montagna? Benvenuti nella mente diabolica di Morgan Perdinka, una zona oltre i confini del reale tutt’altro che morta…

Nei suoi lavori precedenti, Danilo ha inserito argomenti che prescindono dalla trama stessa: si va dall’immigrazione alle culture sincretiche dei Caraibi, dalla tradizione popolare locale ai racconti bellici, dalle paure di massa che si evolvono raccontando la contemporaneità al passato come retaggio con cui fare i conti. Stavolta, recuperando parte di questi temi, se ne aggiungo altri (e nel prossimo futuro ci si tornerà). Sempre dalla presentazione del libro:

Una sontuosa e apocalittica rappresentazione del Male – all’insegna di shock visivi e reminiscenze di antichi folclori locali – si fonde a un feroce e autentico anticlericalismo e a una satira “sgarbata” dell’ambiente letterario italiano in una storia carica di suggestioni. Un intenso horror metafisico, che è anche una riflessione attorno all’ingegno e alla difficoltà dell’artista di separarsi dai propri mondi creativi con il rischio di restarne soggiogati non distinguendo più tra realtà e finzione.

Intanto, per saperne di più, si dia un’occhiata all’intervista realizzata da Andrea G. Colombo su Horror.it.

Nefertiti: antica regina eretica e testimone attuale delle lotte femministe

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Nefertiti di Jasmina TesanovicEsce in questi giorni per Stampa Alternativa un libro che ho editato un po’ di tempo fa e che m’è piaciuto davvero molto. Si intitola Nefertiti – L’amore di una regina eretica nell’antico Egitto, è stato scritto da Jasmina Tesanovic, di cui s’è parlato varie volte da queste parti, e si rivela un testo che non ci si aspetterebbe (almeno se non si è mai letto niente dell’autrice, della quale lo scorso gennaio era uscito Processo agli scorpioni con una postfazione pubblicata qui qualche mese fa). Nefertiti non è un solo libro storico e non è neppure un romanzo d’amore. È questo, ma è anche un tessuto di rivendicazioni sociali e femministe (Jasmina fa parte delle Donne in nero), è una lode all’arte, una rivendicazione di libertà e un inno alla bellezza vissuta fuori dagli schemi. Credo che ulteriori parole per descrivere meglio questo libro possano essere quelle di Bruce Sterling, che ne ha scritto la prefazione e che è anche il marito della scrittrice serba. Il booktrailer invece è stato realizzato dall’infaticabile Luigi Milani, autore anche di quelli per Pentiti di niente e per Il programma di Licio Gelli.

Jasmina Tesanovic è una ben nota femminista e dissidente politica dell’Europa del Est. È naturale domandarsi perché una donna del genere abbia scritto un romanzo su Nefertiti. Specialmente un libro strano come questo, un libro che è chiaramente una litania intesa a risvegliare i morti. Avendo io sposato Jasmina, l’ho vista scrivere questo libro. Mi sono accorto che è stata costretta a farlo, forse perfino segretamente ossessionata da un bisogno irresistibile.

Potrei fornire tante spiegazioni sul perché l’abbia scritto quest’opera, ma ne esiste una, credo, che ha molto senso per il pubblico italiano. Jasmina è nata nella ex Yugoslavia: in uno stato comunista eretico, un’utopia fallita. Mentre il comunismo italiano è tuttora molto vivo – a Torino, la mia città preferita, lo constato tutti i giorni – la Yugoslavia scomparsa è uguale all’antico Egitto. La Yugoslavia di Tito una volta mandò una bambina, Jasmina Tesanovic, a vivere nell’antica terra d’Egitto. La Yugoslavia e l’Egitto una volta erano amici per la pelle.
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