C’erano bei cani ma molto seri, la storia di Giovanni Spampinato

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C'erano bei cani ma molto seriGiovanni Spampinato, quando venne assassinato, il 27 ottobre 1972, non aveva ancora venticinque anni, ma il giornalista per L’Ora di Palermo lo faceva già da un po’ e in quel periodo stava seguendo due storie: la prima riguardava Angelo Tumino, un imprenditore ammazzato qualche mese prima, e la seconda si focalizzava sull’eversione nera in Sicilia. A un certo punto le due storie iniziarono ad avere i primi punti di contatto e si fusero arrivando a comprendere mafia e istituzioni. Poco più di un mese fa, è uscito per la casa editrice Ponte delle Grazie il libro C’erano bei cani ma molto seri, scritto dal fratello di Giovanni, Alberto Spampinato, che ripercorre sia dal punto di vista personale che professionale la vita del cronista ucciso:

“C’era un campo di girasoli, e mangiavamo i semi ancora verdi. C’erano le mucche, e la sera facevano la ricotta… Il padrone di casa, o un suo figlio, era cacciatore. C’erano bei cani, ma molto seri. Un giorno legarono un cane in cortile, e stette lì forse per due giorni. Il cane ululava, si lamentava, era straziante. Ci dissero di non avvicinarci, aveva la rabbia. Poi lo abbatterono a fucilate. Ricordo l’odore della terra bagnata dagli acquazzoni estivi. Quell’odore mi inebriava”. Così, ricordando la propria infanzia, scriveva nel 1971 il giovane giornalista ragusano Giovanni Spampinato, in una tragica e involontaria profezia: fu ucciso poco tempo dopo in circostanze ancora non chiarite. Come corrispondente dell'”Ora” di Palermo indagava su un omicidio e aveva cominciato a rivelare un perverso intreccio fra mafia, eversione nera e servizi segreti. Il fratello minore Alberto, anche lui giornalista, affida oggi a queste pagine un toccante e inquieto ritratto della sua famiglia di origine e un’inchiesta sulle vere cause della morte di Giovanni; ma al contempo vi raccoglie un’indagine personale e profonda sulla storia culturale e sociale della sua terra, la Sicilia, e del nostro Paese: dalla seconda guerra mondiale all’impegno del padre per l’ideale comunista, dal regno incontrastato della cultura contadina alle nuove stagioni dell’industrializzazione e della contestazione, fino all’emergere dei poteri oscuri della reazione e della criminalità.

Una lunga recensione del libro è stata pubblicata da AprileOnline con il titolo di Alle volte le inchieste giornalistiche possono uccidere. Un articolo che tocca i vari punti narrati da Alberto Spampinato: dall’omicidio dell’imprenditore siciliano alla comparsa sullo scenario di Stefano delle Chiaie. Ma a proposito di suo fratello, dice a Leo Sansone, autore della recensione:

Io avrei dovuto fare l’ingegnere, ma dopo l’omicidio di mio fratello rimasi scosso. Lasciai gli studi di ingegneria e decisi di fare il giornalista per continuare il suo lavoro […]. Sento il bisogno di parlare della morte di mio fratello con la stessa forza con cui, fino a qualche tempo fa, non riuscivo assolutamente a parlarne.